Mindscapes / Psiche direzione mondo

24 Dicembre 2017

È straordinario: mari e montagne, vallate e colline, spiagge e pianure… Quanti paesaggi in uno stesso sogno e quanti sconosciuti! Ci stupiamo della nostra capacità di creare mondi, scopriamo di avere una mente fantasmagorica che permette di viaggiare in lungo e in largo, la notte nella dimensione onirica, di giorno con l’immaginazione.

 

Se lo spazio del dentro “è lo spazio della nostra percezione primaria, quello delle nostre fantasticherie, delle nostre passioni” e appartiene a ognuno di noi, quello di fuori è comune a tutti, “è lo spazio in cui viviamo, per mezzo del quale siamo attirati al di fuori di noi stessi, quello in cui appunto si compie l’erosione della nostra vita, del nostro tempo e della nostra storia” ci dice Foucault. Ma lo spazio esterno, che pure possiede una sua specifica realtà, produce un effetto sempre diverso su ciascuno: dallo sfondo che scegliamo per il nostro computer, alle discussioni di coppia tra chi ama l’acqua e chi le rocce.

Sono queste connessioni che insegue Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, autore anche di raccolte poetiche, in Mindscapes (Raffaello Cortina Editore), un neologismo “per collocarci a metà strada, là dove dobbiamo stare: con la psiche nel paesaggio e il paesaggio nella psiche” per poter “guardare un paesaggio come una parte del mondo reale, un luogo dell’identità e della memoria, personale o collettiva, uno specchio delle nostre emozioni, uno spazio di immersione sensoriale”. Così si costruisce un testo stratificato nutrito di saperi diversi, che condensa le conoscenze della mente scientifica e le sensibilità della mente poetica, le passioni artistiche dell’autore e le sue esperienze di viaggiatore. Un associare che non teme di saltare steccati disciplinari, e che, prima di tutto, dice quanto la stessa mente del terapeuta funzioni come un paesaggio dove i “sentieri bibliografici”, con i quali termina il testo, indicano di quali libri è fatta la sua “dieta”.

 

Lingiardi ci ricorda come, fino a tempi recenti, tra gli psicoanalisti sia stato solo Harold F. Searles, in un saggio degli anni Sessanta del Novecento, quando ancora la relazione fra terapia ed ecologia appariva una stranezza, a occuparsi del rapporto con l’ambiente fisico che aveva chiamato L’ambiente non umano nello sviluppo normale e nella schizofrenia. “È mia convinzione che all’interno dell’individuo, a livello conscio o inconscio, vi è un senso di colleganza con l’ambiente non umano, che tale colleganza è uno dei fatti di più straordinario rilievo nell’esistenza umana, che essa rappresenta per l’uomo – così come vale per altri aspetti fondamentali della sua vita – una fonte di sentimenti ambivalenti e che, infine, se egli cerca di ignorarne il valore, lo fa a rischio del proprio benessere psicologico”.

 

Per Searles la percezione del bambino di fusione con la madre coincide con la fusione con l’ambiente, e il processo di separazione/individuazione riguarda quindi non solo il rapporto con l’ambiente madre, ma anche la necessità di differenziarsi dal suo paesaggio. È questo insieme che influenza profondamente la personalità globale di ogni individuo. “Si può inoltre sostenere che è la qualità della personalità globale, con il cui sviluppo credo abbia molto a che vedere l’ambiente non umano, a determinare se l’individuo possegga, o meno, la forza indispensabile per guarire dalla nevrosi o dalla psicosi”. L’avvicinarsi di un momento di smottamento psichico può dunque essere percepito come la perdita dell’ambiente non umano familiare.

 


E che un paesaggio possa avere un valore terapeutico, scrive Lingiardi, “ha del resto popolato a lungo non solo la letteratura (La montagna incantata di Thomas Mann), ma anche la clinica medica e psichiatrica (paesaggi salubri e comunità terapeutiche)”.

