Mircea Eliade. Uno sciamano contemporaneo

8 Giugno 2015

Mircea Eliade (1907-1986) è con ogni probabilità lo studioso di religioni più noto e influente del Novecento, grazie al fascino del suo pensiero e di un’indubbia capacità di scrittura. Lo studioso romeno, poi radicato negli Stati Uniti, è considerato tra i fondatori della cosiddetta “Chicago School” di storia delle religioni e ha scritto libri che sono autentici best-sellers, oltre ad avere una prolifica produzione letteraria di fiction, al punto da figurare alla fine degli anni Settanta tra i potenziali candidati al premio Nobel per letteratura.

 

Mircea Eliade

 

Anche Hollywood non è rimasta estranea all’aura sapienziale dello studioso: Francis Ford Coppola ha realizzato Un’altra giovinezza (Youth Without Youth, 2007) ispirandosi al romanzo di Eliade (1981), non privo di tratti autobiografici, intitolato Giovinezza senza giovinezza. Lo ricordo come un film a tratti imbarazzante: nella Romania degli anni trenta un professore in crisi, erudito e studioso di religioni, miti e antichità viene colpito da un fulmine e ringiovanisce; reduce da una tragica vedovanza, incontra diverse reincarnazioni di una divina Sophia/eterno femminino che lo portano, attraverso ipostasi della sapienza indiana, egizia e sumera, vicino alle radici preistoriche del “linguaggio unico e originario” di tutta l’umanità; intanto i nazisti lo inseguono per scoprire il mistero della sua giovinezza e i suoi poteri. Al netto di scelte kitsch e delle semplificazioni sulla biografia intellettuale di Eliade, Coppola coglie bene il modo in cui l’insegnamento di Eliade è stato percepito e talvolta idolatrato.

 

Ora, la cultura in cui Eliade si forma, e di cui diventa un simbolo, è caratterizzata dalla definizione dell’autonomia del sacro, del mitico e del simbolico nel primo Novecento, tra differenti metodi e prospettive (etnologia, fenomenologia, sociologia, filosofia, psicologia). In parte riflette la storia delle religioni ottocentesca, in cui l’ossessione per le origini e la presenza di pregiudizi primitivisti portano alla sovrapposizione di fenomeni di tipo psicologico, sacrale e linguistico; e in parte radicalizza e amplifica tali idee mischiandole con le derive culturali e identitarie dei nazionalismi novecenteschi, nel loro sovrapporsi a pregiudizi razziali radicati nei saperi antichisti e orientalisti.

 

Fin dal celebre Trattato di storia delle religioni del 1948, Eliade è sempre stato al centro di entusiasmi e critiche, con interlocutori importanti come Georges Dumézil, Raffaele Pettazzoni, Ernesto de Martino; e la dimensione politico-ideologica del suo lavoro, temi e metodi, è risultata altrettanto problematica a molti fin dall’inizio. Del suo passato politico già discussero Cesare Pavese ed Ernesto de Martino negli anni Cinquanta (si veda a proposito il carteggio tra i due presentato ne La collana viola, Bollati Boringhieri 1991, e curato da Pietro Angelini). Negli anni Settanta poi, grazie alla pubblicazione di materiale proveniente dal periodo romeno, studiosi come Vittorio Lanternari, Alfonso Di Nola e Furio Jesi cominciarono a mettere in luce la giovanile militanza di Eliade nella Guardia di Ferro e le potenziali ripercussioni di tale scelta ideologica sui suoi lavori accademici. In particolare, Eliade era legato profondamente a Nae Ionescu, filosofo presso l’Università di Bucarest e tra i principali ideologi del movimento romeno di estrema destra caratterizzato da ultranazionalismo violento, ispirazione mistico-religiosa, odio antimoderno, antiborghese e antisemita. Le ragioni di questa militanza sono strettamente legate all’interesse per il “sacro” che caratterizza l’idea eliadiana di “scienza” della religione; e in tal senso in anni recenti studi sulla cultura del periodo interbellico e postbellico si sono moltiplicati (si veda il lavoro curato da Horst Junginger, The Study of Religion Under the Impact of Fascism, Brill 2008).

 

In Eliade e nella poetica della sua produzione scientifica vibra la nostalgia di un mondo arcaico idealizzato e precedente la decadenza giudaico-cristiana che avrebbe aperto la strada alla modernità degradata e corrotta. La sua adesione al fascismo va quindi fatta risalire a convinzioni di ordine metafisico: un’ontologia naturalistica, primitivista, eternizzante ed essenzialista eclettica per le fonti, che innerva tutta la riflessione e che non è mai stata smentita. Daniel Dubuisson ha scritto in proposito: «Affermare che il campo religioso è astorico o transitorio, che trascende il mondo umano, significa adottare un punto di vista che colloca la persona che lo sostiene al di fuori delle regole e dei principi metodologici che fondano l’approccio dello storico delle religioni; e gli schiudono le porte della grande poesia o della metafisica» (Mitologie del XX secolo, Edizioni Dedalo 1995).

 

Il caso di Eliade ripropone, in questo senso, un discorso analogo a quello riguardante il rapporto tra la filosofia di Heidegger e la sua adesione al nazismo: è un buon punto di osservazione per cogliere le tensioni interne al rispettivo campo disciplinare e per mostrarne eredità, ipoteche e futuro.

 

Sciamanesimo senza sciamanesimo. Le radici intellettuali del modello sciamanico di Mircea Eliade: evoluzionismo, psicoanalisi, te(le)ologia (Edizioni Nuova Cultura 2014) di Leonardo Ambasciano riconfigura il problema e chiarisce i termini di un dibattito che dura da tempo: dottore di ricerca in Studi storici nato nel 1984 e autore del blog Tempi profondi. Ambasciano parte dall’elaborazione del tema dello sciamanesimo, offre al lettore prezioso materiale documentario inedito e mette ordine nella biografia intellettuale dell’autore.

 

Con fonti in diverse lingue e competenza sinottica il libro rimette al centro del pensiero di Eliade il tema dello sciamanesimo, di grande importanza nell’ambito degli studi antropologico-religiosi. Tale scelta permette di entrare nella galassia eliadiana – oltre 2500 lavori pubblicati, romanzi, racconti, epistolari, memorie, rapporti accademici e culturali – e illuminare snodi cruciali come il dibattito culturale sull’evoluzionismo, le radici religiose e politiche del pensiero, la produzione di fiction, e ancora «primitività, preistoria, estasi, fascinazione per il paranormale, spunti naturalistici, morfologia delle concezioni religiose, ruolo dell’élite religiosa, letteratura».

 

Mircea Eliade

 

Lo sciamanesimo appare in Eliade come un «fenomeno onnicomprensivo superorganico» (secondo la definizione di Thomas A. DuBois) che cerca l’analogia, la universalizza e la ontologizza, minimizzando l’esame etnografico circoscritto ai particolari ambiti culturali; emerge così una rielaborazione di ambiti che vanno «dalla psicoanalisi freudiana alla letteratura fantastica, dal mondo ortodosso alla paletnologia, dal folklore all’evoluzionismo, interessi che fondano senza soluzione di continuità non solo lo sciamanesimo, ma l’intero modello di ricerca di Mircea Eliade», scrive Ambasciano. Allo stesso modo viene condotta un’analisi approfondita del contesto romeno, in cui gli aspetti culturali sono strettamente intrecciati con quelli teologico-politici e religiosi. In Eliade «il rapporto tra politico e religioso fu declinato in maniera determinante durante gli anni interbellici secondo traiettorie ultranazionaliste, marcatamente esclusiviste e totalitaristiche in senso razzista, entro una cornice nella quale aveva particolare rilievo la politica reazionaria dell’“uomo nuovo”, rinnovato spiritualmente».

 

Per Ambasciano la matrice culturale che si mostra prevalente, rispetto a quelle pur presenti di natura teologico ed esoterica, è pero quella delle scienze naturali: una scienza che si lega fin dagli anni trenta alla biologizzazione del rapporto con il divino, secondo visioni metafisico-vitalistiche come quelle di Leo Frobenius e di padre Wilhelm Schmidt; figure le cui teorie richiamano alla mente il dottor Egon Unruhe, il sinistro “paleozoologo filosofo” che Thomas Mann mostrava nel Doktor Faustus (e dietro cui si celava il vero Edgar Dacqué, studioso di fossili e miti gradito ai teorici del nazismo).

 

L’arcaico e il modo in cui ad esso si guarda sono temi fondamentali per la cultura di ogni tempo e spesso dicono più sul presente che sul passato. Per Ambasciano Eliade ha adottato e veicolato un’ottica orientalistico-indianista che lo ha portato a sostenere «teorie già ai suoi tempi discutibili», e oggi insostenibili, ascrivibili alla presunta arretratezza dei “primitivi”, in cui risuonano temi politici, sociali e razziali. Idee capaci di attirare posizioni ideologiche anche lontane, che hanno fatto apprezzare Eliade da destra, da ambienti con simpatie magico-esoteriche ma anche da sinistra, in chiave prima hippies e poi post-moderna, come ha suggerito Carlo Ginzburg in un saggio recente (Mircea Eliade’s Ambivalent Legacy, in Hermeneutics, Politics, and the History of Religions: The Contested Legacies of Joachim Wach and Mircea Eliade, Oxford University Press 2010). Rispettato studioso di fama internazionale, Eliade ha avallato posizioni extra-scientifiche come «la convalida del paranormale, una generica religiosità sciamanica antica almeno di due milioni di anni, l’equiparazione tra Nativi australiani e neandertaliani ecc.», continua Ambasciano. Queste configurano una «primitività permanente» (Eugène Ionesco) come forma mentis che ha condotto la storia della religioni ad allontanarsi in modo drastico dalle scienze naturali, sfruttando o distorcendone temi e argomenti.

 

Questo è un punto centrale: la storia delle religioni di ambito fenomenologico e le scienze naturali nascono in parallelo come discipline moderne e si separano poi drasticamente, ma in modo tale che molta scienza delle religioni continui a mantenere nei suoi fondamenti una “paleoscienza” ricca di ipoteche metafisiche. In questo senso l’esaltazione del religioso in chiave di “filosofia della natura” si è accompagnata agli esiti ideologici, aprioristici dal punto di vista epistemologico e reazionario da quello politico. L’esito ulteriore di queste dinamiche nel sistema culturale è infine quello di proiettare la religiosità del presente in un (inesistente e idealizzato) mondo arcaico e di prefigurare un ipotetico «homo naturaliter religiosus», secondo un processo che attribuisce un’aura di finalismo alla storia delle religioni e delinea «una criptobiologia te(le)ologica sui generis».

 

Sciamanesimo senza sciamanesimo pone importanti questioni sullo statuto epistemologico degli studi sulla religione, mentre si apre la stagione delle scienze cognitive applicate alla religione, in Italia pressoché sconosciuti e/o guardati con sospetto. Con radicalità e rigore si esprime a favore dell’applicazione di metodi come «le scienze cognitive, la psicologia evoluzionistica o la geomitologia» e chiede di riflettere sul fatto che molta storia delle religioni tenda a «legittimare implicitamente la creazione trascendente di un senso (invece di limitarsi allo studio storico, scientifico e cognitivo di un tale bisogno)». In tempi di cortocircuito tra fedi e identità e in cui si vuole vedere ovunque un “ritorno del sacro” ragionare sulle fallacie di uno studioso come Eliade, sulla fortuna e sul magistero come sulla sovrapposizione tra letteratura e scienza, è quindi un buon modo per riaprire la discussione e affinare il senso critico su quello che diciamo quando parliamo di religione.

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