Cosa resta di Caravan? / Michael Asher e i ladri di roulotte

30 Dicembre 2017

Una roulotte sospetta

 

Estate 1977, una roulotte parcheggiata in una strada di Münster davanti al Landesmuseum. Si tratta di una Hymer-Eriba Familia modello BS di quattro metri con le tende tirate, la porta chiusa e senza traino. Niente di memorabile. 

Estate 1987, la stessa roulotte ricompare nelle strade di Münster, nello stesso punto. Qualcuno ricorderà vagamente la coincidenza, qualcun altro noterà che, malgrado nessuno viva al suo interno, la roulotte non sembra abbandonata. Infatti a intervalli regolari, ogni lunedì, giorno di chiusura dello Skulptur Projekte, spunta fuori in un angolo diverso della città. Estate 1997, la coincidenza si ripete, così come nell’estate 2007. A quel punto tutti conoscono Caravan, il progetto dell’artista losangelino Michael Asher, l’unico ad aver partecipato a tutte le edizioni dello Skulptur Projekte, e questo sebbene non vi fosse alcuna indicazione che quella roulotte fosse una scultura.

 

Michael Asher è scomparso nel 2012 e l’ultima edizione della mostra gli ha reso omaggio con un prezioso focus installato sul mezzanino del LWL-Museum für Kunst und Kultur (Double Check), che ripercorre la sua collaborazione quarantennale con la manifestazione tedesca. Il percorso è completato dalle foto scattate nel 2016 da Alexander Rischer, fotografo di Amburgo attento ai non-luoghi e ai vuoti urbani (Münster. 19 Orte), che mostrano l’ultimo stato dei luoghi scelti da Asher. Intossicati dagli archivi sparigliati della Documenta di Kassel, il visitatore apprezzava l’intelligenza curatoriale che rendeva visualmente efficace il materiale archivistico dello Skulptur Projekte Archive. Perché gli archivi (bisogna tornare a ripeterlo?), non sono nati per essere esposti, e una massa di documenti accatastata non fa che spiazzare e spazientire i visitatori.

 

Le diverse apparizioni della roulotte nel 1977, 1987, 1997 e 2007 corrono parallele alla storia del più grande evento d’arte pubblica in Europa. Un appuntamento decennale che Asher considerava come una verifica o un “double check” (da cui il titolo) col suo oggetto d’elezione. A mostra terminata la scultura tornava a essere quello che era sempre stata: una roulotte prodotta in serie, pronta a essere affittata da ignari amanti del campeggio. E ogni dieci anni Asher si metteva alla ricerca di un modello identico di roulotte, un’impresa più complessa negli ultimi anni a causa della scarsa reperibilità. La roulotte anonima ed economica era ormai fuori commercio, un oggetto anacronistico se non vintage. Nell’arco di quarant’anni, tra l’opera e il contesto si era aperto uno scarto: se prima Caravan si confondeva col paesaggio urbano, e poteva esser preso per il gesto di un campeggiatore abusivo, ormai era una lampante opera artistica che attizzava la curiosità generale dei visitatori.

Non che Asher avesse mai voluto nasconderla, al contrario, l’aveva sovraesposta al punto da fonderla col paesaggio urbano, con l’infrastruttura della città. Tuttavia alla quarta edizione, nel 2007 quando compaiono opere che commentano o si riferiscono alle edizioni precedenti (Dominique Gonzalez-Foerster, Thomas Schütte), nessun’opera era più celebre di Caravan. La roulotte anonima e a buon mercato era diventata ormai l’icona dello Skulptur Projekte.

 

Già nel 1997 il senso dell’operazione si arricchiva di significati imprevisti e prima inconcepibili: secondo il fotografo e amico Allan Sekula, dopo la caduta del muro di Berlino, la roulotte evocava un veicolo proveniente dall’Europa dell’Est, come l’onda migratoria che preoccupava il governo.

Siamo lontani dalle intenzioni originarie di Asher, che sceglieva un modello di roulotte familiare prodotto nella Germania Ovest, legato al piacere e al turismo della classe media, alla vacanza come breve parentesi tollerata in una società fondata sul lavoro. In altri termini un simbolo di alienazione, parcheggiata non a caso nei pressi di case urbane e suburbane, fabbriche e centri commerciali. Ma anche un simbolo di sradicamento, manifesto nell’illusione del campeggiatore di portarsi la casa dietro, di essere a casa propria ovunque nel mondo – ovunque, ovvero da nessuna parte.

