Jonathas de Andrade

5 Agosto 2013

A Lisbona, una volta inerpicatisi nelle stradine antiche del Bairro Alto si discende nell’Avenida da Liberdade, quella che potremmo chiamare gli Champs Elysées della città. Tra le banche, gli uffici e i negozi di lusso che si radunano nel grande viale, un palazzo liberty piuttosto délabré accoglie da qualche anno studi d'artista e alcuni spazi espositivi indipendenti tra i più interessanti della città. Al primo piano si trova la Kunsthalle Lissabon, diretta da João Mourão e Luís Silva, che dal 2009 presenta le ricerche sperimentali più diverse. Questo giugno i curatori hanno invitato Jonathas de Andrade (Brasile, 1982), artista che con le sue istallazioni, libri e video pungola la cultura sudamericana contemporanea. Ho incontrato Jonathas poco tempo prima a Venezia, dove attualmente espone Nostalgia, sentimento de classe (2012) tra i lavori selezionati dal Future Generation Art Prize, ed è lì che mi ha parlato del suo nuovo progetto per Lisbona che si ispira al Museu do Homem do Nordeste, fondato nel 1979 a Recife del sociologo brasiliano Gilberto Freire.

 

Per Jonathas de Andrade antropologia, pedagogia, politica e morale sono il terreno di un'esplorazione dei paradossi della cultura modernista. Le architetture, le immagini, i testi che crea e raccoglie ricompongono tracce di una società che ha perduto le proprie idealità e che tuttavia rimane incarnata nel paesaggio mentale e materiale contemporaneo. Jonathas abbandona il filo della grande Storia e si affida alla memoria, dove la presenza enigmatica della modernità e dei suoi simboli emerge attraverso il desiderio e compone una narrazione personale del passato.

 

In un'opera come Ressaca tropical (2009) Jonathas rivela la vitalità ambigua di Recife, in cui la retorica dell'architettura si fonde alla natura tropicale, alla nostalgia, alla sensualità. Il diario intimo delle avventure di un recifense degli anni Settanta costituisce la struttura per comporre assieme istantanee, documenti storici e contemporanei (spesso creati dall'artista) che mostrano persone, oggetti, edifici e formano un grande affresco della città. Le tensioni tra il piano sociale e quello personale, tra la modernità e la natura, emergono nell'accostamento delle immagini e del testo e lasciano trasparire un'energia inattesa, obbligando a un continuo avvicinarsi per leggere le pagine del diario, e arretrare per contemplare le rappresentazioni delle trasformazioni urbane, il nascere e il disfarsi degli edifici, il fermento delle storie minori nelle fotografie amatoriali.

 

Jonathas de Andrade, Ressaca tropical, 2009

 

In altri lavori l'artista interroga direttamente la possibilità sociale e politica dell'esperienza artistica. Educação para adultos (2011) riprende la tecnica di alfabetizzazione ideata da Paulo Freire negli anni Sessanta. Per l'artista non si tratta solo di confrontarsi con un gruppo di analfabeti e produrre nuove schede fotografiche in cui associare immagini e parole, ma di misurarsi con una metodologia che coniugava l'insegnamento alla presa di coscienza politica del sottoproletariato. L'artista constata l'impossibilità di assumere una postura analoga di fronte alla crisi attuale delle ideologie e la necessità di accettare le contraddizioni e i paradossi della contemporaneità : “sapere e non sapere, aver coscienza della completa verità nell'esprimere menzogne accuratamente architettate, difendere simultaneamente due opinioni opposte, sapendole contraddittorie e anche così credendo in entrambe; usare la logica contro la logica, indossare la moralità per ripudiare la propria moralità; credere nell'impossibilità della Democrazia, agendo in difesa della stessa Democrazia… Semplicemente, quello che poco tempo prima era inteso come una consegna al cinismo, emerge ora come la struttura di una nuova relazione con il mondo, una curiosa politica dell'etereo” (O gatilho, Jonathas de Andrade, 2010).

 

Il lavoro è il punto di partenza per immaginare un uso politico della propria esistenza che possa radicalizzare il processo estetico e offrire un'apertura irriverente, uno scarto e un gioco per esplorare nuove possibilità linguistiche. Sono questi i presupposti da cui nasce la mostra Cartazes para o museu do homem do nordeste che Jonathas de Andrade presenta a Lisbona per la sua prima personale europea (fino al 17 agosto). L'istallazione è composta dai manifesti (cartazes) che annunciano un museo realmente esistente ma che l'artista vuole ricostruire a partire dalla memoria che ne conserva. La memoria, lo abbiamo visto, è lo strumento che permette di superare le sovrastrutture della modernità e di connettersi al desiderio. È la via che porta all'esperienza radicale dell'arte per trasformare lo spazio sociologico e scientifico e destabilizzare lo stereotipo dell'uomo nordestino. In mostra, due espositori offrono al pubblico un'ampia scelta di poster incorniciati mentre numerosi altri sono appesi alle pareti o pendono dal soffitto a diverse altezze.

