Questi 500 euro di cui tanto si parla / Cosa è il Bonus Cultura per i diciottenni?

25 Febbraio 2017

500 euro a chi compie 18 anni per acquisti di prodotti culturali, con una spesa prevista di 290 milioni di euro. È il “Bonus Cultura” inserito nella legge di stabilità 2016 (governo Renzi), in due comma alla fine del maxi-provvedimento, il 979 e il 980. Come ha dichiarato Matteo Renzi, 1° dicembre 2015: “I 18enni sono un simbolo. Vorrei che andassero a teatro. Diamo un messaggio educativo come Stato, quello che le mostre sono un valore bello. Diciamo ai ragazzi che sono cittadini e non solo consumatori”. 

Il “Bonus Cultura” è stato poi esteso ai neodiciottenni extracomunitari con regolare permesso di soggiorno (Decreto scuola, approvato il 25 maggio 2016) e reiterato nella legge di stabilità 2017 (governo Gentiloni).

 

I “Buoni Cultura” sono diventati spendibili, con qualche difficoltà tecnica iniziale, solo all’inizio di novembre 2016. Nelle settimane precedenti la Presidenza del Consiglio aveva predisposto un sito, 18App La cultura che piace. Sulla homepage campeggia la scritta:

 

“Sei del ’98? Per te 500€ da spendere in buoni per cinema, concerti, eventi culturali, libri, musei, monumenti e parchi, teatro e danza”. Il funzionamento, viene assicurato, è semplice: Accedi a 18App con la tua identità digitale (SPID) e inizia a creare buoni fino a €500. Verifica subito il prezzo dei libri o dei biglietti per eventi e iniziative culturali che vuoi acquistare e genera un buono di pari importo. Potrai salvarlo sul tuo smartphone o stamparlo e utilizzarlo per acquistare libri e biglietti per cinema, concerti, eventi culturali, musei monumenti e parchi, teatro e danza presso gli esercenti fisici e online aderenti all’iniziativa.”

 

Come è ovvio, il target primario della campagna pubblicitaria che sostiene l'iniziativa sono i diciottenni destinatari del Bonus. “Il target secondario è rappresentato dagli esercenti, dalle famiglie interessate all’iniziativa e, in generale, da tutti i cittadini residenti in Italia. Al target secondario sono rivolti gli spot tv e radio sulle reti RAI.”

Il risultati, a giudicare dall'inchiesta di Raphael Zanotti pubblicata da “La Stampa” il 9 febbraio 2017, non sono stati finora esaltanti. Secondo l'Istat, il 1° gennaio 2016 in Italia i diciassettenni, ovvero i destinatari del Bonus Cultura, erano 572.437. Il 17 gennaio 2017 i diciottenni con lo SPID erano 286.095 e gli iscritti a 18App, secondo la Presidenza del Consiglio, erano 230.000: meno della metà degli “aventi diritto”. Se si guarda alla spesa effettiva, il risultato è davvero misero, almeno finora: dei 290 milioni di euro stanziati dal Governo, ne sono stati spesi solo 18,5, ovvero il 6,8%: 6 milioni in 200.000 coupon per negozi fisici, altri 12,5 milioni di euro in 350.000 coupon per rivenditori online.

 

Il Bonus Cultura per i diciottenni ha pregi e difetti. Aldilà dell'attenzione ai giovani, questa scelta sottolinea l'importanza dei consumi culturali e dell'educazione permanente come motore dello sviluppo del capitale cognitivo del paese, ovvero del sapere sociale diffuso, fattori cruciali per competere nel mercato globale, dove le parole chiave sono innovazione, brand e flessibilità. La curiosità culturale dovrebbe essere l’ingrediente chiave nella formazione dei giovani, soprattutto se vogliono avviarsi verso le cosiddette “professioni creative” e dunque devono costruirsi un’ampia “banca dati” a cui attingere e a cui fare riferimento. La varietà e la novità delle esperienze culturali accrescono il capitale cognitivo di una comunità e dunque produttività e PIL: “Con la cultura si mangia”, a differenza di quanto detto nel 2010 dal Ministro Tremonti. 

 

Le imprese del sistema produttivo culturale valgono il 7,3% del totale. A loro si deve il 5,4% della ricchezza prodotta in Italia: 74,9 miliardi di euro. Che arrivano a 80 circa (il 5,7% dell’economia nazionale) se includiamo istituzioni pubbliche e non profit. Ma non finisce qui: perché la cultura ha sul resto dell’economia un effetto moltiplicatore pari a 1,67: in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,67 in altri settori. Gli 80 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 134, per arrivare a quei 214 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano.