 

 

Le diciannove stazioni della roulotte (ridotte a seconda del periodo di apertura di ciascuna edizione dello Skulptur Projekte) erano annunciate da volantini disponibili all’ingresso del museo. La sequenza degli spostamenti restò sempre immutata, come dimostra una mappa della città: cominciava davanti al museo, in una stradina che conduce all’università, si allontanava fino a cinque chilometri dal centro, per tornare infine nei pressi del museo. Quando un angolo della città aveva subito troppe modificazioni, Asher preferiva parcheggiare la roulotte in garage per la settimana corrispondente. Per questa ragione la campagna fotografica – che mostra sinotticamente le quattro sequenze dal 1977 al 2007 – è incompleta.

Che sia in centro o in periferia, nei parcheggi o in una foresta, in un’arteria principale o in un cul-de-sac, la roulotte instaura un dialogo discreto ma profondo con la storia di Münster. Ovvero con una città in cui il 91% del centro storico fu raso al suolo durante la guerra, e il cui tessuto urbano non cessò di trasformarsi nel corso degli anni, come dimostrano le foto di Caravan. Sono cambiate le macchine e le affiche pubblicitarie, le insegne dei negozi e i lampioni, i parchimetri e le cabine telefoniche, la segnaletica stradale e i nomi delle strade fino alle facciate dei palazzi. Là dove c’era uno spiazzo desolato, ora sorge un complesso residenziale. Lentamente ma inesorabilmente la forma urbis si ridisegna, come se ruotasse attorno alla roulotte, sempre identica a se stessa. 

 

Scultura ambulante che trasgredisce l’idea classica e moderna della scultura statica, Caravan è simile a una meteorite o a un oggetto alieno, afferente a una temporalità diversa dalla nostra. In tal senso il progetto concettuale di Michael Asher – uno dei più coerenti e riusciti della sua carriera – è un lavoro archimedico dello Skulptur Projekte, che ha colto e incarnato le intenzioni della manifestazione artistica e ha rimesso in gioco il ruolo della scultura nello spazio pubblico.

 

 

La roulotte e la sua storia

 

Double check non si limitava a raccogliere il materiale fotografico, ma ricostruiva la concezione e le diverse fasi di realizzazione del progetto di Michael Asher, che corrono parallele alla storia dello Skulptur Projekte. Come si evince dagli stralci della corrispondenza in mostra (pubblicati anche su “October”, 120, primavera 2007) l’artista e Kasper König si conoscevano sin dagli inizi degli anni settanta quando collaboravano all’edizione degli scritti d’artista della Press of the Nova Scotia College of Art and Design. Nel 1976 viene invitato in occasione della prima edizione della mostra assieme a Carl Andre, Joseph Beuys, Donald Judd, Richard Long, Walter de Maria, Bruce Nauman, Claes Oldenburg, Ulrich Rueckriem e Richard Serra.

 

 

Asher comincia a studiare la mappa della città, prima di trascorrervi una settimana nel luglio 1976, probabilmente dopo esser passato alla mostra Ambiente/Arte. Dal Futurismo alla Body Art della biennale di Venezia. Quando torna a Münster a fine giugno 1977, gli ultimi dubbi non sono ancora sciolti. Asher è vulcanico: nello spazio di undici mesi sottopone quattordici progetti, tra cui piantare alberi che facessero da sfondo discreto ad altri interventi artistici, in anticipo sulle 7000 querce che Joseph Beuys realizzerà alla Documenta di Kassel nel 1982. Oppure scavare un tunnel accessibile in aree pre-selezionate e che passava, ad esempio, sotto la scultura di Norbert Kricke: “quello che pensiamo essere scultura all’aperto deve ergersi dal suolo e se non s’innalza trova modi insoliti di richiamare l’attenzione su se stessa” (lettera a Konig del 9/1/1976). Un progetto, quest’ultimo, dai costi proibitivi per una giovane manifestazione artistica come Skulptur Projekte.

La stessa indecisione si ripete per la seconda edizione del 1987. Asher consulta una mappa con gli isolotti di Münster, secondo un’idea già ventilata nel 1977, prima di chiedere al vescovo di Münster il permesso di usare il giardino della chiesa. Solo in un secondo tempo riviene alla roulotte, mostrando bene la componente aleatoria con cui si costituisce quella che viene a volte – a torto – considerata come il rigido protocollo dell’arte concettuale.

 

Roulotte-palinsesto

 

Cosa resta di Caravan? Se la gran parte delle opere di artisti americani sono ancora oggi visibili nei dintorni di Münster, ad esempio attorno al lago nel sud-ovest della città, di Caravan resta solo la documentazione fotografica. Questo è il destino della maggior parte dei lavori di Asher, quello di esistere e sopravvivere solo nella forma documentaria. Caravan non è un oggetto autonomo ma una scultura che esiste nei diciannove luoghi raccontati da fotografie, testi, mappe, cataloghi e leggende (Stephan Pascher, Phantom Limb. Michael Asher’s Sculpture Project). Un oggetto che si definisce nel suo legame a un luogo determinato – in primis il parcheggio –, nel suo riverberarsi in un insieme di relazioni contestuali.