 

Jonathas de Andrade, Cartazes para o museu do homem do nordeste, Kunsthalle Lissabon, 2013

 

Tutti i manifesti possono essere spostati, aggiunti o riposti dal pubblico che partecipa a comporre l'allestimento che l'artista ha predisposto. Jonathas de Andrade presenta molte immagini di operai, mendicanti, contadini, portieri, studenti fotografati in un ambiente vagamente “nordestino” ma senza particolare enfasi sulle professioni dei soggetti. In un altro lavoro, 4000 desparos (2010), aveva già presentato una collezione di ritratti di uomini, costruendo un immaginario completamente diverso: l’inquadratura fotografica - e non quella grafica del manifesto - isola centinaia di uomini incontrati a Buenos Aires, durante un lungo viaggio attraverso il Sud America. La serie, realizzata in bianco e nero, con pellicola Super8, costruisce un immaginario documentale che si richiama esteticamente agli anni Settanta e alla cieca violenza delle dittature, mostrando una selezione di volti anonimi, ignari e vulnerabili.

 

 

Jonathas de Andrade, 4000 desparos, 2010

 

Il lavoro oscilla tra il desiderio di un immaginario omosessuale, nella febbre dell'osservazione e del possesso, e i temi del potere, della violenza e del dominio, giocando su un complesso cortocircuito tra passato e presente. Nel progetto per il museo dell'uomo del nordest alcuni di questi aspetti ritornano, ma in una chiave diversa: in Argentina la lontananza dai soggetti era anche il segno di una distanza dell'artista dalla cultura e dalla storia locale, un esperienza d'estraneità che entrava in risonanza con la radicale negazione delle vittime operata dalle dittature; in Brasile lavorare sull'idea di una tipologia sociologica propria al nordest significa per Jonathas de Andrade riflettere sulla propria identità. A Recife - dove l'artista risiede - non si tratta di osservare e isolare le persone con la fotografia ma di trovare l'occasione dell'incontro e di esporsi personalmente. In mostra sono incorniciati gli annunci che l'artista ha pubblicato sul giornale locale per contattare i soggetti dei ritratti : “Cerco uomo bruno forte, lavoratore – brutto o bello - per posare per il manifesto del Museo dell'uomo del Nordest, chiamare”; “ Cerco discendente di schiavi per la fotografia del manifesto del Museo dell'uomo del Nordest”; “Indagine antropologica cerca uomini dai 30 ai 50 anni per un archivio di fotografie di nudi”, e ancora “ Cerco un bruno dalle mani forti e di buona indole per posare per il manifesto del Museo dell'uomo del Nordest, pago 30 reali”. Sono inserzioni menzognere e ambigue che a volte riprendono i codici degli annunci erotici mascherati e che instaurano una provocazione evidente in chi li legge. Quello che interessa l'artista è giungere a un incontro che mantenga una dimensione di ambiguità in cui la differenza di potere tra ricercatore e soggetto sia neutralizzata. In un'altra saletta della galleria una lavagna luminosa permette di leggere alcune delle schede numerate che l'artista ha compilato dopo ogni incontro o contatto telefonico: “Operaio sposato chiama chiedendo dell'annuncio per la fotografia di nudi. Chiede se può venire con due amici, dico di no, spiego che è uno al giorno, smettono di chiamare”. “Richiamo avvisando che c'è un posto per fotografare oggi nel tardo pomeriggio. Dice che sta lavorando e mi passa un amico interessato. L'amico chiede quanto offro e mi riattacca in faccia”. Sono provocazioni che insinuano volutamente elementi di tensione, desiderio, ambiguità nella ricerca e che rispondono ad una strategia precisa: “non che non ci si possa liberare dalle situazioni di soggezione – spiega Suely Rolnik - ma il proprio corpo sa che perché questo accada non basta una presa di coscienza, perché situazioni del genere coinvolgono politiche del desiderio e della soggettività iscritte nella memoria del corpo. Bisogna sopportare la tensione dell'abisso e la sua crudeltà per inventare azioni, immagini, narrazioni” (in Jonathas de Andrade, 4000 Disparos, 2011).