Le imprese del sistema produttivo culturale (da sole, senza considerare i posti di lavoro attivati negli altri segmenti della nostra economia) danno lavoro a 1,4 milioni di persone, il 5,8% del totale degli occupati in Italia, che salgono a 1,5 milioni, il 6,2%, se includiamo pubblico e non profit. (Io sono Cultura. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, Unioncamere-Fondazione Symbola, Rapporto 2014, p. 7).

 

 

Un secondo aspetto interessante del Bonus cultura riguarda la scelta di sostenere la domanda. Tradizionalmente l’investimento pubblico in cultura va prima alla tutela che alle attività, come è accaduto per i 33 interventi del Piano strategico “Cultura e turismo” annunciato dal Ministro Franceschini il 3 maggio 2016: un miliardo di euro a favore tra gli altri di Pompei, Uffizi, Grande Brera, Palazzo Ducale a Mantova eccetera. Anche l’Art Bonus (D.L. 83/2014), che favorisce il mecenatismo culturale dei cittadini, riguarda per ora soprattutto i beni culturali pubblici e le strutture. Quando non va alla conservazione, il sostegno pubblico tende a privilegiare la produzione, ovvero il lato dell’offerta. In questa direzione vanno il tax credit che sostiene il cinema, e il FUS (Fondo Unico dello Spettacolo) con cui il MiBACT finanzia lo spettacolo dal vivo. 

La scelta di sostenere la domanda cambia la prospettiva, anche se il problema non è solo di quantità aumentare il numero di lettori o spettatori. È anche, e forse prima di tutto, un problema di qualità: serve un pubblico qualificato per prodotti culturali innovativi e di alto livello.

 

E qui cominciano le note dolenti. La situazione italiana sul fronte della cultura appare desolante, anche in rapporto agli altri paesi europei per quanto riguarda sia i consumi sia il sostegno pubblico. I dati Istat (rilevazione 13 gennaio 2016) dicono che il 9,1 per cento delle famiglie non ha nemmeno un libro in casa, il 64,4 per cento ne ha al massimo 100; al Sud meno di una persona su tre (28,8 per cento) ha letto almeno un libro nell'ultimo anno, mentre nelle Isole i lettori sono il 33,1 per cento. I lettori forti, cioè le persone che leggono in media almeno un libro al mese, sono solo il 13,7 per cento della popolazione, mentre quasi un lettore su due (45,5 per cento) si conferma lettore debole, avendo letto non più di tre libri in un anno.  

 

Nel 2013:

il 44% degli italiani non ha letto nemmeno un libro nell’ultimo anno,

il 70% non ha visitato né un museo né una galleria,

il 53% è stato al cinema almeno una volta,

il 41% ha visitato siti di interesse archeologico o chiese,

il 30% è stato ad un museo,

il 26% ad un concerto,

il 24% in biblioteca o a teatro,

il 17% ha visto un’opera o un balletto,

il 14% si informa o legge su internet,

solo il 6% degli italiani suona uno strumento musicale e appena il 4% pratica il canto con continuità,

il 2%, contro il 5% in Europa, dichiara di aver scritto un romanzo, una poesia, un saggio o altro.

 

 

Molti, troppi italiani si disinteressano della cultura, della musica, della scrittura, del cinema e della fotografia. Le motivazioni: al primo posto la mancanza di interesse (per il 50%), seguito dalla mancanza di tempo ( 44%), di denaro (25%), mentre la mancanza di scelta è la scusa adottata dal +10% degli intervistati. È vero che la cultura non deve essere un obbligo e che il suo cuore è la libertà di scelta, ma questi dati,  secondo Eurobarometer, ci mettono in fondo alla classifica dei paesi europei, poco al di sopra di Grecia e Portogallo, ma al di sotto della Spagna.

 

Ugualmente al di sotto della media europea è l’investimento pubblico in cultura (anche se è difficile ottenere dati precisi), malgrado le promesse e le dichiarazioni di molti politici. I dati Eurostat 2014 dicono che l’Italia è all’ultimo posto in Ue per percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio Ue) e al penultimo posto (fa peggio solo la Grecia) per quella destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1% medio Ue). Se si guarda alla percentuale sul Pil, la spesa italiana per l’educazione è al 4,1% a fronte del 4,9% medio Ue: siamo penultimi dopo la Romania (3%), insieme a Spagna, Bulgaria e Slovacchia. Non va meglio per la spesa per la cultura: 0,7% contro l’1% della media Ue. Peggio fa solo la Grecia con lo 0,6%. Per la protezione sociale l’Italia spende il 21,5% del Pil (19,5% la media Ue), ai primi posti dopo Finlandia, Francia, Danimarca e Austria. L’altro dato inquietante è che negli ultimi anni la spesa per la cultura, sia pubblica sia privata, è diminuita, anche per effetto della crisi economica, con un leggero rimbalzo in alcuni settori negli ultimi anni.

