Matriarcato / Il primato delle donne e il mito dei Mosuo

10 Aprile 2021

Mi ha colpito una pubblicità RAI per l’8 marzo 2021, festa delle donne. Proponeva lo slogan: “Un futuro egualitario è un futuro al femminile”.

Era un modo per dire in maniera abbastanza esplicita che si vorrebbe un futuro (egualitario) sognato dalla sinistra a predominanza femminile. Le donne realizzerebbero finalmente la società egualitaria. Non eguaglianza solo tra uomini e donne, quindi, ma eguaglianza un po’ in tutto. In effetti “la giornata delle donne” fu un’iniziativa del partito socialista americano che risale al 1909. Questa festa insomma conserva un marchio di sinistra rivoluzionaria. (E non è un caso che in alcuni paesi ex-sovietici – come Russia e Ucraina – molti vorrebbero abolirla perché ricorda il passato sovietico.)

 

Da qualche tempo a questa parte si diffonde una teoria precisa, secondo la quale il sesso femminile è superiore a quello maschile. Anche se la natura di questa superiorità resta per lo più tema dibattuto. Quindi sarebbe meglio se le nostre società fossero dirette da donne piuttosto che da uomini. Sottolineo che si tratta di un pronunciamento soprattutto maschile; certamente anche molte donne lo condividono, anche se non possono dirlo apertamente per non essere accusate di sessismo a parti rovesciate. 

Non è più il classico femminismo. Questo ha avuto sempre un fondo rivendicativo, e puntava essenzialmente all’eguaglianza di genere, non affermava una presunta superiorità femminile. Anzi, una certa idealizzazione della donna madonna era considerata un tratto reazionario. Chi crede veramente nella superiorità della donna, non può essere femminista. Direi piuttosto donnista (dato che donna viene da domina).

Secondo questo gine-suprematismo le donne sono globalmente migliori degli uomini anche sul piano politico. Ciò porta molti intellettuali (maschi) a una certa conformità nei loro elogi direi ginagogici della femminilità. Vedo un certo compiacimento civettuolo, da parte di molti uomini (se di successo), proclamarsi “femminili”. Non è una concessione galante, è che oggi dirsi femminili per molti uomini è un modo obliquo per affermarsi superiori.

Mi dispiace scriverlo, perché io stesso sono donnista, e tutto sommato non sarei contrario a una società retta da donne.

 

 

L’idea secondo cui “le donne ci salveranno” è molto antica. L’aveva illustrata Aristofane, un commediografo che oggi diremmo populista. Nelle Ecclesiazouse (Donne in Parlamento) le donne prendono il potere ad Atene, dove instaurano una sorta di comunismo ante litteram. In Lisistrata sono le donne a porre fine finalmente alla disastrosa guerra tra Atene e Sparta mettendo in atto uno sciopero del sesso. Bisogna ricordare che la condizione della donna nell’antica Grecia era di sottomissione e inferiorità, ancor più che nel mondo latino, per cui le “utopie” di Aristofane avevano un sapore di provocazione da teatro dell’assurdo.

Con la rivoluzione dell’amor cortese dall’XI secolo in poi – i trovatori, il fin'amor, lo Stilnovo… – si afferma una concezione della superiorità spirituale della donna, in una società cristiana in cui le donne erano tenute del tutto ai margini. Nella visione dantesca questa superiorità femminile è incarnata da Beatrice, che nella Divina Commedia significa la teologia: la donna ha un rapporto privilegiato con Dio, e l’uomo ha bisogno di lei per giungere fino a Lui. Diciamo che allora la donna aveva un rapporto diretto, a tu per tu, con Dio.

Stiamo oggi tornando all’idea della donna salvatrice della lirica provenzale medievale?

Nella pratica psicoanalitica ci confrontiamo di frequente a un’invidia maschile del sesso femminile. Del resto la maggioranza dei “trans” (disforia di genere) sono uomini che vogliono diventare donne, molto meno abbiamo l’inverso (si è calcolato che tra i transessuali che cambiano sesso l’80% sono MTF – dal maschile transitano al femminile – e solo il 20% sono FTM – dal femminile transitano al maschile). Segno che oggi il sesso agognato è soprattutto quello femminile.