 

 

Jonathas de Andrade, Cartazes para o museu do homem do nordeste, Kunsthalle Lissabon, 2013

 

Nei Cartazes ogni manifesto è documento di un incontro, traccia di un'ambigua e ironica apertura, rappresentazione e presenza del corpo e dello sguardo. Le fotografie mostrano una dimensione seduttiva, a volte sensuale, mai statica e catalogatoria. L'oggetto è proprio questo tempo dell'incontro, le possibili declinazioni che assume, il coinvolgimento dei soggetti e dell'artista che non impegna solo il suo sguardo ma è una presenza corporea che provoca e partecipa a quello che chiama il momento della “spudoratezza”.

 

Jonathas de Andrade, Cartazes para o museu do homem do nordeste, 2013

 

Le immagini che ne risultano sono sottilmente ambigue, sempre controllate: mostrano la naturale vanità del farsi fotografare, la delicata malizia dello sguardo dell'artista e si liberano di qualsiasi cliché etno-turistico senza concedere nulla a banalizzazioni erotiche. La scritta Museu do homem do nordeste compare ironica in ogni poster e la sua grafica muta di volta in volta: le parole sottolineano le figure, danzano attorno ai volti, li coprono. Quella che dovrebbe essere un’indicazione, l'affermazione di una definizione culturale, è variamente spaziata e ingrandita, a volte stampata in diagonale: sembrano altrettante prove grafiche di una campagna pubblicitaria per un prodotto di consumo. È l’unicità della nozione di “uomo del nordest” che si scompone, si disfa nei ritratti dei manifesti: lo stereotipo, definito, avvilito e venduto ora deve essere distrutto, divorato, digerito, perché possa di nuovo manifestarsi nella sua vitalità.

 

Jonathas de Andrade, Museu do homem do nordeste, 2013

 

Ed è quanto avviene nel libro che l'artista ha realizzato per la mostra (Museu do homem do nordeste, edito da Kunsthalle Lissabon con Tijuana e Mousse, 2013). In questo senso l’istallazione è l’evento, il rituale e la scelta; il libro l’opera. Il libro è l’opera perché è la memoria dell’artista, memoria intima, non condivisa nell’incontro ma ricordo di una visione corporea. I manifesti non sono riprodotti integralmente ma tagliati nella dimensione della pagina. L’ “inquadratura” allora cambia, scompone l'immagine, la fa a pezzi e centra la parte, il gesto, l’oggetto. Lo sguardo è negato, quello che domina è il corpo, le sue attitudini e posture sono sezionate, il desiderio non è più guida di una narrazione ma sovrasta la memoria che fornisce solo la materia dell'incontro e cancella lo spazio d'apertura. Il titolo del museo perde la funzione ironica che aveva nei manifesti. La scritta ormai spezzata, interrotta, appare a tratti e ci ricorda solamente lo smembramento avvenuto.

 

Jonathas de Andrade, Museu do homem do nordeste, 2013

 

Il libro in questo senso non è più luogo dell'uomo del nordest ma proiezione dell'artista, museo intimo, tensione sperimentale di un linguaggio che fa del corpo l'oggetto/soggetto ossessivo. Quattro brevi capitoletti appaiono tra le pagine: “Divorando e saccheggiando”, “Oggetto”, “Antropologia applicata”, “Dipartimento di etica e colpevolezza”. Nei testi l'ironia e la provocazione degli annunci è ora rivolta al fruitore del libro-museo: “una soluzione definitiva e irrevocabile è sopprimere l’ossessione dell’immoralità e stabilire un contratto chiaro – suggerisce Jonathas - chi morde autorizza a farsi mordere. In questo modo, l'acquolina, l'olfatto e eccesso di desiderio aprono cammini che riposizionano l’idea stessa del saccheggio. La continuità tra potere e fragilità è bilanciata da un gioco del corpo, come una capoeira, dove il contatto con l'occhio definisce quando è una lotta con le proprie colpe o una danza con le proprie grazie. E dopo uno sconvolgimento psicologico un pensiero: tutto per il possesso reale della vita! ”.

 

Jonathas de Andrade, Museu do homem do nordeste, 2013

 

È profondo ottimismo quello che emana dal lavoro di Jonathas de Andrade: una sensualità disimpegnata e per questo profondamente politica: il museo dell'uomo del nordest si annuncia come l'apertura di uno spazio di libertà, racconto e auto-racconto di un presente che non vuole più subire la propria immagine, ma viverla, smembrarla e ricomporla. L’uomo del nordest è l’artista che divora la propria cultura, la sua opera è “il luogo del respiro assoluto, dell'esperienza radicale, del desiderio non realizzato, dell'urgenza delirante, della chiamata al coraggio e anche della paura, del fuoco e della fuga” . I manifesti di Lisbona sono solo un annuncio, un richiamo da cui partire. Il progetto continua e il resto lo vedremo a settembre, alla prossima Biennale di Lione.

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