Speciale

Lo sguardo anticronologico sulla storia attraverso l'arte contemporanea / Field Work

26 Gennaio 2017

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Risposte artistiche a problemi storiografici. Field Work a Tiwani Contemporary.

 

Da bambina ero profondamente affascinata dai miei libri di storia. Il testo era sempre accompagnato da un allegro apparato visivo. Disegni di uomini e donne, in circolo intorno a un fuoco, in una caverna antica, si evolvevano in raffigurazioni di guerrieri, re e pensatori. Verso la fine della scuola elementare, le pagine cominciavano a riempirsi delle prime foto, sfocate, in bianco e nero, prove silenziose di eventi più recenti. Sfogliare quei libri era come navigare, avanti e indietro, tra fantasia e realtà. Le lezioni di storia erano le mie preferite, perché in queste si poteva trovare la magia del racconto. Realtà e finzione si confondevano, nelle mie orecchie di bambina. La mia passione per questa materia, che si sarebbe rapidamente trasformata in una disciplina, è cresciuta con me. Però con il passare degli anni qualcosa nel mio approccio alla storia, quale astratto oggetto d’interesse, cambiava. Le impressioni lasciavano spazio alle certezze, mentre le mie idee si facevano più rigide, lo sguardo meno aperto. Iniziavo a distinguere precisamente quello scrivere e parlare del passato dalla fantasia, dall’immaginazione. Cominciavo a confondere parole parziali, ora scritte su libri sempre più pesanti e difficili, con verità a-problematiche. Ero portata a credere che la realtà fosse, e fosse sempre stata, solo una. Il tempo della storia assumeva la forma di una linea, che sempre si muoveva in avanti, in modo pacifico e consequenziale. 

 

Sarebbe arrivata l’arte visiva e performativa a insegnarmi diversamente.

 

Theo Eshetu, The Mystery of History and My Story in His Story (2015), Courtesy of the artist and Tiwani Contemporary.

 

La galleria londinese Tiwani Contemporary presenta Field Work, una mostra collettiva che include i lavori di otto artisti africani e della diaspora “le cui pratiche sono ancorate in un profondo scrutinio dei meccanismi della storia”, come dichiara il comunicato stampa. Esplorando il modesto spazio della galleria, il visitatore si trova a incontrare otto distinti approcci alle questioni del tempo e del racconto storico; approcci che mettono in luce nuovi modi di registrare, recuperare e studiare le molte forme del passato, mettendo in discussione la dominante storiografia di matrice occidentale. Ognuno dei lavori presenti in mostra è espressione di pratiche artistiche molto più complesse, che possono, in alcuni casi, entrare in dialogo e rivelare interessanti connessioni metodologiche.

 

-Archivi-

 

Il lavori di Theo Eshetu, The Mystery of History and My Story in His Story (2015), e quello di Katia Kameli, L’Oeil se noie (2016), scelgono entrambi archivi fotografici quali oggetto d’analisi. Nel caso di Eshetu l’archivio in questione è quello dell’ex presidente di Yugoslavia Josip Broz Tito, ora conservato a Belgrado. La ricerca di Esheto inizia da una collezione pubblica, e ufficiale, di materiale visivo, per trovare le fila di una narrativa storica che è tanto pubblica quanto privata, infatti il bisnonno dell’artista ha servito come ambasciatore d’Etiopia a Belgrado, tra 1966 e 1970. Questo lavoro getta una nuova luce sulle politiche della Guerra Fredda, e la storia del Movimento del Paesi Non Allineati, rivelando al contempo dettagli di un distante passato familiare.

L’archivio preso in considerazione da Katia Kameli è, invece, una collezione caotica di foto e cartoline, appartenente a un venditore di strada d’Algeri. La bancarella del Signor Azzoug ha trovato spazio nelle strade della capitale algerina negli ultimi trent’anni; il suo repertorio di frammenti di memoria visuale, da corpo a un’iconografia alternativa per la storia del paese, durante e dopo il periodo di dominio coloniale. Il lavoro di Kameli supera la distinzione tra storia ufficiale/pubblica e narrative personali/minoritarie, e così facendo stimola una nuova comprensione del passato e della sua rappresentazione storiografica.

 

Robert Temesgen guarda invece a un altro tipo d’archivio, fatto di parole fuggevoli, nel tentativo di ridiscutere la posizione del documento scritto nella costruzione e trasmissione d’informazioni. Nel suo lavoro Another Old News (2016), Temesgen usa i social media per collezionare resoconti soggettivi di vecchie notizie, successivamente riportati in una serie di finti giornali, scritti a mano dall’artista. Il lavoro esamina la maniera in cui la sovrapposizione e confusione di racconti ufficiali e memorie personali indirizzi la nostra interpretazione, e conoscenza degli eventi del passato recente. 