Per quanto riguarda i giovani, secondo Save The Children nell’ultimo anno il 48,4 per cento dei minorenni meridionali non ha letto neanche un libro. Gabriele Qualizza riporta nel suo saggio Facebook Generation i risultati di un'indagine sui giovani italiani tra i 18 e i 25 anni:

 

 

Se si eccettua il cinema, appare carente la partecipazione ad attività di carattere culturale: risulta che l’82,8% non ha mai assistito a uno spettacolo teatrale, il 91,4% ad un concerto di musica classica, il 73,6% a un concerto di musica leggera o rock. Inoltre il 76,3 non ha visitato neppure una mostra, e il 74,5% non ha avuto occasione di partecipare nemmeno a un convegno. 

 

Anche se nella media i giovani leggono più degli adulti, è inevitabile che molti di loro abbiamo trovato difficoltà a trovare qualcosa di interessante da comprare con i famosi 500 euro del Bonus. Qualcuno si è  ingegnato per guadagnarci qualcosa senza leggere, vedere o sentire nulla. Intorno al Natale 2016, nella distrazione generale, diversi organi di stampa hanno denunciato il mercato nero dei “Buoni Cultura” da parte dei “diciottenni che non leggono”. La protesta era partita da alcuni cittadini irritati da una pratica “illegale, ingiusta e dannosa per la collettività”. Come ha spiegato a “Repubblica” un sagace diciottenne barese: “Il meccanismo è semplicissimo tu scegli i titoli su Amazon, dividi per due il prezzo, mi fai la ricarica Postepay e, arrivato l’accredito, ti faccio l’ordine: tempo due o tre giorni, e il libro è a casa”. A corredo della proposta, gli screenshot degli ordini già fatti per altri utenti. “A te conviene, perché compri a metà prezzo e io ci guadagno, visto che non leggo”.

Giorgio Coccia su Linkiesta ha lodato questi “Bravi 18enni”, perché “rivendersi i buoni cultura è un’esperienza formativa”:

 

Internet, Inglese, Impresa. Ve le ricorda quelle ridicole tre “I” che Berlusconi fece attacchinare per tutte le strade d’Italia per lanciare il suo programma di rinnovamento della Pubblica Istruzione? Ecco, qua ce ne sono due su tre: Internet e Impresa. Di che ci lamentiamo, quindi? Questi ragazzi sono il frutto dell’Italia degli ultimi vent’anni e sono sicuramente tra i più scaltri. Non leggono? E va be’, leggeranno se ne avranno voglia quando ne avranno voglia. 

 

L'esperienza di 18App sta dimostrando che diffondere la cultura non è facile, e che non si tratta solo di un problema economico. Lo dimostra anche lo scarso impatto di #ioleggoperché, l'iniziativa di sostegno alla lettura lanciata con grande strepito nel 2015 dall'AIE, in collaborazione con il Centro per il Libro. http://www.ioleggoperche.it/it/home/Le due edizioni dell’iniziativa, dall’impianto molto diverso, sono caratterizzate da un elemento comune: a scegliere i libri “da regalare” e dunque “da leggere” non sono gli “utenti finali”, ovvero i potenziali lettori, ma un altro soggetto: nella prima edizione erano gli editori e nel 2016 i mecenati a cui era stato chiesto di donare il libro. 

Non può essere questa la strada: se si vuol diffondere la cultura, bisogna mettere al centro i cittadini. Per una efficace politica di diffusione della cultura tra i giovani, sarebbe utile conoscere i loro gusti e i loro effettivi consumi. Uno dei rari esperimenti innovativi e partecipati è quello di un sito come Atlante del Novecento, che coinvolge decine di scuole secondarie in tutta Italia. Ne hanno parlato Cristina Taglietti (su “La Lettura” del 26 settembre 2016) e Paolo di Paolo (su “la Repubblica”,  Da Primo Levi ai dischi in vinile: cosa salveranno del Novecento i ragazzi del ’99). 

 

E' importante conoscere  anche i canali che utilizzano per orientare le proprie scelte. 

Come fonte, internet ha ormai superato i quotidiani e la radio, e tallona sempre più da vicino la televisione. Nel 2011 il 51% delle persone usava internet per informarsi, nel 2015 la quota era salita al 71%. Tra gli oltre 37 milioni di italiani che sono utenti attivi su internet, quasi 29 milioni vi accedono in mobilità. La tendenza pare inarrestabile. Internet è più diffusa tra i giovani che tra gli anziani: tra i 14 e i 29 anni il 92% usa internet, oltre l'85% usa lo smartphone, rispetto al 28% degli over 65. Oltre il 50% dei cellulari viene usato per stare sui social e per informarsi. (Fonte Osservatorio News Italia 2015)

In questo scenario frammentato, non esistono più media di riferimento sulla base di una scelta ideologica, ma un flusso continuo di informazioni che ci attraversa. Tocca a ciascuno di noi costruirsi la propria agenda personale in quello che è stato definito un “patchwork mediale”.

