Ritorni a L'Aquila

6 Agosto 2013

In Quattro passi tra le nuvole (1942), Gino Cervi è un commesso viaggiatore che perde la coincidenza della corriera e si ritrova in un’Italia rurale, con usanze più primitive ma valori più solidi rispetto alla Roma piccolo borghese da cui proviene. Il bel film di Blasetti mi è tornato in mente prendendo l’autobus per L’Aquila dal terminal degli autobus di Roma Tiburtina. Poco distante c’è la nuova stazione dove arriva Italo, simbolo di una modernità che, a dire il vero, sembra già segnare il passo. Qui dai 15 stalli sono in partenza gli autobus che assicurano i collegamenti con l’Italia adriatica e dell’Appennino. Notava Giorgio Manganelli che la costruzione delle autostrade alla fine degli anni Settanta ruppe l’isolamento dell’Abruzzo col resto dell’Italia: una separazione non solo fisica ma anche mentale. Oggi in meno di un’ora e mezzo si arriva a L’Aquila e l’autobus – è un sabato di maggio – è pieno a metà di studenti che rientrano nel capoluogo per il fine settimana e di anziani che hanno finito di spicciare i loro affari nella capitale. Con me c’è Antonella Tarpino e insieme andiamo a presentare il suo Spaesati (Einaudi), un viaggio nell’Italia dei luoghi abbandonati che ha un capitolo sull’Aquila, un abbandono diverso dagli altri narrati nel libro e che nasce, naturalmente, dal trauma del terremoto del 6 aprile 2009.

 

Coppito c.as.e, luglio 2010

 

Ad accoglierci troveremo Antonio Di Cecco, un giovane ingegnere e fotografo aquilano che ha raccolto in In pieno vuoto (Pelitti e associati), libro fotografico a cura di Benedetta Cestelli Guidi, quasi quattro anni di sopralluoghi nelle ferite della città. È un libro che rimarrà, nel quale l’espressione artistica, il bianco e nero scavato, si coniuga con l’impegno civile, anche se la denuncia resta implicita: non c’è bisogno di geremiadi contro il piano C.A.S.E., le fotografie mostrano l’incongruità di un intervento di natura soprattutto mediatica. Riaffiorano nella memoria, come cinegiornali da Istituto Luce, le decine di viaggi di Berlusconi nei mesi che seguirono il terremoto con stentoree dichiarazioni, assecondate dal viceré Bertolaso, su una rapida ricostruzione; oppure una puntata di Porta a Porta dove il premier duettava col mellifluo conduttore (in studio era presente, ahimè, il sindaco Cialente).
Non mi pare che ancora sia stata colta fino in fondo la portata dell’operazione mediatica, da villaggio Potëmkin dei nostri giorni, che allora venne messa in atto e quanti furono consenzienti, anche tra la popolazione abruzzese, di una gestione dell’emergenza che occultava i problemi della quotidianità. Fu lampante, specie nei giorni del G8, un deficit di civiltà, in una terra dove il cittadino è ancora e sempre suddito dei nuovi Franceschielli e spesso scambia i propri diritti civili con le regalie del sovrano, ringraziando pieno di gratitudine per le concessioni che arrivano dall’alto.

 

L'Aquila, campagna, aprile 2009

 

Un paio d’anni dopo il terremoto ebbi una lunga conversazione con Raffaele Colapietra, storico ultra ottantenne che ebbe un momento di notorietà al di fuori dell’ambito accademico perché fu a lungo l’unico abitante del centro storico e così lo ritraggono Sabina Guzzanti in Draquila e Francesco Erbani nel Disastro. Era il giorno di ferragosto e Colapietra mi diede appuntamento su una panchina della Villa Comunale. Lo studioso la prese alla lontana, partendo dai grandi abruzzesi come l’abate Galiani, il trio d’Annunzio, Michetti, Barbella, creatori dell’immaginario dell’“Abruzzo forte e gentile”, fino a Benedetto Croce e Raffaele Mattioli da lui conosciuti personalmente e che lo incoraggiarono a non trascurare gli studi di storia locale. Proseguì raccontando come il capoluogo fosse poco amato dal resto della regione perché, come centro amministrativo, perpetuava l’abito feudale di tassi e tributi che aveva storicamente arricchito la città, e come il centro storico andasse svuotandosi già prima del terremoto, con i residenti che fittavano le stanze agli studenti dell’Università (massima risorsa economica cittadina) e il resto lo faceva quell’economia da centro-sud della Prima Repubblica (docenti, impiegati statali, piccolo commercio) che nel complesso ancora reggeva.

 

L'Aquila centro storico, luglio 2010

 

Il terremoto mise a nudo una società civile debole e divisa. Gli chiesi se l’abbandono del centro storico da parte della classe dirigente e il lungo pernottamento negli alberghi della costa poteva paragonarsi alla situazione della Francia del 1940 descritta da Marc Bloch ne La strana disfatta dove l’apatia della Terza repubblica terminava con un “Si salvi chi può” davanti all’invasione nazista. Il professore mi citò invece La disfatta, un romanzo di Zola sullo sbandamento dopo la sconfitta di Sedan e la Comune. Mi congedò lamentandosi che gli venivano continuamente richieste interviste, ma “Caro amico, mai che nessuno mi faccia sapere qualcosa!”.

