I 100 anni di AG Fronzoni, maestro d’essenzialità

5 Marzo 2023

Ho conosciuto AG Fronzoni (1923 - 2002) verso la fine degli anni settanta all’Istituto Statale d’Arte di Monza, la scuola di design più straordinaria del panorama scolastico italiano di quello scorcio di secolo, della quale lui è stato uno dei fondatori e dove io, da poco laureata, avevo incominciato a insegnare Storia dell’Arte.

Il ricordo del nostro primo incontro non è mai stato offuscato dalle frequentazioni successive del nostro decennale rapporto didattico, ben presto trasformatosi in amicizia.

Eravamo in un’aula di quella scuola che aveva sede nella Villa Reale di Monza, al piano terra dell’edificio che un tempo era stata la Cavallerizza progettata dal Canonica e dal Piermarini, trasformata in contenitore per aule da un restauro assurdo e irrispettoso. Ma oramai non ci si poteva fare più nulla, e se non si pensava allo scempio architettonico compiuto non eri in cc. che giustamente Fronzoni non perdeva occasione di criticare – almeno le aule erano spaziose, candide e persino vivibili. 

AG ne aveva scelta una al piano terra, a sinistra dell’ingresso, con una magnifica finestra aperta sulla fontana e sul boulevard di accesso alla Villa, dalla quale sembrava entrare un tempo sospeso sotto forma di luce, tant’è che ci si stupiva sempre, mi raccontavano gli allievi, quando la campanella suonava il termine delle sue ore di lezione.

La prima volta che incontrai AG, dicevo, lui stava parlando ai suoi (e miei) allievi di primo anno di un libro di Design da poco uscito in Italia. Forniva sempre loro una ricca bibliografia, mostrando in ciò il grande rispetto che aveva per le loro intelligenze, così come, più in generale, lo rivelava il suo metodo didattico. Spesso, come fece anche quel giorno, leggeva a voce alta un brano di qualcuno dei libri consigliati e, dopo averlo letto, lo scriveva sulla lavagna, invitando gli allievi a ricopiare la frase e a riprodurre la sua grafia, per ‘allenare’ la mente e la mano.

Fronzoni era un educatore, oltre ad essere un maestro ineguagliato nella sua disciplina, il Graphic Design. Per questo preferiva “prendere” le classi dal primo anno e non dal terzo, come prescritto invece dal regolamento di istituto. Infatti, la scuola era suddivisa in un biennio propedeutico e in un triennio di indirizzo. Di regola, quindi la Progettazione di Comunicazione Visiva, così come quella del corso parallelo di Industrial Design, veniva insegnata a partire dal terzo anno. Ricordo che il preside di allora, Gianfranco Moneta, emulato poi da quasi tutti i suoi successori, aveva concesso a Fronzoni una deroga alla regola, consapevole che il maestro preferiva formare i suoi allievi fin dal primo anno, così come avevano amato fare anche Paul Klee e László Moholy-Nagy al Vorkurs del Bauhaus.

Un altro ricordo indelebile riguarda una classe che condividevamo da tutto il triennio e che era arrivata in quinta. Era verso la fine degli anni ottanta. In previsione dell’esame di Maturità, si trattava di preparare la mostra finale da presentare alla commissione. Anche questa, infatti, era una magnifica tradizione della nostra scuola: gli allievi presentavano i propri elaborati realizzati in varie discipline, in un exibit di cui curavano anche l’allestimento, destinato ai membri della commissione d’esame, per presentarsi e farsi conoscere meglio di come avrebbe potuto fare qualunque ‘profilo’ scritto.

