Buoni e cattivi / Siamo come funghi

16 Settembre 2017

In questa stagione nei boschi crescono i funghi. Forse anche funghi con effetti particolari, come quello su cui si è piazzato il bruco di Lewis Carrol. Dopo essersi staccato la pipa di bocca, il bruco propone ad Alice di mordicchiarlo: «Da un lato ti farà crescere, dall'altro ti farà diventare più bassa» (One side will make you grow taller, and the other side will make you grow shorter). A quel punto il bruco scende dal cappello del fungo, deve stava fumando la pipa, e Alice addenta il fungo, prima da un lato poi da un altro, e ne subisce gli effetti, diventando prima piccolissima e poi gigantesca.

 

A noi qui però interessano altri funghi, quelli che si raccolgono per diletto e si mangiano per piacere o anche soltanto per dar loro una destinazione, ché il diletto di trovarli supera abbondantemente il piacere di mangiarli. Questo tipo di funghi trova  posto nei boschi, ma raramente nella letteratura; lo nota Peter Handke, che sui funghi normali, anzi sui funghi porcini in particolare, ha scritto pochi anni fa uno strano romanzo Versuch über den Pilznarren, 2013 (Saggio sul cercatore di funghi, tr. it. Alessandra Iadicicco). Lì il coprotagonista (l'altro è l'autore stesso), un avvocato di successo nonché amico di infanzia dell'autore, dopo aver raccolto funghi da bambino (ma solo «quelli gialli», i funghi di San Giovanni, finferli, gallinelle o gallinacci o come volete chiamare il cantarellus cibarius) trova per la prima volta, a cinquant'anni, un porcino. L'incontro col nobile esemplare fungino gli cambia la vita e lo trasforma in un Pilznarre, parola intraducibile, forse un buffone dei funghi, una persona matta per i funghi, un «fungaio matto» (un fungiàtt, dicono alcuni dialetti del nord Italia).

 

E i funghi (porcini) saranno la sua rovina. Ora, nello scrivere questa bizzarra storia Handke nota, dicevo, che la letteratura non ama i funghi (quelli normali, non i funghi allucinogeni, che è un'altra faccenda). Nemmeno autori tipicamente frequentatori di boschi come i poeti americani Walth Withman e David Thoreau. Per non parlare di intere culture che disprezzano i funghi, e qui Handke cita arabi e indiani, sarà poi vero.  Conosciamo un breve riferimento micologico nel Leopardi delle Operette morali, dove il fungo serve egregiamente a parlare di illusione: l'illusione di scambiare una foglia secca per un fungo fresco. Sembra, dal tipo di riflessione, che Leopardi ben conoscesse quella forma di autoinganno seguita da delusione: sembrava un fungo ma non lo era: «o natura o natura... perché di tanto inganni i figli tuoi?».

«Andare a funghi»: mi piace molto e se posso lo faccio. Ho scoperto di condividere questa inclinazione con compari illustri: Norberto Bobbio, Gustavo Zagrebelsky, Sigmund Freud. Forse anche con Thomas Hobbes. Ma cominciamo col padre della psicoanalisi.

 

I funghi di Freud

 

Per sfuggire alla calura di Vienna, Freud trascorreva lunghi periodi di vacanze nelle montagne del Tirolo con la numerosa famiglia (sei figli, moglie e cognata); soggiornò in diverse località alpine nelle quali faceva passeggiate, contemplava il paesaggio, raccoglieva funghi. In una di queste località, Lavarone, vicino a Trento, Freud trascorse periodi abbastanza sereni, lavorando e rilassandosi ed effettuando escursioni attraverso i paesaggi alpini e i paesaggi dell'anima. Era ospitato all'Hotel Du Lac, in posizione solitaria sopra il Lago di Lavarone, da cui godeva una bellissima vista sulle acque e sulle cime circostanti. Alloggiata qualche tempo fa nel medesimo albergo in occasione di un convegno, mi ripetevo tra me e me che Freud aveva calpestato gli stessi gradini, aveva goduto dello stesso magnifico panorama, forse aveva persino raccolto funghi e ciclamini, la cui raccolta è oggi protetta e regolamentata, nei primi anni del '900 probabilmente no.

 

Freud era un maestro nel ricorrere al linguaggio metaforico per esprimere condizioni inesprimibili, come nella psicoanalisi dell'inconscio, dove Io, Es e Superio sono disposti come nei locali di una casa, col subconscio in cantina, il superio in soffitta e l'ego a farla da padrone negli ampi locali del pianterreno. Intorno alla casa dell'anima i sogni spuntano come funghi dalle oscure profondità notturne, dapprima nascosti e confusi nel sottobosco e poi riconosciuti alla luce della coscienza; è allora che lo scoprire i sogni nella loro evidenza grazie alla associazione di idee e di pensieri, dopo esserne andati «a caccia» come faceva Freud con i funghi, suscita la gioia del riconoscimento e del ritrovamento.

 

 

E i funghi di Hobbes

 

Thomas Hobbes, filosofo (anche politico) inglese del Seicento, uno degli inventori dello Stato moderno nonché propugnatore della teoria del contratto sociale, nella sua opera De cive (Il cittadino), del 1642, descrive lo stato di natura come formato da uomini (uomini, non donne) considerati astoricamente come «spuntati fuori dalla terra come funghi e giunti a piena maturità senza relazioni l'uno con l'altro». [Let us return again to the state of nature, and consider men as if but even now sprung out of the earth, and suddainly (like Mushromes) come to full maturity without all kind of engagement to each other. VIII,1]. Non soffermiamoci, per questa volta, sull'aspetto vagamente machista di questa visione, che non prevede famiglie, genitori e soprattutto madri che mettano al mondo gli uomini-funghi, già sottoposta in tempi recenti a vivace critica femminista. Ma criticata anche in tempi remoti, per esempio da un contemporaneo di Hobbes nonché grande fautore della concezione patriarcale dello stato-famiglia, Robert Filmer, al quale grande fastidio dava l'idea dell'individualismo. 

 

Soffermiamoci invece sulla metafora dei funghi cone descrizione dello stato di natura come condizione conflittuale individuale. Perché i funghi? Beh, perché in effetti sembrano spuntare fuori dalla terra uno qua uno là, di specie e qualità diverse, senza importarsene l'uno dell'altro. Ma soprattutto perché, immagino io dal momento che credo che nessuno abbia mai scritto qualcosa sull'argomento specifico («I funghi in Hobbes»), si prestano a impersonare esseri umani indipendenti, autonomi e anche egoisti e cattivi. I funghi si prestano a descrivere la natura matrigna e pericolosa, che la cultura buona e sollecita provvede ad addomesticare; lo stato di natura nel quale tutti sono in guerra l'un contro l'altro e ognuno, altra famosa metafora hobbesiana, ancora nel De cive, è lupo per l'altro uomo (homo homini lupus). In realtà, nota Freud, senza però citare i funghi, gli esseri umani sono ambigui: talvolta altruisti e generosi, talvolta aggressivi e egoisti. Buoni e cattivi, insomma, proprio come i funghi. 

 

Versione modificata del testo elaborato per le Giornate Europee del Patrimonio 2017 presso l'Archivio di Stato di Verbania.

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