Lehman Trilogy. Conversazione con Stefano Massini

26 Novembre 2014

Inizia nel 1844, con l’arrivo al porto di New York di un immigrato ebreo proveniente dalla Germania, figlio di un mercante di bestiame, e finisce con il rovinoso fallimento del 2008 della Lehman Brothers. Lehman Trilogy racconta in più di trecento pagine centossessanta anni di capitalismo americano, dalle coltivazioni di cotone alla costruzione delle ferrovie, dal petrolio all’automobile, all’industria cinematografica, a quella televisiva, in un periodo che dalla guerra di secessione, attraverso i due conflitti mondiali e il crollo di Wall Street del 1929, arriva ai giorni nostri. È un testo teatrale (pubblicato da Einaudi), ma l’andamento è quello di un racconto epico, di una grande saga familiare. È firmato da Stefano Massini, un autore che usa una bella scrittura per interpretare l’arte e la realtà. Suoi testi sono stati dedicati a Van Gogh, a Kafka ma anche a Anna Politkovskaja e al caso di Ilaria Alpi. Recente è 7 minuti, sulla discussione in un consiglio di fabbrica di operaie se accettare una proposta di ristrutturazione della nuova proprietà, solo apparentemente indolore. Lehman Trilogy, dopo essere stato rappresentato con successo in Francia, in Germania e in Spagna, arriverà sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano il 29 gennaio con la regia di Luca Ronconi (che firma la prefazione del volume Einaudi).

 

ph. Fernandez

 

Come nasce l’idea di trattare un tema così poco frequentato in teatro come l’economia?

Io ho sempre cercato di occuparmi di temi e aree in cui non fossi completamente a mio agio. A questo testo, al quale ho lavorato tre anni, dal crollo di Lehman Brothers nel 2008 al 2011, sono arrivato per vie strane. Quando leggo i quotidiani di solito salto le pagine dell’economia; di questa disciplina non mi sono mai interessato. E questo atteggiamento forse è alla base di un pregiudizio che avevo: che la crisi fosse stata creata dai finanzieri. Se vai a vedere i fatti, ti accorgi che, certo, c’è stata una gestione spregiudicata, con un’estrema ricerca di rischio. Capisci anche che questo mondo è abbastanza impermeabile alla conoscenza altrui, criptico, simile nell’uso del linguaggio a quello di certi medici specialisti che ti parlano in modo esoterico, incomprensibile, di qualcosa che ti riguarda profondamente. Bene, mi sono reso conto studiando i 160 anni della banca Lehman che non erano aguzzini, che non avevano oppresso la società americana, come per esempio pensava Brecht quando scriveva in modo manicheo Santa Giovanna dei macelli. I Lehman non hanno fatto altro che dare ciò che la società chiedeva affannosamente: l’arricchimento facile, semplice. Le ferrovie ottocentesche, l’industria del petrolio, l’automobile, la televisione sono state finanziate dai Lehmann e da altre banche attraverso la sottoscrizione di obbligazioni accettate dai risparmiatori privati. Questi investivano i loro risparmi con il miraggio di moltiplicarli, come Pinocchio con i suoi zecchini d’oro nel Campo dei miracoli. Finanziano lo sviluppo americano con obbligazioni per moltissimi anni, fino alla crisi del 1929, che scoppia per colpa della propensione al rischio economico estremo non solo della banche ma di tutta la società.

 

ph. Fernandez

 

Eppure nel testo sono protagoniste le varie generazioni Lehman più che i fatti storici. Questi rimangono sullo sfondo. Come mai?

Ho deciso di zoomare sulla famiglia anziché sui fenomeni storici e sociali. Ho voluto scrivere un’epopea familiare per non fare teatro documento, perché il teatro riesce meglio quando ritrae vicende di persone.

 

E dedica poche pagine al crollo del 2008, mentre approfondisce il passato…

Ci sono due motivi. Il primo è che le ragioni della caduta dei Lehman a causa dei mutui subprime sono comuni a quelle che hanno generato la crisi del 1929. Per scrivere il mio testo era più agevole accedere alle informazioni sul fallimento recente. Ma i casi del 1929 sono la traccia necessaria per far capire qualcosa della catastrofe del 2008. Nella loro narrazione ho utilizzato anche il contrasto tra il padre Philip e il figlio Bobbie, che lo accusa di spregiudicato uso di obbligazioni carta straccia, per cadere in seguito nello stesso rischio. Il secondo motivo è che nel corso di quei 160 anni assistiamo a un significativo cambio di religione. I Lehman diventano emblema e paradigma di un fenomeno più complesso.

 

ph. Alan Weiner

 

Henry Lehman e i fratelli sono ebrei osservanti. Come cambiano poi i rituali e come questa mutazione diventa sintomo di una rivoluzione dei costumi?

Giungono con una fortissima caratterizzazione askenazita ortodossa e piano piano, nel corso di tre generazioni, perdono il legame con questa identità. Non diventano atei, agnostici; passano all’ebraismo rifondato, più tenue, più secolarizzato. Mentre per le morti dei primi Lehman si osservano varie giornate di lutto stretto, con astensione dal lavoro, alla fine della storia la banca non chiude più. All’ebraismo si sostituisce la religione del capitalismo, con i suoi riti e i suoi tempi. La storia della banca è quella di una lunga ritualità. Perciò decido di sospendere la narrazione quando negli anni settanta muore Bobbie senza lasciare discendenti. Descrivo il passaggio a un’altra generazione di ebrei immigrati, dalla Grecia, dall’Ungheria, quella dei manager e dei trader. In realtà, come disse un giornalista del “Sole 24ore”, è impreciso affermare che Lehman Brothers è crollata nel 2008, in quell’anno si è dissolto fragorosamente il marchio: la banca era finita nel 1980, quando fu ceduta, dopo la morte di Bobbie, ad American Express.

