Due appunti sul Levi "patriota"

17 Marzo 2011

1. Nelle scuole inglesi s'insegna pochissimo di poesia, ormai. Ma un'eccezione viene fatta per la poesia della prima guerra mondiale, e soprattutto per una poesia in particolare, terrificante, del giovane Wilfred Owen, morto in guerra pochi giorni prima dell'armistizio del novembre 1918. S'intitola Dulce et decorum est:

Bent double, like old beggars under sacks,
Knock-kneed, coughing like hags, we cursed through sludge,
Till on the haunting flares we turned our backs
And towards our distant rest began to trudge.
Men marched asleep. Many had lost their boots
But limped on, blood-shod. All went lame; all blind; [...]

If you could hear, at every jolt, the blood
Come gargling from the froth-corrupted lungs,
Obscene as cancer, bitter as the cud
Of vile, incurable sores on innocent tongues,
My friend, you would not tell with such high zest
To children ardent for some desperate glory,
The old Lie; Dulce et Decorum est
Pro patria mori.

Pochi mesi prima, nel 1916, a Locvizza/Lokvica sul Carso, oggi località slovena, Giuseppe Ungaretti ricorda il suo amico arabo morto a Parigi nel 1913, nella poesia In memoria:

Si chiamava
Moammed Sceab

Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
[...]

Le riflessioni di Levi sulla “vecchia menzogna” (Owen) della “morte per la patria”, la sua intuizione quasi paradossale sull'idea di morire “in patria” e, così facendo, di morire “per la patria” – intuizione che contiene anche una visione in negativo della morte in guerra e della morte anonima e poco patriottica nel Lager – sono in bilico tra le visioni di Ungaretti e di Owen. Da una parte, la patria persa, il mito dell'esilio come condizione moderna, e la nostalgia del ritorno (nostos); dall'altra il mito della casa (Heimat), del luogo natio, della vita contadina, la terra degli avi (e del semplice soldato-vittima), ancora prevalente, ci dice Levi, tra le comunità ebraiche e in gran parte dell'Europa degli anni 30. Levi ha vissuto entrambe queste visioni: il trauma dell'esilio mortale ad Auschwitz ed una vita intera, prima e dopo quell’evento, trascorsa “a casa” a Torino. Come spesso accade, la risonanza di Levi risiede in questo suo equilibrio precario tra tradizione e modernità, tra “the shock of the new” e “the shock of the old”. Le stesse categorie di patria e di stato-nazione appaiono oggi molto precarie, probabilmente sono superate nella doppia dimensione di globale e locale che noi tutti viviamo.
 

2. “Prendo il treno e ritorno in patria”.  La tregua?

 

 

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