 

Katia Kameli, L’Oeil se noie (2016), Courtesy of the artist and Tiwani Contemporary.

 

-Oggetti-

 

I lavori di Rita Alaoui, Thierry Oussou e Ambraham Oghobase, pur nelle loro evidenti differenze, sono accumunati da un interesse per gli oggetti e/o gli artefatti del passato, intesi come unici possibili detentori di quelle memorie particolari, che eludono qualsiasi classificazione archivistica. Rita Alaoui utilizza i metodi dell’antropologia per costruire la sua collezione personale di campioni: frammenti di o materiale organico raccolti lungo le spiagge o nelle foreste circostanti Casablanca. Questi piccoli oggetti, che sono gli ultimi residui di ere passate ed estremi testimoni del tempo e dei suoi effetti, diventano i soggetti della serie di disegni Object Trouvé (2014-216). Analogamente, i dipinti di Thierry Oussou, Untitled (2016), s’ispirano ai proto-linguaggi e alla simbologia preistorica, qui vagamente riprodotta nel tentativo di preservare e ripristinare calligrafie ormai perdute. Ma il più interessante dei tre è forse Abraham Oghobase, con il suo Ken Saro-Wiwa Pipe’s (2016), un’opera che combina stampa digitale e suono. Come suggerito dal titolo, il protagonista di questo lavoro è un oggetto di uso comune, una pipa appartenuta allo scrittore e attivista nigeriano Ken Saro-Wiwa. L’oggetto inanimato diviene qualcosa di più che un vuoto relitto: privilegiato testimone della storia, tanto efficace nel suo ruolo quanto una vivace foto di Saro-Wiwa stesso. La combinazione della semplice scansione della pipa, che non lascia spazio a nessun altro commento, e la linea sonora che risuona di eco del passato, aprono una finestra inattesa su una precisa narrativa storica.

 

Robert Temesgen, Another Old News (2016), Courtesy of the artist and Tiwani Contemporary.

 

-Questioni di Tempo-

 

Non è possibile portare avanti una riflessione sulla storia e la storiografia, senza un’indagine organica nelle strutture e nei ritmi del tempo. Per questo, ognuno dei lavori presenti in mostra rivela un’analisi pertinente e precisa di tali questioni. Ciò non di meno due artisti, in particolare, sembrano scegliere la consistenza e l’(in-)materialità del tempo come principali oggetti di ricerca: Kitso Lynn Lelliott e Youssef Limoud.

L’intimo e poetico video di Kitso Lynn Lelliott, I was her and she was me and those we might become (2016), concentra la riflessione su un tempo non lineare. In questo lavoro linee temporali distanti si uniscono, in costellazioni mutevoli e frammentarie. L’artista rimarca l’impossibilità che una valida narrazione storica, personale o collettiva, si configuri come un singolo, immutabile oggetto di conoscenza. La storia è il risultato di un costante intrecciarsi di racconti plurali e dissonanti. Irriducibile complesso di tracce, impressioni, sogni.

 

Thierry Oussou, Untitled (2016), Courtesy of the artist and Tiwani Contemporary.

 

L’installazione scultorea Ruins (2013-16) conclude questa panoramica. La serie di lavori di Youssef Limoud si concentra sulla relazione tra architettura, paesaggio e lo scorrere del tempo e degli eventi. Queste sculture sembrano far proprie le metodologie degli studi di cultura materiale e archeologia, così da riscoprire le tracce della decadenza e della perdita nella fisicità delle rovine. Sebbene queste riproduzioni scultoree di rovine architettoniche non siano ispirate ad antichi detriti del remoto passato, ma bensì all’opera di distruzione che sta avendo luogo oggi nelle zone di guerra del Medio Oriente. Anche in questo caso, ancora una volta, passato e presente si scontrano e confondono, nell’anti-linearità del tempo.

 

Abraham Oghobase, Ken Saro-Wiwa Pipe’s (2016), Courtesy of the artist and Tiwani Contemporary.

 

Field Work – aperta fino al 25 Febbraio 2017 – è una mostra semplice di opere complicate, prodotti di pratiche artistiche sofisticate. Le ricerche personali degli artisti coinvolti cercano di afferrare modi alternativi di parlare di tempo e dei tempi, d’investigare storie e Storie normalmente trascurate dalla storiografia occidentale. L’obiettivo finale è riconfigurare le metodologie del pensiero storico, alla luce di una comprensione del tempo anti-cronologica e anti-gerarchica, così da creare la possibilità per nuove conoscenze di emergere e diffondersi. Per il visitatore, una passeggiata tra i lavori presentati in Field Work è un’occasione per affilare lo sguardo, e familiarizzare con narrative del passato che, sebbene marginalizzate o dimenticate, sopravvivono nel presente e sempre agiscono sulla nostra contemporaneità. 

 

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