 

I consumer più assidui tornano su piattaforme, blog, siti web dopo averli sottoposti a una selezione in base a propri criteri di affidabilità, concordanza di gusti e opinioni, fondati sul confronto personale o magari su consigli e sul passaparola: si creeranno insomma la propria “terza pagina”. (Lella Mazzoli e Giorgio Zanchini (cur.), Info Cult, FrancoAngeli, Milano, 2015, p. 156) 

 

 

Oggi esiste uno straordinario fornitore di contenuti culturali a costo zero, la rete. E’ diffusa la convinzione di un “diritto alla cultura” che legittima la gratuità della fruizione di informazione, formazione, cultura, intrattenimento. Far capire che per avere contenuti di qualità è necessario pagare (anche se con i soldi del Bonus Cultura) ha certamente un valore educativo.

Perché il Bonus Cultura sia davvero efficace è necessario non basta un complesso lavoro informativo e formativo, non bastano l’impegno e la buona volontà dei ragazzi e le buone intenzioni degli insegnanti.

Si aprono subito altre questioni. E’ sufficiente oggi una cultura che resta centrata sui libri e sulla letteratura? Una cultura fondata sul consumo, secondo la logica del Bonus? Che cosa significa cultura oggi? Qual è il rapporto tra la “cultura alta”, quella che si auspica venga acquistata e consumata (e non rivenduta) con il Bonus, e la loro reale esperienza di vita? Che rapporto possono avere con i consumi culturali dei giovano, con i libri che scelgono di leggere o i concerti a cui vogliono assistere? Come qualificare i consumi culturali in maniera non autoritaria o paternalistica, ma offrendo adeguati strumenti di scelta? Non si tratta solo solo “consumare cultura”, ma quale cultura, e come.

 

Stanno emergendo nuove motivazioni e nuove tipologie di consumatori: la cultura del futuro la stanno già facendo loro. I modelli sono diversi, per esempio basate più sul remix. ovvero il “taglia e incolla”, che sulla riproposta e variazione di modelli nello stile “nani sulle spalle dei giganti” o “angoscia dell'influenza”. Si sta espandendo il mondo della fandom, il libero e quasi selvaggio ampliamento di mondi fantastici. Si sviluppano esperienze transmediali, percorsi dell’immaginario che alternato la liveness ai diversi media tecnologici. Forse anche per questo il “qui e ora”, la compresenza di attore e spettatore offerta dal teatro, sta trovando nuovo fascino.

Quella che sta emergendo è una cultura più partecipata, che deve compensare i filtri tecnologico-mediatici dei social networks per recuperare la liveness dell’evento. Questa partecipazione sperimenta, generazione dopo generazione, tecnologia dopo tecnologia, forme diverse: dai graffiti alla street art, dal rap all’hip hop, dall’euforia espressiva dei blog all’utopia collettiva di wikipedia, dalle drammaturgie dei social network al narcisismo di massa di youtube. Passando magari per la sottile mutazione sociale e culturale che passa dal trionfo dei reality show a quello dei talent show. Forse fare cultura oggi significa interrogarsi sulle mutazioni della sfera comunicativa in cui siamo immersi e che non orienta solo i nostri consumi, ma plasma le nostre identità.

 

NOTA:

Questo il testo dei due commi che hanno istituito il Bonus Cultura:

 

979. Al fine di promuovere lo sviluppo della cultura e la conoscenza del patrimonio culturale, a tutti i cittadini italiani o di altri Paesi membri dell’Unione europea residenti nel territorio nazionale, i quali compiono diciotto anni di età nell’anno 2016, è assegnata, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 980, una Carta elettronica. La Carta, dell’importo nominale massimo di euro 500 per l’anno 2016, può essere utilizzata per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’acquisto di libri nonché per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo. Le somme assegnate con la Carta non costituiscono reddito imponibile del beneficiario e non rilevano ai fini del computo del valore dell’indicatore della situazione economica equivalente. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i criteri e le modalità di attribuzione e di utilizzo della Carta e l’importo da assegnare nell’ambito delle risorse disponibili.

980. Per le finalità di cui al comma 979 è autorizzata la spesa di 290 milioni di euro per l’anno 2016, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Per la la legge di stabilità 2016 vedi Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016). (15G00222) (GU Serie Generale n. 302 del 30-12-2015 – Suppl. Ordinario n. 70)

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