Speciale

Buoni e giusti / Etica alimentare

25 Luglio 2017

La modernità, in nome della ragione, ha progressivamente espulso la dimensione etica dal suo orizzonte e soprattutto l’ha fatto la sua cultura economica. Non si può però che concordare con Serge Latouche quando sostiene, come ha fatto all’interno del volume Giustizia senza limiti, che è necessario riconoscere la necessità di «un’istanza superiore, anche alla legge economica. Questa istanza chiamata a pronunciarsi sul giusto, sul legittimo e in definitiva a formulare la legge, con il rischio inevitabile di sbagliare, non può essere altro che la società» (p. 202). La quale, dunque, dovrebbe cercare di stabilire delle regole di comportamento per tutti gli individui. Delle regole in grado d’intensificare maggiormente la dimensione etica.

 

La necessità di regole è evidente soprattutto all’interno dell’ambito alimentare. Perché tale ambito ha da sempre un legame particolarmente intenso con la cultura sociale. E la cultura, necessariamente, si basa su delle regole. In realtà, anche nel campo alimentare oggi le regole non sono più così efficaci e potenti come in passato. Un tempo, ad esempio, si mangiava a orari fissi, seguendo una precisa successione delle portate (primo, secondo, contorno e frutta) e rispondendo nel contempo anche a bisogni di socializzazione, mentre ora avviene sempre più frequentemente che si mangia a qualsiasi ora qualunque cosa e spesso da soli. Certo, oggi si stanno manifestando anche dei segnali di ricostituzione di nuove norme alimentari, come il recupero dei piatti e delle abitudini del passato in relazione alle principali cucine regionali italiane. La tendenza prevalente però è quella che ci sta portando verso una progressiva destrutturazione del sistema alimentare tradizionale.  

 

Va considerato del resto che negli ultimi decenni, nelle società avanzate, gli individui per nutrirsi hanno fatto prevalentemente ricorso a dei prodotti alimentari di origine industriale e che il progressivo prevalere di tali prodotti ha comportato un processo di standardizzazione e impoverimento della cultura alimentare tradizionale. Infatti, gli alimenti industriali non soltanto sono prodotti in serie, ma non vengono più consumati dove nascono e si è sviluppata di conseguenza la necessità di predisporre degli innaturali processi di conservazione. Inoltre, va considerato che gli “standard” su cui si basa la produzione alimentare di tipo industriale di solito non esistono in natura, perché vengono liberamente modificati da parte delle industrie. Vale a dire che si impone un processo attraverso il quale il gusto alimentare viene a essere progressivamente massificato e omologato.

 

Ph Davide Luciano.


Ciò appare evidente ad esempio nel caso di un prodotto come il vino, il quale, come ha illustrato il filosofo francese Michel Le Gris nel volume Dioniso crocifisso, in conseguenza dell’evoluzione che ha subito in Occidente nel corso degli ultimi secoli ha visto sempre più affermarsi un gusto banalizzato, sebbene particolarmente funzionale per la conquista di nuovi consumatori e nuovi mercati. Per le aziende alimentari, quindi, si è reso sempre più necessario ricorrere alla pubblicità e ad altri strumenti di comunicazione per associare dei significati ai prodotti al fine di renderli nuovamente significativi e quindi attraenti per i consumatori, ma, sul piano oggettivo, il risultato finale non può che essere costituito da un notevole impoverimento del cibo offerto. 

 

Probabilmente, come reazione a questa situazione, negli ultimi anni l’etica alimentare ha accresciuto la sua importanza all’interno della cultura sociale. Di conseguenza, ha cominciato a svilupparsi da diversi anni presso i consumatori occidentali anche una consapevolezza relativa alla necessità di stabilire una sintonia tra il corpo umano e il mondo naturale. Tradizionalmente, la natura è stata vista in Italia come un soggetto affettuoso e protettivo (“madre natura”), ma negli ultimi anni è diventata suo malgrado un soggetto dal quale possono provenire anche dei pericoli. È diventata cioè una “natura matrigna”. Si sviluppa pertanto la ricerca di un rapporto armonico con la natura, ovvero di un punto di equilibrio tra le esigenze di sviluppo del mondo umano e industriale e il bisogno di sopravvivenza del mondo naturale. Sta crescendo, di conseguenza, il consumo di alimenti biologici e naturali, ma anche, più in generale, quello di alimenti che possono essere considerati salutistici e “medicinali”.

 

Questo può essere considerato comunque un fenomeno che appare avere una diffusione limitata nel mercato e sul piano sociale. Perché, anche se sono evidenti le notevoli conseguenze prodotte da una grave crisi economica che in Italia è in corso da circa una decina d’anni, i comportamenti di consumo preesistenti a tale periodo non sono scomparsi. Ne consegue dunque che i modelli di consumo tendono a diventare sempre più eclettici, in quanto contraddistinti da una crescente mescolanza di prodotti economici e di lusso, anonimi e di marca, edonisti e salutisti, ecc.

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