Quella fu una maturità straordinaria. Io ero stata scelta dalla classe come membro interno. Non potrò mai dimenticare le espressioni stupite, ammirate, addirittura estasiate di quei docenti ‘esterni’ quando entrarono nell’aula della mostra della V E. Un cubo trasparente galleggiava nell’aria pendendo dall’alto soffitto a volta del vasto laboratorio affacciato al cortile dove questa si trovava. Lo componevano 28 stringhe di carta acetata incolore, alta ciascuna 4 metri (fino ad una distanza di mezzo metro dal suolo) e larga 50 centimetri. Una stringa per ogni studente, sulla quale erano appesi, fronte e retro, i suoi lavori. Tra l’una e l’altra c’era ampio spazio per passare, poiché il lato del volume, con i suoi vuoti, era, trattandosi di un cubo, di 4 metri esatti. Un allestimento potente e allo stesso tempo etereo, forte e gentile e, come tutte le opere del maestro, comprese quelle da lui ispirate, elegante. Un capolavoro minore, certo, ma non per questo meno grande, perché era la prova dell’efficacia del suo insegnamento. Nell’archivio della scuola si conservano ancora copie del pieghevole che lo accompagnava: ovviamente bianco in formato quadrato, di 20 cm per lato, sulla cui copertina, accanto al logo della scuola (come si sa opera di Fronzoni) era stampata in nero soltanto la planimetria della mostra, 28 piccoli segmenti orientati secondo andamenti angolari, con all’interno i soli nomi degli allievi-autori.

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AG Fronzoni e la classe che due anni dopo sarebbe diventata la V E, seduti sugli scalini della Villa Reale di Monza. La sezione dedicata ad AG Fronzoni nella mostra Una scuola per il domani. Dall’ISA di Monza al liceo artistico Nanni Valentini, allestita alla Triennale di Milano nel 2018. Un allievo della scuola in azione come guida. Sullo sfondo il logo dell’ISA di Monza progettato da AG Fronzoni (ph. Ghianda).

Fronzoni vestiva di nero, come Strehler, come gli esistenzialisti, categoria alla quale forse, in fondo, apparteneva: lupetto nero; pantaloni neri, un po' ampi sulle cosce e stretti alle caviglie; scarpe in tela cinesi, o polacchine stringate, ovviamente nere; occhiali neri, tondi alla Le Corbusier e capelli e barba candidi (che prima aveva avuto neri). Solo d’estate si concedeva una casacca bianca. AG era, infatti, al contempo fedele osservante della religione malevičiana del bianco e del nero ed anche suo sacerdote, e di essa aveva informato non soltanto il suo lavoro progettuale, ma anche la propria persona e ne diffondeva il credo fra gli allievi-accoliti, rinserrati assieme a lui nella torre d'avorio, come lui stesso amava chiamare lo spazio fisico-culturale in cui permaneva e si muoveva. Così ne ha scritto:

Io conduco silenziosamente, nella mia piccola torre d’avorio, questa battaglia contro lo spreco, tentando di costruire oggetti comunicativi liberi da ridondanze, cercando di mettere le mani sull’essenza degli oggetti e di comunicarla in lealtà agli altri.

Come Kazimir Malevič che aveva svolto un’intensa attività didattica, anche Fronzoni ha avuto una lunga carriera di insegnante, durata fin quasi al suo ultimo giorno di vita.

E oggi, 5 marzo 2023, nel centenario della sua nascita, molti dei suoi allievi di tutte le scuole in cui ha insegnato, italiani e stranieri, compresa la scuola-bottega di Via Solferino, da lui fondata e diretta, si sono riuniti all’ADI Design Museum per festeggiarlo, nell’unico modo che avrebbe incontrato la sua approvazione, ovvero mostrando a tutti il proprio lavoro. (Una sua allieva, Ester Manitto, è anche autrice del volume:A lezione con AG Fronzoni. Dalla didattica della progettazione alla didattica di uno stile di vita”.)

Frattanto, nella sede milanese dell’Aiap, è allestita la rassegna 31/100 AG Fronzoni. Visitabile da sabato 4 marzo a venerdì 17 marzo, racchiude nel titolo la memoria di due eventi, 31 e 100: 100 anni dalla nascita del maestro e 31 anni dalla storica mostra Manifesto-trentanove poster di AG Fronzoni, curata da Franco Achilli e tenutasi nel 1992 presso la vecchia sede di Via Col di Lana dell’Aiap stessa, il cui manifesto è diventato un must.

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A G Fronzoni con Heinz Waibl e Italo Lupi in occasione dell’inaugurazione della mostra Manifesto-trentanove poster curata da Franco Achilli, Aiap, dicembre 1992 (ph. Aiap). AG Fronzoni, manifesto per la sua mostra Manifesto-trentanove poster.

