Borgo e città

17 Marzo 2011

In un’epoca di non luoghi e piazze virtuali, “patria” è una parola che in Italia quasi nessuno usa. Il ventennio fascista, che ha tentato di inoculare il virus dello sciovinismo e del nazionalismo negli italiani, ci ha reso immuni dal patriottismo. Ci accontentiamo di evocare la patria in modo indiretto e obliquo, quando invochiamo il “rimpatrio” degli stranieri che approdano alle nostre coste, o quando raccomandiamo ai giovani di “espatriare” per trovare fortuna. Gli unici italiani che sembrano avere nostalgia della patria sono quelli che la patria ha costretto ad andarsene: gli emigrati.
I pochi decenni in cui la parola “patria” ha avuto senso per quasi tutti gli italiani sono stati quelli del Risorgimento, quando si moriva per un’idea che si trovava nei versi di Dante e di Petrarca. Dopo l’unità d’Italia, “patria” è diventata sinonimo di terra, borgo o città. Nessuno è morto in trincea o in Africa per la “patria”. Ha ragione Primo Levi, quindi: morire in patria, nella terra che ti ha fatto nascere, è l’unico modo in cui un italiano può morire per la patria.

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