 

Gli intellettuali sostenitori del gine-suprematismo pensano che le donne sarebbero migliori leader del mondo rispetto ai maschi perché porterebbero per loro natura (?) un’istanza pacifista (qualcuno afferma che le donne sarebbero più pacifiste degli uomini grazie all’ormone dell’ossitocina, che diminuirebbe l’aggressività…), tollerante, compassionevole, un mettere gli affetti davanti alla fredda ragione, l’amore prima dell’odio…. Come si vede, si tratta di cliché sul femminile che vengono proprio da quella cultura patriarcale che i gine-suprematisti vorrebbero rovesciare. Molte delle “qualità naturali” della donna (ma ci si chiede se esistano) vengano prese di peso da un’immagine molto tradizionale della donna.

In realtà, quando le donne hanno preso concretamente il potere, non si sono mostrate così diverse dagli uomini. La donna politica più importante del XX secolo, Lady Thatcher, era tutt’altro che femminista, anzi, la si chiama iron maid proprio per la sua ferrea, e a tratti spietata, visione conservatrice. La figura politica più importante in Europa è Angela Merkel, che certamente non è una donna di sinistra. Forse non è nemmeno casuale il fatto che i due maggiori partiti neo-fascisti europei siano guidati da donne: Giorgia Meloni per Fratelli d’Italia, e Marine Le Pen per il Front National francese. La credenza che “la natura” femminile possa prevalere sulla logica del potere politico è ancora tutto da dimostrare. 

 

 

Il gine-suprematismo si dedica anche alla ricerca di società esotiche, passate o presenti, che avrebbero praticato forme di matriarcato, di predominio femminile nella società. Dai progetti utopici di un tempo, siamo passati a quella che chiamerei una ideal-antropologia, sulla scia di J.J. Bachofen, il primo ad affermare l’esistenza storica del matriarcato. Bachofen era un conservatore svizzero, e il suo pensiero ha ispirato molti autori di destra (come Alfred BaeumlerJulius Evola) oltre che di sinistra. Non è impensabile insomma un gine-suprematismo ultra-conservatore (La nozione di matriarcato è stata riportata in auge da alcuni antropologi oggi, soprattutto di ispirazione femminista. Peggy Reeves Sanday, Women at the Center: Life in a Modern Matriarchy, Cornell University Press, 2002).

Talvolta si va a cercare la società ideale tra i primati superiori, ad esempio tra le scimmie bonobo, esaltate ormai come vessilli di un diverso modello di società, basato sull’erotismo, sulla soluzione dei conflitti attraverso il sesso (etero- e omo-sessuale), e che vede una predominanza femminile. Stranamente poco studiati sono invece gli indios Bari (o Motilon) del Venezuela: come i bonobo, qui le donne praticano liberamente il sesso con molteplici maschi e quindi la paternità è sempre incerta (Bruce Olson, Bruchko, Charisma House, 2006).

 

Da una ventina d’anni sono fiorite una quantità di ricerche antropologiche su una popolazione di una regione himalayana della Cina (Yunnan e Sechuan), i Mosuo. Costoro chiamano sé stessi Na. È un’etnia di poco più di 40.000 persone, oggetto di studi accaniti per la sua struttura sociale matrilineare. Ovvero, i figli, maschi e femmine, prendono il cognome della madre. E vivono tutti a casa della madre. La casa-clan, dove abitano più generazioni, è diretta da una sorta di matriarca. Dormono tutti in uno stesso stanzone, tranne le donne in età fertile, a partire dai 13 anni. Queste passano la notte in “stanze fiorite”, come vengono chiamate, dove praticano il tisese, ovvero “matrimonio del va su e giù”. Ovvero, di notte, e solo di notte, le donne possono ricevere tutti gli amanti (maschi) che vogliono. 

Durante la collettiva “danza dell’amore” una giovane donna sceglie il suo amante (alcuni osservatori dicono che l’uomo prescelto non può sottrarsi alla scelta della donna. Ma questa pare una ricostruzione mitologica). Il prescelto raggiunge “la stanza fiorita” arrampicandosi su un rampino che porta a una botola nel soffitto della stanza nuziale. All’alba l’amante deve andarsene. Quando la donna partorisce un figlio, il padre non è tenuto a riconoscerlo, esso di fatto appartiene alla madre e alla casa materna, anche se molti padri riconoscono i propri figli e se ne occupano. 