Asimmetria e minimalismo

Insieme alla lezione del bianco e del nero, a caratterizzare la poetica progettuale fronzoniana sono l'essenzialità e l'equilibrio compositivo delle sue creazioni. Si tratta nella fattispecie di un equilibrio instabile, non certo indifferente e neppure precario, ad ogni modo perfetto anche se conseguito al limite dell'equilibrismo e con l’abiura della simmetria.

La simmetria appartiene al passato, mentre l'asimmetria è moderna, perché è dinamica, ed è un punto fermo per il progettare contemporaneo.”

E così le lettere tipografiche (ovviamente sans-serif) e le forme da lui create (assolutamente geometriche, spesso quadrate o costituite da rettangoli aurei) si dispongono nello spazio secondo andamenti non ovvi e mai banali per di più dotati di dinamismo, quasi dovessero danzare dentro i limiti del foglio in cui sono inserite al ritmo di accordi jazz, musica che il loro ideatore così tanto amava ascoltare.

Nella scuola di Platone, ad Atene, c’era un cartello che suppergiù diceva: “scuola di filosofia chi non è studioso di geometria, non entri”. La forma è bellezza, qualcuno ha detto che la bellezza salverà l’uomo: non so se sia vero, ma so che la forma mi è utile, anzi indispensabile, anzi preziosa, per inviare un messaggio che è messaggio di pensiero.” 
Sosteneva Fronzoni.

Una delle espressioni che gli erano più care era Less is more. Adoperata per la prima volta nel 1855 dal poeta inglese Robert Browning fu fatta propria da Mies van der Rohe, dal quale gli perviene, essendo Mies uno dei suoi idoli. Le sue creazioni sono infatti connotate da un minimalismo formale a cui egli approda con un lavoro di successive sottrazioni (di forme, di testi, di spazi e perfino di contenuti) nella inesausta ricerca della semplicità.

“Dobbiamo puntare alle cose essenziali, eliminare ogni effetto ridondante, ogni inutile fioritura, per elaborare un concetto su basi matematiche, sulle idee fondamentali, sulle strutture elementari; abbiamo fortemente bisogno di evitare sprechi ed eccessi.”

La poetica dei margini

Un’altra delle caratteristiche compositive del linguaggio grafico di Fronzoni consiste nel suo prediligere i margini del foglio rispetto alla sua area centrale. E allora, come se le lettere e le forme fossero sottoposte a un magnetismo periferico, accade che esse si vengono a condensare nei bordi, raggruppate secondo andamenti lineari, a volte diagonali, oppure cubiformi o addirittura sinuosi, sia che si tratti di un poster, della copertina di una rivista o di un biglietto d’invito, fino ad oltrepassarlo quel margine del foglio, per andare oltre, alla conquista dello spazio. È il caso del manifesto per Aiap e anche del cartiglio d’invito alla sua mostra personale, allestita nel 1993 alla Reinhold Brown Gallery di New York, tanto per citare soltanto due esempi. Nel secondo, il monogramma agf, rigorosamente in minuscolo, eccezionalmente in corsivo, si aggetta arditamente oltre i limiti del foglio facendosi spazio esso stesso, per non dire volume. In questa fase finale della sua vita Fronzoni sembra infatti tornare a meditare sulle mai dimenticate suggestioni dello spazialismo di Lucio Fontana, di cui era stato amico e per il quale aveva realizzato nel 1966 il suo manifesto più famoso. Si tratta di quello per la mostra dell'artista argentino naturalizzato milanese alla Galleria Polena di Genova, entrato a buon diritto nelle pagine della Storia dell’Arte e non soltanto in quelle della grafica internazionale. 

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AG Fronzoni, per Valextra, valigia Forma Zero, 1962 e logo del brand; per Cappellini, Serie 64, (progettata nel 1964 e prodotta dal 1967); per Viabizzuno, lampada Quadra, 1962 (ph. dai siti internet delle rispettive aziende produttrici).