“Mettendo in relazione la categoria (scultura pubblica all’aperto) con il contesto (esposizione-soggetto) e la collocazione (l’interazione letterale tra oggetto e struttura architettonica), questo lavoro ha trovato la sua legittimazione nel suo contesto e nella collocazione piuttosto che nella sua categoria o commissione” (Michael Asher, Writings).

Asher porta così alle sue conseguenze più estreme la “post-studio practice” già sperimentata nella mostra al Pomona College in Pasadena del 1970, in cui lavora sullo spazio espositivo stesso, rimuovendo le porte così da lasciare la luce, l’aria e i suoni riempire lo spazio vuoto. Un intervento in linea con quanto accadeva allora in una delle più radicali scuole d’arte americane, dove erano passati Allen Ruppersberg, Jack Goldstein, Lewis Baltz, Chris Burden, James Turrell, Mowry Baden. Una storia esaurientemente raccontata qualche anno fa in una mostra in tre volets, It Happened at Pomona: Art at the Edge of Los Angeles 1969-1973 a cura di Rebecca McGrew e Glenn Phillips (Pomona College Museum of Art, 2011-12).

 

 

Con tale spostamento verso questioni sociali ed economiche, in cui diventava importante il modo in cui le opere funzionavano, il ruolo dell’istituzione museale diventerà la sua cifra. Un modo di procedere site-specific cui l’artista resterà fedele negli anni, se pensiamo alla celebre mostra alla Kunsthalle di Berna (1992) in cui traslocò i termosifoni dell’edificio all’ingresso, presentandoli assieme come un’immensa scultura, con i tubi dell’acqua calda che correvano lungo le pareti del museo.

Col ritorno di Carovan, con la sua ripetizione immutata, Asher rifiutava l’innovazione richiesta dal mercato dell’arte. “Tuttavia, l’installazione di Asher è sempre nuova, ogni volta che viene presentata, fornendo una pietra di paragone rispetto alla quale misurare lo stato della scultura e le sue preoccupazioni mutevoli oltre l’ambito di ogni esposizione” (Jennifer King). Secondo Alberro la roulotte è un palinsesto, legata sincronicamente alle diverse posizioni assunte nel corso della mostra ma anche diacronicamente rispetto alle precedenti e successive edizioni della mostra: “Le sculture divennero palinsesti in cui trasparivano le tracce delle presentazioni precedenti dell’evento decennale e le condizioni socioculturali e storiche della città ospite lungo gli anni” (Alexander Alberro, Sculpture Palimpsests: Michael Asher in Münster).

 

Una roulotte è una roulotte è una roulotte…

Il 22 luglio 2007 accadde l’impensato: parcheggiata a Hörsterstrasse in un quartiere borghese della città, tra il cimitero e il Puisallee, la roulotte scomparve. Qualcuno l’aveva attaccata a una macchina la notte precedente e se l’era svignata. La polizia che indagava sul furto interrogò König sul valore dell’opera d’arte. König aveva difficoltà a spiegare che, a dir il vero, la roulotte non aveva alcun valore commerciale perché, come ricorda l’artista Stephen Pascher, si trattava di un’opera d’arte solo quando era parcheggiata in uno dei luoghi designati dall’arista. Di per sé non aveva valore, se non quello di mercato per un oggetto vintage quale una roulotte degli anni settanta. Tra l’altro la roulotte rubata non era quella originale del 1977, in quanto Asher ne affittava una diversa ogni dieci anni, e solo per la durata limitata dello Skulptur Projekte. Terminata questa manifestazione la scultura scompariva e la roulotte in quanto oggetto d’arte tornava a essere quello che era sempre stata, un oggetto prodotto industrialmente pronta a essere affittata. La promozione artistica dell’esperienza comune e della realtà quotidiana aveva una durata limitata ai giorni di apertura della manifestazione. In quell’occasione König si rese conto quanto era difficile definire Caravan: né oggetto estetico né ready-made né semplice roulotte (quando era parcheggiata). Anche quando veniva esposta, la roulotte restava roulotte e la sua funzione era immutata. Il suo valore estetico in quanto scultura non era negato dal fatto di essere nient’altro che una roulotte parcheggiata.

La roulotte del 2007 era identica a quella del 1977 ma non era la stessa: questa la logica dell’operazione di Asher, che sfuggiva alla logica moderna dell’originale. Non fu mai chiaro se i ladri della roulotte fossero giusto ladruncoli sprovveduti o artisti intenzionati a compiere un gesto artistico di rivolta pseudo-situazionista. Ad ogni modo due giorni dopo la roulotte fu ritrovata a quindici chilometri a est di Münster, nei boschi vicino Telgte. Riportata a Münster, ridivenne l’opera di Michael Asher. Ma solo fino alla fine dello Skulptur Projekte, naturalmente.

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