 

 

Il tisese ha fatto pensare che le donne mosuo siano promiscue. In realtà l’amante notturno in molti casi è lo stesso per molti anni, e ci sono donne che ricevono per tutta la vita un solo uomo. Comunque, se una donna non è capace di indicare il padre di uno dei suoi figli, questo è imbarazzante per lei. La promiscuità femminile è permessa ma non apprezzata, così come oggi è permesso ma non apprezzato fumare tabacco o guardare video porno. La ritualizzazione del carattere furtivo dei rapporti sessuali – si possono svolgere solo di notte – è un segreto di Pulcinella: una donna non è tenuta a dire chi sia il proprio amante, ma di fatto tutti sanno chi sia. Pare che nella loro lingua non ci sia alcun termine che traduca il nostro gelosia.

Questo non implica che l’uomo sia privo di responsabilità, tutt’altro. Egli svolge un ruolo paterno – come lo intendiamo noi – nei confronti dei nipoti, ovvero dei figli delle sorelle. È lo zio materno a incarnare la figura maschile in famiglia. 

 

Tutto questo ha fatto pensare che si tratti di una società matriarcale, dominata dalle donne, nel senso di Bachofen. In effetti, secondo la loro religione tradizionale, Daba, domina una sorta di Dea Madre. I gine-suprematisti fanno notare che i Mosuo sono una società pacifica e senza conflitti interni, un tempo dedita all’agricoltura e all’allevamento, una società felice insomma, proprio perché le donne hanno là il primato e sono sessualmente libere. Ma le cose non sono così semplici. In effetti, gli stessi concetti di matriarcato e patriarcato sono moderni, e quando li si trasferisce su società antiche o “primitive” si sfarinano.

Per esempio, solo gli uomini mosuo possono essere sacerdoti. Spesso gli uomini svolgono il ruolo di leader politici della comunità intera. Essi poi si occupano dell’attività economica più importante, l’allevamento del bestiame, e la loro funzione è quella di uccidere le bestie – gli uomini sono i macellai della comunità. Essi presiedono anche le funzioni funebri. Alcuni hanno detto che tra i Mosuo le donne si occupano della vita, gli uomini della morte. Direi piuttosto che le donne hanno il predominio sulla dimensione biologica – partoriscono, allevano, dirigono la casa – mentre gli uomini sulla dimensione spirituale: il contatto con il divino e con la morte. È il rovescio della visione dell’amor cortese medievale.

 

Se il lettore è incuriosito da questo popolo, dovrebbe però sbrigarsi ad andare a visitarlo, perché tra qualche anno l’eccentricità mosuo sarà svanita. Prima arrivano gli antropologi, e poi sulla loro scia vengono i turisti, i video-amatori, gli hotel, i ristoranti, ecc. Così è accaduto, ragion per cui oggi l’attività principale dei Mosuo è diventata il turismo. Nel giro di pochi anni, l’equilibrio di questa società si sta sgretolando, e anche tra i Mosuo si sta imponendo il modello familiare cinese, alquanto simile al nostro. Esso è del tutto divergente da quello dei Mosuo: si basa sulla famiglia nucleare, ovvero sulla coppia amorosa e sempre più egualitaria uomo-donna e su rapporti intensamente affettuosi tra entrambi i genitori e i figli, dove oggi il padre assume una funzione sempre più “materna”. Va detto però che nell’Homo sapiens la famiglia nucleare è il modello più diffuso tra le tante società umane: per i biologi si tratta di un modello a suo modo ottimale, dove un maschio aiuta la sua compagna ad allevare i figli in cambio della sua fedeltà. Ciò non toglie che l’umanità sperimenti forme familiari molto diverse, e di nessuna possiamo dire che in assoluto sia la migliore.

 

 

Il fatto che i Mosuo, con l’irruzione della modernità, si stiano convertendo al nostro modello, e non il contrario, getta ombre sull’esaltazione della società matriarcale. Se davvero la società mosuo fosse migliore (per chi?) della nostra, perché allora essa non finisce col convertire anche la nostra, piuttosto che l’inverso? 

Quando ho illustrato ad amici e parenti la società mosuo come ho fatto qui, la domanda veramente pertinente è venuta da una donna: “Ma non c’è nessuno tra i Mosuo che si ribella a questa forma di vita?” 