Gli oggetti di design

Nel 2014, una delle tre figlie di Fronzoni, Camilla Cristina, curatrice dell’archivio del padre, in un’intervista rilasciata al Corriere della sera (16 ottobre), così racconta dei mobili della Serie 64 da lui progettati:

“Era convinto che il superfluo fosse da abolire, un lavoro di sottrazione che applicava a tutto, anche ai mobili: secondo lui dovevano servire solo per organizzare gli spazi e potersi adattare a qualsiasi contesto. […] Nelle sue frequentazioni artistiche mio padre conobbe Edoardo Manzoni, che nel 1963 stava aprendo a Genova la nuova sede della galleria la Polena e gli chiese di occuparsi dell'allestimento, assieme alla ristrutturazione di casa sua. I primi arredi nacquero così, per quei due spazi.” 

A costituire la quintessenza dell’essenzialità di questa serie minimalista ed elegantissima sono tavoli quadrati con il lato di un metro, accostabili in modo da comporre piani da appoggio più lunghi o più larghi; coffee table trasformabili in sedute con la semplice aggiunta di un cuscino; librerie componibili e sedie, tutti realizzati in tubolare metallico a sezione quadrata con i piani in legno, anch’essi a modulo quadrato, rigorosamente bianchi o neri.

“Lineari, li inserì persino nel barocco Palazzo Balbi, eppure riuscivano ad armonizzarsi anche lì”, continua la figlia che ha trasformato in museo una stanza della propria abitazione, completamente allestito con la Serie 64, dove conserva anche la maggior parte della produzione grafica del padre.

La Serie 64, inizialmente realizzata da piccoli laboratori artigianali e solo su commissione, dal 1967 a tutt’oggi è prodotta in serie da Cappellini.

Gli oggetti di design disegnati da AG non sono moltissimi, ma sono tutti dei capolavori di essenzialità e di infinita grazia. Come non menzionare la lampada Quadra di Viabizzuno (1962)? Si tratta di un quadrato bianco retroilluminato (oggi trend attualissimo!) appeso alla parete su cui giocano luci e ombre. O ancora la mitica valigia Forma Zero per Valextra (1962). Per quel brand Fronzoni ha progettato anche il logo. Altri suoi progetti di design sono rimasti allo stato di abbozzo, avendo egli dedicato ogni propria energia creativa, dagli anni settanta in poi, al Graphic Design, disciplina della quale è uno dei più insigni maestri di levatura internazionale.

Vorrei concludere questo suo breve ritratto con le parole di Alessandro Mendini: 

Ho passato cinque anni della mia vita tutte le mattine assieme a Fronzoni. Facevamo in coppia la rivista Casabella, stessa stanza, stesso tavolo. Una intensissima prova umana e intellettuale. Quando iniziammo e lo conobbi nel 1965, io mi chiamavo Sandro, tutti mi chiamavano Sandro.
Subito lui mi disse “No tu non ti chiami Sandro, il tuo nome è Alessandro, anzi A punto Mendini, nella grafica non c’è spazio per diminutivi, per messaggi sentimentali”. Da quel giorno, con una certa mia dissociazione, divenni A. Mendini, come lui aveva detto di sé “Io sono solo un marchio, mi chiamo A. G. Fronzoni”. Anche Germano Celant fu cambiato in G punto Celant. I nostri nomi e cognomi, perfezionati nel lettering, divennero per cinque anni puri riferimenti segnaletici e nulla più, una specie di anonimato, accentuato dall’integralismo del piccolissimo carattere Elvetica che componeva non solo i nostri nomi, ma anche tutta la Casabella da lui impaginata in maniera “quadrata”. Questo che sembra un aneddoto esprime invece la struttura profonda del pensiero determinista di Fronzoni. (…) Fronzoni in realtà si chiamava Angiolo [Giuseppe], ma quel nome di battesimo così simbolico e dolce lo infastidiva, lui così rigido e illuminista non voleva proprio essere un angelo… e gioca anche questo Angiolo negato, se nascose se stesso dietro la fredda e impersonale sigla di A. G. Fronzoni, divenuta poi più tardi AG Fronzoni, avendo addirittura eliminato i due punti.

In copertina, un foto-ritratto di AG Fronzoni (ph. Aiap). AG Fronzoni mentre firma a Pierluigi Ghianda una copia dell'Almanacco da lui progettato che raccoglieva le conferenze tenute dai docenti dell'ISA di Monza, orchestrate da Marco Belpoliti, alla mitica Libreria Manzoni, fine anni ottanta (ph. Ghianda).

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