Steve McQueen. Hunger

9 Maggio 2012

Nel 2008 l’artista inglese Steve McQueen, classe 1969, esordiva come cineasta presentando a Cannes nella sezione Un Certain Regard il film Hunger. Esordio fulminante: dal giorno della prima proiezione sulla Croisette non si parlò d’altro.

Hunger, fame, è la mise-en-scène in tre atti dello sciopero della fame che condusse alla morte l’attivista nordirlandese Bobby Sands nel 1981. Il 5 maggio per l’esattezza Sands spirava dopo sessantasei giorni di fame, denutrizione, privazione, rinuncia, lotta testarda e suicida. Ce ne vollero altri sei, di morti, perché l’Irlanda vedesse riconosciuti ai detenuti politici alcuni fondamentali diritti, pur negando loro sempre e comunque lo statuto di prigioniero politico, riconoscimento che stava alla base della lotta di Sands e compagni.

Sessantasei giorni di fame possono dire tutto su un paese, una fede, una lotta, una convinzione, possono dire tutto su un uomo. E lo fanno, magistralmente, in questo film davvero unico ed eccezionale, costruito come una passione religiosa, in questo esordio dei più travolgenti da diversi anni a questa parte che, tra l’altro, ha il pregio di dirci molto anche sul nostro di Paese e sul suo panorama distributivo.

 

 

McQueen vinse la Caméra d’Or come miglior opera prima e di lì a poco Michael Fassbender, eccezionale protagonista di una metamorfosi fisica straordinaria, Cristo deposto del Mantegna, dolente figura caravaggesca, vinse il premio rivelazione agli European Film Awards e iniziò una scalata di consacrazioni che lo hanno condotto ad avere oggi un ruolo piuttosto rilevante nel contemporaneo star system. Se così possiamo ancora chiamarlo… ma questa è un’altra questione.

Storia di un successo insomma. Ma perché noi Hunger lo vediamo solo oggi, anno solare 2012, alle soglie di un nuovo Festival di Cannes, ben 4 anni dopo la folgorante presentazione in Croisette? Eppure tutti i distributori di allora lo videro ed amarono. Tutti, nessuno escluso. Ma nessuno ebbe il coraggio di fare un’offerta, di tentare l’acquisto di un film che senza ombra di dubbio era tra i migliori dell’anno. Un buon anno tra l’altro. Laurent Cantet portò a casa la Palma d’Oro con Entre les murs (La classe) e un milione di Euro di incasso in Italia. Gomorra vinse il Gran Premio della Giuria, i fratelli Dardenne quello per la migliore sceneggiatura e della selezione ufficiale in Italia abbiamo visto poco altro. Hunger non fu acquistato, Johnny Mad Dog, Wolke 9, Tokyo Sonata… tutti film premiati e mai comparsi. Per citarne solo alcuni relativi a quell’anno, perché se provassimo a fare la lista dei capolavori mai visti riempiremmo così tanto spazio da farci un’installazione. Tulpan uscì fugacemente quasi un anno dopo con BIM per essere altrettanto fugacemente scordato e dopo aver incassato briciole.

 

 

Ma Hunger non se l’era scordato nessuno, va detto. Tant’è che sempre BIM, capace e potente società di distribuzione di qualità, ha dormito davanti alla porta di McQueen finché questi, solido del successo internazionale del primo, non ha scritto un secondo film, dal potenziale commerciale un po’ più consistente e dal budget un po’ più agile. Quel film si chiamava Shame, la BIM l’ha pre-acquistato mettendo finalmente le mani sul golden boy del cinema europeo e portandolo anche in Italia dove è stato presentato al Festival di Venezia 2011, in Concorso e dove Fassbender, nuovamente leading actor per McQueen in una storia di ossessione sessuale, ha portato a casa una meritatissima Coppa Volpi. Shame è uscito in sala, si è difeso al botteghino e BIM ha coraggiosamente deciso, finalmente, dopo quattro anni, di portare in Italia anche Hunger che, dopo una settimana di programmazione in una quarantina di copie ha totalizzato circa 150.000€. Un risultato dignitoso, che speriamo aumenti, impossibile da raggiungere senza il traino di Shame, senza il precedente a posteriori, senza la solidità di una società di distribuzione storico simbolo di qualità, consolidata e ingrandita negli anni, divenuta una piccola potenza nell’ambito del cinema d’essai ma non dimentica del suo ruolo di pioniera e talent scout. Un risultato dignitoso ma lontano dai reali meriti del film, sia chiaro.

 

Ci sono voluti quattro anni, quindi, per vedere questo piccolo capolavoro arthouse e ringraziamo che sia successo. Ogni anno i maggiori festival internazionali presentano selezioni ufficiali a volte straordinarie di cui, in Italia, riusciamo a vedere le briciole. E non perché i distributori abbiano perso il buon gusto o la capacità di riconoscere una perla tra i sassi, ma perché hanno piuttosto perso la speranza di farcela, perché hanno paura, perché la considerazione triste ed amara è sempre la stessa: “bello, bellissimo, sì….ma chi ci va a vederlo?”. Pochi, ci vanno in pochi a vedere un film come Hunger soprattutto se prima non c’è stato Shame e soprattutto se a distribuirlo è magari una società che ha la metà del potere economico e territoriale, della forza e della storia di BIM, ma magari ha identico gusto e coraggio. E quei pochi non bastano a ripagare i costi di distribuzione, che in Italia sono elevatissimi perché – tra le altre voci – non si può ancora contemplare di fare un’uscita in lingua originale ma bisogna sottostare all’obbligo del doppiaggio, senza il quale non si può pensare di uscire, non si può non fare “quel minimo di promozione”, perché altrimenti nessuna delle poche sale rimaste dedicate alla qualità accetta il film, nessuna televisione pubblica o privata che sia ci pensa minimamente a comprare il film. E via proseguendo.

 

 

Così si rischia sempre meno, perché ogni acquisto per un indipendente è una roulette russa. Ogni mossa sbagliata può essere quella che ti fa chiudere. Basti pensare al film di Asghar Farhadi, Una separazione, a tutti gli effetti “il film” di qualità per eccellenza, quest’anno. Alla fine ce l’ha fatta, faticosamente, a totalizzare poco più di 500.000€ al botteghino, dopo tre Orsi al Festival di Berlino, un Oscar come Miglior Film Straniero e, fresco fresco, pure un David di Donatello. Chissà forse, dopo questo percorso dorato, sarà stato venduto anche alle televisioni e rientrerà dei costi di distribuzione, alti per un film difficilissimo e carissimo da doppiare che non ha avuto, essendo iraniano, nemmeno l’unico sostegno che è quello del programma Media dell’Unione Europea. Ma senza tutti questi riconoscimenti che ne sarebbe stato del film? La distribuzione, Sacher in questo caso, si sarebbe ritrovata con un capolavoro in una mano e un bel pugno di sassi nell’altra. In Francia Una Separazione ha totalizzato un milione di spettatori, che equivalgono a circa 6 milioni di Euro. Prima dell’Oscar. Così, per dirne una…

 

Senza Media, in Italia non c’è sostegno dallo Stato, non c’è protezione, non ci sono leggi che regolamentino gli acquisti televisivi, che aiutino le sale di qualità che infatti stanno scomparendo, non c’è sostegno alla distribuzione, c’è solo un paese impoverito, anestetizzato, che di film come Hunger e come Una separazione ha gran bisogno, per sentirsi ancora vivo e pensante e perché sono film belli, bellissimi, e la bellezza, si sa, aiuta.

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