Perché anche quella dei Mosuo è una società repressiva, se vista da altre angolazioni. Immaginate se nella nostra società fosse imposto alle donne di vedere il loro amato sempre e solo di notte e in modo furtivo! Si scatenerebbe un movimento di affermazione della libertà di vivere con il compagno. Alle donne mosuo non è consentito essere sacerdotesse, e questo ricorda il movimento di affermazione delle donne in varie religioni cristiane, per cui molte di esse oggi ammettono sacerdotesse. 

 

Insomma, ogni società è repressiva. Ovvero, se dà libertà da un lato, la toglie dall’altro. Ogni società cerca di regolare, nei modi più diversi, la convivenza e la riproduzione dei propri membri attraverso regole, norme, leggi abitudinarie, culti, ecc. Non esistono società anarchiche.

Ma la cultura – quella delle élite intellettuali – degli ultimi due secoli è impregnata di anarchismo. A partire dall’Illuminismo, il paradigma dell’intellettuale all’avanguardia è l’anarchismo. Questo anarchismo di fondo della società occidentale moderna è passato poi a tutto il mondo industrializzato. Da qui il bisogno di scovare società anarchiche – e quindi felici – tra società realmente esistenti. Oggi questo ideale anarchico ha eletto le donne come operatrici contro un mondo che viene condannato come sperequato e oppressivo. Il matriarcato o il ginarcato sarebbero società tendenzialmente an-archiche. Al predominio delle donne si assocerebbero necessariamente la promiscuità sessuale e una comunione dei beni. Ma cosa ci fa pensare che una società dominata dalle donne sarebbe meno repressiva di società col primato (politico? militare? religioso? familiare?) degli uomini? Perché il predominio delle donne dovrebbe portare a una società sessualmente permissiva più che nel patriarcato?

 

La mia impressione è che il gine-suprematismo dia immaginariamente alle donne la facoltà di realizzare un tipo di società che di fatto è stata immaginata e vagheggiata soprattutto da uomini. 

Prima parlavo del progetto femminista di Aristofane. Lui stesso però segnalava in modo farsesco certi caratteri oppressivi dell’illuminato potere delle donne. Secondo la legge imposta dalle donne, ogni volta che un uomo faceva l’amore con una donna bella e giovane, doveva ipso facto fare l’amore anche con una donna brutta e anziana. Così un giovane frastornato si trova conteso tra tre donne una più brutta dell’altra. Un finale buffonesco, che però esprime qualcosa di molto serio: ogni società ha i suoi lati coercitivi.

 

 

PS. Amici che hanno letto quest’articolo mi dicono: “Parli di un’ideologia della superiorità femminile che contrasta con la realtà della condizione femminile. Le donne di fatto guadagnano meno, sono discriminate, sono vittime di violenza, ecc.” Ma certo: la mia analisi del gine-suprematismo riguarda una visione diciamo filosofica (una narrativa, si dice oggi), non una realtà. Nella realtà le donne restano, soprattutto in Italia, in una posizione inferiore. Non è certo questo che metto in dubbio. Ma le narrative spesso cambiano il mondo, perciò occorre conoscerle e analizzarle – anche se il cambiamento che esse producono di solito non è quello che queste narrative auspicavano….

 

Per saperne di più

 

Nigel Barber. "Chinese tribe without marriage points to future". Huffington Post January 2014. Huffington Post. October 2016.

Chuan-Kang Shih. "Genesis of Marriage among the Mosuo and Empire-Building in Late Imperial China”. The Journal of Asian Studies 60, no.2 (May 2001), pp. 381-412.

Cai Hua. « Une société sans père ni mari : les Naxi de Chine », Presses Universitaires de France, 2001.

Siobhán Mattison, Brooke Scelza, & Tami Blumenfield. Paternal Investment and the Positive Effects of Fathers among the Matrilineal Mosuo of Southwest China. American Anthropologist, 2014, 116(3), pp. 591-610.

Francesca Rosati Freeman. Benvenuti nel Paese delle donne. Un viaggio straordinario alla scoperta del Moso, XL edizioni, 2010

Chuan-kang Shih. Quest for Harmony: The Moso Traditions of Sexual Union & Family Life. Stanford, 2010.

Choo Waihong. The Kingdom of Women: Life, Love and Death in China's Hidden Mountains. I B Tauris, 2017.

 

 


Alcuni documentari:

- "A World without Fathers and Husbands" di Eric Blavier (2000)

- Kingdom of Women: The Matriarchal Mosuo of China (2007)

The Mosuo Sisters (2012) di Marlo Poras

 

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