Ed è ancora recente, anche se dagli anni Novanta in poi si è molto sviluppata, la riflessione sul rapporto che si stabilisce con il luogo come uno spazio fisico che ha acquisito un significato soggettivo per l’individuo e con il quale, dunque, si instaura un legame affettivo. Le tipologie di attaccamento ai luoghi – emotivo-familiare, estetica, funzionale, socioemotiva, cognitivo-culturale – si intrecciano con i processi che avvengono nel momento del cambiamento e del distacco. Le nostre modalità di attaccamento sono segnate anche dalla nostra esperienza con i luoghi. Un esempio: l’ansia da separazione può derivare dalla perdita del contesto di provenienza. L’identità spaziale dice quanto l’ambiente possa essere vissuto come un nemico e una minaccia, sentirsi in-place è l’obiettivo di ogni processo di integrazione in qualsiasi delle nostre metropoli creolizzate dove la place identity costituisce una parte importante del vissuto di individualità.

 

E viene da chiedersi se “l’Io non è padrone in casa propria” di Freud non parlasse, anche, del suo senso di esilio (ebraico?) e di estraneità. Freud mette sempre in relazione i suoi stati d‘animo e le sue intuizioni teoriche, antropoformizza le geografie, pensiamo solo al suo rapporto con Roma: “profondamente nevrotico”. Lingiardi sottolinea quanto le differenze teoriche tra Freud e Jung si riflettano anche nella lettura del paesaggio che compaiono nei sogni. Jung è interessato alle rappresentazioni dell’eroe, della morte, della rinascita, Freud sessualizza la topografia in una rigida tassonomia:

“Montagna e roccia sono simboli del membro maschile; il giardino, un frequente simbolo del genitale femminile. Il frutto non sta per il bambino, ma per il seno. Gli animali feroci significano persone sensualmente eccitate, e inoltre pulsioni cattive, passioni. Fioriture e fiori designano il genitale della donna o, più specificamente, la verginità”. 

E mentre nella stanza di analisi sempre più denso diventa il lavoro sulle immagini – quelle dei sogni, quelle che produce l’analista, quelle scaturite dall’incontro, quelle dell’immaginario collettivo del cinema, della fotografia, della pittura – nei nostri corpi-mappa il sentimento estetico nasce di fronte alla scoperta del volto della madre, nel contatto con la bellezza del primo volto umano. Da qui, da Bion a Meltzer, da Searles a Bollas e Chianese, si sviluppa l’idea di una “genesi estetica della soggettività piuttosto che di una genesi soggettiva dell’estetico”.

 

Lingiardi riprende il concetto di riverbero da Bollas per il quale “la vita viene modellata talvolta come un’estetica, una forma rivelata nel modo di essere della persona”. E “la pulsione del destino è l’ininterrotto tentativo di scegliere e usare gli oggetti per dare un’espressione vissuta al vero Sé”.

Gli oggetti reali incontrano gli oggetti psichici e così diventano oggetti evocativi che connettono e trasformano, “un midworld la cui realtà non è puramente soggettiva né puramente oggettiva: è poetica”, conclude Lingiardi. Uno spazio transizionale, intermedio, uno spazio creativo che ci protegge dalle irruzioni della realtà quando possono diventare troppo inquietanti e invasive.

Mindscapes non è un libro specialistico, ma un tour erudito e caleidoscopico, dove il lettore può trovare tracciati per sapersi orientare. Costruire le proprie mappe. Come fece, nel 1654, Madeleine de Scudéry, la quale disegnò i percorsi affettivi della protagonista del suo romanzo Clélie. La chiamò Carta della tenerezza. Il paese di partenza si chiamava Nuova Amicizia. C’è un Mare Pericoloso e una Terra Sconosciuta, una strada buona e una cattiva. Indiscrezione, Perfidia, Cattiveria, Orgoglio si tuffano nel mare dell‘Inimicizia. Per arrivare a Tenerezza si passa da Riconoscenza.

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