 

Cerca quindi di scavare anche meccanismi antropologici. Cosa ha voluto fare? Teatro civile?

Fare teatro documentario o civile non mi interessa. Tutto il teatro è civile. Se volete informazioni sul crollo della Lehamn e sulla crisi del 2008, forse è meglio vedere un documentario.

 

Il testo, inoltre, ha una forma inconsueta per una pièce teatrale: pochi dialoghi, molti racconti, spesso in versi…

Non è un dramma classico. Io amo fornire materiali scenici, all’interno dei quali chi realizza la regia dovrà scegliere radicalmente cosa tenere e cosa no. Dovrà decidere chi dice cosa, con quanti attori farlo… Io su questo raramente do indicazioni. In Francia la Comédie de Saint-Etienne ha allestito la pièce, intitolata Chapitres de la chute, con sette attori: ha vinto il premio della critica e ha una tournée fino al 2016. I teatri di Dresda e Köln lo hanno realizzato con quattro interpreti che raccontano. In Spagna ce ne sono dodici.

 

ph. Fernandez

 

Allora teatro di narrazione?

Non è drammaturgia classica e non è neppure riducibile all’etichetta “teatro di narrazione”. Ti porta nei fatti. Il teatro di narrazione si affida a un linguaggio “complice” con il pubblico. Io piuttosto cerco di sciogliere la complessità delle cose. La mia è una costruzione letteraria con una forte scansione ritmica. È scritto in un prosimetro che alterna zone più marcatamente ritmiche con discorsi diretti o in prosa.

 

Come definire allora questa opera monstre?

È un sistema complesso, per descrivere la complessità dell’oggi usando tutte le forme possibili. È come un tavolo anatomico su cui dissezionare il presente, per fare una biopsia alla cronaca che ci circonda.

 

ph. Fernandez

 

Che relazione ha con i suoi testi precedenti?

Mi piace ricordare una frase di Leo de Berardinis della metà degli anni settanta, che esprimeva la necessità, alla fine di ogni spettacolo, di azzerare il linguaggio usato per costruire il successivo in modo nuovo, per tema e forma, negare la regola per non farla diventare stile. Oggi noi cerchiamo di rifugiarci nella riconoscibilità, con il terrore di disperderci, di non rendere evidente la coerenza del percorso. Io cerco sempre, invece, di tener conto di quel bisogno di annullamento del linguaggio cristallizzato, per provare a raccontare fenomeni diversi. Per Lehman Trilogy ho scelto una narrazione calda, accalorata, stilisticamente all’opposto dell’algidità disumanizzata che si attribuisce al tema economico.

 

Perché scrivere una trilogia e non un’opera unica?

Perché tratto tre generazioni. Corrispondono a periodi diversi della storia della banca. Il primo mira alla merce: i soldi servono per la mediazione di cotone, caffè, petrolio... Nel secondo periodo i capitali vengono usati per opere che non si possono immediatamente maneggiare come il caffè: i Lehman lanciano obbligazioni per ferrovie che saranno pronte vent’anni dopo; si marca una distanza tra il denaro e il suo obiettivo concreto. Nella terza fase il denaro è talmente allontanato dall’obiettivo ultimo che serve a creare altro denaro, in una spirale spersonalizzata. In questa fase entra in gioco il marketing, che diventa weltanschauung della vendita. L’importante diventa creare una “narrazione” della merce, non la merce in sé.

 

ph. Fernandez

 

Cosa ci insegna la vicenda Lehman?

Parecchie cose. Prima tra tutte che gli strumenti interpretativi novecenteschi che ancora usiamo, Marx e Freud, non bastano più. Io in un film o in un romanzo cerco sempre il sottotesto (Freud) o il contesto sociale (Marx). La vicenda Lehman insegna che ogni interpretazione della realtà di tipo piramidale non serve più, perché sostituita da un meccanismo che ha come atomo fondamentale il link. Lehman è questo: un gruppo di pezzenti che in poco tempo supera la tradizionale divisone tra padroni e operai scalando tutti i gradi della società fino al vertice apparentemente intoccabile, per essere scalzati a loro volta da uno che proviene da una tavola calda greca e dal figlio di un costruttore di lampadari ungherese. La storia dei Lehman ci pone il problema di come oggi leggiamo la realtà.

 

Come funziona il suo rapporto con Luca Ronconi, che firmerà la regia dello spettacolo del Piccolo Teatro? Stefano Massini in che modo collabora all’allestimento, se collabora?

In un paese come il nostro in cui non esiste la figura del dramaturg, Ronconi ha lavorato con il sottoscritto sulla stessa scrivania per mesi, da gennaio, in modo indefesso, entusiastico, galvanizzante. Abbiamo elaborato una nuova drammaturgia, selezionando, attribuendo le battute, tagliando il testo.

 

Quanto sarà lungo lo spettacolo?

Non è ancora prevedibile. Sarà comunque distribuito in due serate, riunite qualche volta in un’unica rappresentazione. Una cosa di cui bisogna dare atto al Piccolo Teatro è che ha previsto una tenitura lunghissima, dal 29 gennaio al 15 marzo.

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