Speciale

Elio Grazioli | Paolo Gioli / Duchamp. Fontane e altro

24 Aprile 2017

Cosa non ha scatenato Fontana di Duchamp da cent’anni a questa parte neanche Saâdane Afif ce lo saprà mai dire in maniera esauriente. Questo artista, Afif, ha vinto nel 2009 il Premio Duchamp del Centre Pompidou con un progetto intitolato The Fountain Archive, che a gennaio il prestigioso museo parigino ha esposto nel suo stato attuale. Si tratta per l’appunto del più completo archivio sul readymade di Duchamp mai messo insieme, ovvero di come compare riprodotto nelle pubblicazioni che Afif ha rintracciato a livello internazionale

 

 

Del resto i siti su di esso si moltiplicano tuttora, e le immagini che vi si rifanno, anche fuori dal mondo dell’arte, ragazze e ragazzi con scritto R. Mutt sul braccio o non so dove, vestiti a forma di Orinatoio… insomma è diventato uno scandalo di successo planetario – anche in Cina: si ricorderà il famoso quadro di Shi Xinning con un attonito Mao Zedong che lo scruta.

 


Molti gli artisti che vi si sono rifatti, degli italiani ne abbiamo interpellati almeno tre storici, che ci hanno dato tre versioni così diverse, e direi complementari, necessarie in realtà secondo noi a dare almeno un assaggio delle sfaccettature dell’opera in questione, nonché della personalità del suo autore e della sua influenza. Si sarà notato come Baruchello miri all’intelligenza complessiva, Patella alla forma per così dire psico-linguistica, mentre Gioli rende esplicito il rimando corporeo-sessuale, nonché alchemico. Duchamp è stato tutto questo, e anche il readymade, non lo si può ridurre al suo aspetto di provocazione o a quello formale. Si ricorderà che Duchamp, in difesa e a spiegazione del gesto di Mutt, nel testo pubblicato sul numero speciale della rivista The Blind Man dedicato al “Caso Richard Mutt” non lo difendeva esteticamente ma piuttosto eticamente da un lato (se lo statuto dell’esposizione diceva che qualsiasi opera presentata andava accettata senza discriminazione né giudizio, cioè ogni opera era “d’arte”), dall’altro lo legava piuttosto a quella che dichiarava essere niente meno che l’invenzione più rappresentativa degli Stati Uniti d’America, ovvero l’“idraulica”! Metafora interessante, no?, specie oggi che si parla da ogni parte di “società liquida”.

 

Carla Subrizi ha aggiunto altre rielaborazioni dirette di Fontana e molte altre se ne possono evocare. A me viene in mente in modo particolare, per ricordo personale, una lettera aperta di Mattia Moreni per una fanzine che fabbricavo con Marco Cingolani alla fine degli anni ottanta e che si chiamava Ipso Facto. Moreni parlava in modo particolare di Duchamp, a sua volta con una metafora alquanto insolita, un po’ macabra, direi, ma curiosa: “Ho conosciuto Duchamp prima della morte: aveva gli occhi fosforescenti di quelli che stanno per morire fosforescenti”. Voleva dire di una luce – mi pare che rimandasse a una citazione da Goethe – che si stava esaurendo, spegnendo? Comunque, poi prendeva di mira proprio Fontana esplicitando un pensiero che molti devono aver avuto: e se l’Orinatoio tornasse alla sua funzione? Se ci pisciassimo dentro? Magari dentro il museo stesso: “Pisciare, oggi, nel pisciatoio di Duchamp al museo di Filadelfia, sarebbe un avvenimento performato illibato, oltretutto intenso – dove l’operazione coincide con il sublime – quanto quello di esporlo, chiamandolo Fontana”. A parte il rovesciamento del readymade, la sua restituzione alla realtà, verrebbe rovesciato anche lo scandalo con uno scandalo opposto, ma sublime.

 


Non molti ricorderanno che già il trio Gilles Aillaud, Eduardo Arroyo e Antonio Recalcati aveva “raddrizzato” l’Orinatoio – e restituito anche al luogo di origine, non al museo ma alla toilette pubblica – nel loro Vivre et laisser mourir ou La fin tragique de Marcel Duchamp nel 1965, dove l’orinatoio figura appeso su un fondo di piastrelle. L’opera a sei mani, accompagnata anche da un testo narrativo in stile thriller di “messa a morte” dell’artista, fece grande scalpore e non poche furono anche le proteste nei confronti dell’accanimento su un artista comunque così importante trattato in modo impietoso, ma diventò anche un manifesto della riscossa di chi difendeva le ragioni della pittura, non riducibile alla “retinicità” come Duchamp aveva preteso.

 

 

Quanto a Marco Cingolani, da parte sua ha cavalcato la metafora liquida di Fontana rivoltandola contro Duchamp e realizzato alla fine degli anni ottanta le serie – sia in pittura-collage, sia in miniscultura, come nella duchampiana Scatola-in-valigia, dove, si ricorderà, c’è una versione in miniatura di Fontana – intitolata significativamente Liquidare Duchamp, cioè appunto farla finita con tutta la storia a cui aveva dato adito, quel modo di considerare l’arte e il fare artistico.

 

 

In tempo non più di scandali un’altra restituzione è la ripresa di Fontana probabilmente più recente, esplicitamente intitolata America, di Maurizio Cattelan, del 2016. Si tratta, com’è noto, di un wc d’oro 16 carati installato in una toilette del Guggenheim Museum di New York. (In realtà il riferimento più diretto è naturalmente a Piero Manzoni e alla sua Merda d’artista, e alla famosa fotografia in cui si fece ritrarre con una scatoletta in mano sulla porta del gabinetto, ma non molti americani li conoscono e rimandano direttamente a Duchamp: vedi Calvin Tomkins). Pare che ci sia costantemente la fila fuori dalla porta: tutti ci vogliono pisciare dentro! Vendetta o godimento (da parte dello spettatore)? Fallimento o rivincita (da parte dell’artista)? Né l’una né l’altra, se capiamo bene Cattelan, cioè appunto l’aldilà dello scandalo, la sua spettacolarizzazione che vanifica le opposizioni, cent’anni dopo.

 

 

E non si dimentichi di pulirsi eventualmente con qualche pagina di Toilet Paper (come già intitolava la rivista di sua invenzione)!

Quest’ultimo è peraltro il titolo anche della serie, iniziata nello stesso 1965, di Vivre et laisser mourir, di Gerhard Richter, con il rotolo della carta igienica dipinto in sfocato, uno dei primi secondo questa modalità che lo renderà famoso.

 

 

Insomma tutta una storia si disegna a partire da Fontana, la quale, ricordiamolo ancora una volta, in realtà non fu mai esposta e venne smarrita subito dopo la famosa unica fotografia scattata per essere pubblicata nel dossier di The Blind Man. Sicuramente anche di questo ci vuole parlare Saâdane Afif: in fondo Fontana non esiste, potrebbe anche non essere mai esistita realmente, ovvero è di fatto, esiste nella forma delle riproduzioni e dei discorsi che si sono fatti e si fanno su di essa, di queste immagini fantasma e parole intorno, a cui abbiamo voluto aggiungere anche quelle del nostro piccolo omaggio.

Adieu.

 

Paolo Gioli

      

Ho sempre pensato alla Fontana di Duchamp come a un calco in negativo del bacino di un uomo. Svuotato di viscere e di testicoli ma comunque gran emanatore di sperma, dà vita a Marcel.

 

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