 

L'Aquila centro storico, novembre 2010

 

Tornai ancora una volta all’Aquila un altro agosto e qui trascrivo vecchi appunti: “In città ancora regna il silenzio e i pochi turisti s’aggirano in un’atmosfera resa ancora più sospesa da un vento di scirocco. Il centro storico, presidiato da camionette di militari, è percorribile solo nello stretto rettifilo che dal Castello porta alla Villa comunale. Qualche negozio ha riaperto, qualcun altro protesta che non potrà riaprire per la nebulosità sui piani di riapertura”. Era il 2011.

 

Monticchio abitazione privata, agosto 2011

 

In città trovai Antonio Di Cecco, conosciuto a Paraloup, che mi guidò nei piccoli centri, dove era molto facile entrare nelle zone pericolanti. Riprendo il taccuino: “le case abbandonate di Paganica mostrano il contrasto tra la modernità e il mondo rurale d’origine. Le foto degli avi alle pareti ricordano un mondo antico ma che è appena di ieri. La modernità ha modificato il senso di appartenenza ai luoghi: non ci sono più bestie da accudire, resta forse qualche orto e pochi vecchi che resistono. Chi vince, per ora, è la natura che ritorna prepotente ad occupare le vie, le strade, le piazze, alterando antichi equilibri. Chiedo ad Antonio dei movimenti di resistenza, dei ‘carriolanti’. Mi risponde che è difficile tenere accesa la miccia della protesta molto a lungo, che ci sono divisioni tra i vari gruppi, anche se qualcuno pensa a una lista civica in vista della Comunali, in un momento di profonda sfiducia nei partiti”. Poi mi porta a vedere la casa dove è cresciuto, a Pettino, in un quartiere quasi totalmente abusivo. Qui è passata la faglia e la casa è gravemente danneggiata. Comprendo per la prima volta fino in fondo, immaginandomi la vita della famiglia di Antonio, come il terremoto sia un evento traumatico, definitivo – le 3.32 del mattino 4 aprile 2009 – e tutto è ora diviso tra un “prima” e un “dopo” e così sarà per sempre.

 

Pagliare di Sassa c.a.s.e, marzo 2013

 

È possibile superare i traumi, specie se collettivi? La casistica è ampia e non c’è una risposta definitiva. Da amici abruzzesi ho raccolto tanti racconti, reazioni di tipo diverso: chi si è trasferito altrove e ha interrotto ogni legame con il passato, chi si è fermato a quel giorno e non riesce proprio ad andare avanti, chi tenta con pazienza di ricostruire la propria vita personale, qualcuno prova a fare progetti comunitari, ma sono proprio questi che ogni volta si infrangono davanti allo smarrimento dei singoli. Il libro di Antonio di Cecco è una risposta personale – è ossessivamente tornato in quei luoghi per più di tre anni e ogni luogo suscita un ricordo – che ha messo a disposizione della collettività. Quelle foto parlano a noi, alla nostra buona volontà.

 

Preturo m.a.p., luglio 2010

 

Arrivati a L’Aquila Antonio ci accoglie gentile e sorridente come sempre. Ci informa che i genitori hanno ristrutturato una casa nella zona di Sant’Elia e, in generale, chi ha avuto un po’ di soldi dallo Stato sta cercando di arrangiarsi per mettere a posto le proprie case. Con Antonella, prima dell’incontro, giriamo per il centro; un po’ di strade sono state aperte, l’esercito sembra aver allentato un po’ la guardia, i puntelli con gli snodi dorati sono stati sostituiti da altri, più sobri e soprattutto meno costosi, dato che sono in affitto. È sabato pomeriggio e per le strade del grande centro storico, cresciuto intorno a una città di fondazione duecentesca ricchissima di chiese, palazzi, opere d’arte, c’è un embrione di struscio.

 

Sant'Antonio c.a.s.e., luglio 2010

 

I centri nevralgici della vita civile (i luoghi dello Stato, le scuole, le biblioteche) sono ancora tutti trasferiti nell’immenso territorio comunale dove la vita civile si svolge quasi solo ricorrendo all’automobile. Una visita più approfondita è rimandata alla mattina successiva. Dopo l’incontro, a tavola, si passano in rassegna tutte le iniziative di buona volontà (gli storici dell’arte, gli incontri delle varie associazioni), ma anche le voci che si rincorrono sui piani di ricostruzione: quali aree privilegiate nei piani di ricostruzione, a quali interessi sono legate, il rapporto tra le élites locali e gli interessi che vengono da fuori (un’agenzia immobiliare del nord ha aperto una sede nel centro storico). La crisi economica ha rallentato ulteriormente le pratiche di risarcimento danni che quasi tutti attendono per decidere cosa fare dei propri immobili. In realtà, girando per il centro il giorno dopo, è facile comprendere come molta brutta edilizia degli anni del boom, gravemente danneggiata, andrebbe semplicemente abbattuta. L’Auditorium provvisorio di Renzo Piano, costruito con l’aiuto della Regione Trentino, è stato aperto e poi chiuso per la mancata agibilità. Visitando altre parti del centro, Quarto San Pietro, intorno alla chiesa di San Domenico, i segni di vita sono pochissimi. Striscia qualche gatto, i rumori dalla piana arrivano attutiti. È una bellissima giornata di sole e l’aria fresca scende dalla montagna. Sono passati quattro anni e dire cosa succederà non è ancora possibile.

 

Tutte le fotografie sono tratte dal volume di Antonio Di Cecco, In pieno vuoto. Uno sguardo sul territorio aquilano, a cura di Benedetti Cestelli Guidi, Peliti Associati, Roma 2013

 

 

 

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO