Marca e consumatori / Pubblicità

19 Marzo 2018

Le società contemporanee sono invase da un’enorme quantità di messaggi pubblicitari in tutti i loro principali spazi. Negli Stati Uniti, è stato calcolato che le persone passano mediamente circa tre anni del loro tempo di vita a guardare degli spot sugli schermi televisivi. Eppure, di solito non ci si preoccupa di porre dei limiti alla costante crescita di tali messaggi, sebbene oggi siamo in grado di conoscere piuttosto bene gli effetti sociali che questi producono. 

Le conoscenze disponibili sul funzionamento della pubblicità portano a ritenere che quest’ultima operi, più che determinando direttamente dei comportamenti d’acquisto, stimolando la nascita di una disposizione d’animo favorevole, che potrà successivamente tradursi nell’atto d’acquisto desiderato da parte delle imprese. Per ottenere questo risultato, i pubblicitari operano soprattutto cercando di associare ai prodotti dei significati e delle immagini piacevoli. Il consumatore odierno, infatti, più che la soddisfazione di bisogni di tipo funzionale, cerca nei prodotti numerosi significati di cui pensa di avere necessità nella sua vita sociale: il successo, il prestigio, il potere, il fascino, la bellezza, ecc.

 

Pertanto, i pubblicitari, per massimizzare l’efficacia dei loro messaggi, “catturano” dei significati che sono già conosciuti dai consumatori, cioè che sono già presenti nella cultura sociale, e li immettono nei prodotti venduti sul mercato. Basta dunque che la pubblicità affianchi nella stessa immagine, ad esempio, un flacone di uno sconosciuto profumo francese a un affascinante attore perché i significati socialmente attribuiti a quest’ultimo vengano percepiti come appartenenti al flacone stesso. E perché il consumatore sia portato a pensare che acquistando tale prodotto quei significati di bellezza che sono propri dell’attore possano trasferirsi a lui. La pubblicità, infatti, suggerisce sempre allo spettatore che la sua vita potrà migliorare se acquisterà quello che gli sta offrendo.

 

Ph Mayan Toledano
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Certamente, i messaggi pubblicitari indirizzati ai consumatori possono incontrare nell’ambiente sociale e di mercato anche degli ostacoli di diversa natura. Ai tradizionali fattori individuali che sono stati scoperti in passato dagli psicologi e che sono in grado di consentire alla mente umana di “filtrare” i messaggi pubblicitari ricevuti dai media (esposizione selettiva, percezione selettiva, memorizzazione selettiva), va aggiunta l’attuale problematica condizione della cultura sociale e del mondo dei media, che si caratterizza per un’elevatissima quantità di messaggi in circolazione. Si pensi, ad esempio, all’elevato numero di spot presenti in televisione all’interno di un singolo blocco pubblicitario, ma anche al fatto che i messaggi della pubblicità devono competere oggi con molti altri messaggi che lottano accanitamente per conquistare l’attenzione degli individui. La pubblicità però, nonostante ciò, funziona. Molte ricerche hanno mostrato infatti che i messaggi pubblicitari sono in grado di esercitare un notevole potere di persuasione sulle persone. 

 

Chi intende rinunciare a essere un passivo fruitore di quello che riceve e vuole porsi in un atteggiamento di lettura consapevole dei messaggi pubblicitari deve provare a scomporre questi ultimi nei principali elementi di cui sono costituiti. Può arrivare così all’individuazione dei più importanti significati da essi prodotti. Può cioè comprendere, ad esempio, che nei messaggi pubblicitari è presente una raffigurazione della realtà che è estremamente semplificata. In essa, infatti, le persone sono irreali, in quanto incarnano delle categorie demografiche o dei tipi sociali astratti, anziché degli individui definiti con precisione e realismo. Perché la pubblicità, avendo la necessità di comunicare velocemente e attraverso modalità semplici e prive di ambiguità, fa in modo che le espressioni facciali, le pose, i comportamenti e le situazioni che riguardano i soggetti rappresentati tendano verso un elevato livello di standardizzazione. Crea cioè quel fenomeno che il sociologo americano Erving Goffman ha denominato «iper-ritualizzazione» per indicare che la pubblicità trasforma in uno stereotipo socialmente condiviso l’immagine che comunica degli eventi, delle situazioni, delle attività e delle persone (soprattutto per quanto riguarda il loro ruolo sessuale). 

 

Ma è noto come sia principalmente attraverso l’impiego della marca che la pubblicità è in grado di produrre dei modelli di comportamento che possono influenzare le persone. L’impresa, infatti, utilizza la marca allo scopo di costruire una relazione con i consumatori che non comporti necessariamente di doversi impegnare in prima persona. E la marca, per poter ottenere questo risultato, dà vita a un proprio mondo culturale, che sviluppa appropriandosi di una porzione della più ampia cultura esistente all’interno della società. Un mondo culturale che viene dotato di una precisa identità e reso appetibile e coinvolgente agli occhi dei consumatori.

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