Dal trailer al film / “La paranza dei bambini”. Quindicenni con la pistola

15 Marzo 2019

Il brano No Surprises, con cui attacca il trailer della Paranza dei Bambini, non molla neanche dopo il primo colpo di pistola. Uno fra i pezzi apparentemente più “zuccherosi” dei Radiohead tiene, diffondendo note di carillon, come se fosse una canzoncina per bambini. Sulla sua base si inserisce un mantra, una specie di preghiera dal contenuto però inequivocabilmente cruento (“Per il rispetto e per l'onore ne ho persi di compagni. Fratelli miei, fratelli di condanna, e quando porto questa pistola tengo i vostri nomi in canna”), che scopriremo poi essere una poesia: quella che ha scritto Striano, un famoso boss del Rione Sanità con la casa dalle pareti ricoperte d'oro, prima di morire. La melodia continua e neutralizza le immagini, espediente frequente (da Kubrick a Gus Van Sant): dei ragazzini si esercitano a sparare in un garage, e al primo colpo di pistola centrano la mira; poi sono in branco, su un tetto, a tirare fucilate contro le antenne paraboliche, come un allenamento al poligono. Si inserisce qualche scena di un amore tra il capobanda e una ragazza. I due vanno sulle macchinine “tozza tozza”, poi dormono insieme, forse per la rispettiva prima volta. 

 

 

Improvvisamente la favola della ninna nanna si interrompe. Ecco il secondo colpo di pistola, questa volta reale: i ragazzi, usciti dal garage, sono all'aperto, in mezzo alla via, e lo sparo potrebbe aver colpito qualcuno. No Surprises è svanita, e lascia spazio al boato che rimbomba nel vuoto. Al suo posto una nota grave e protratta. Il trailer si fa serio come il gioco a cui stanno dando avvio: adesso è a loro che bisogna pagare il pizzo. 

 

La memoria recente della traccia fiabesca appena lasciata viene ravvivata in un attimo dal ritorno del pezzo che durerà fino alla fine. La sospensione aveva accompagnato un provvisorio cambio di registro utile a movimentarne la tensione: è l'apparente svolta a cui ci hanno abituato le strutture in tre atti dei trailer. Come spesso accade, anche qui è per ricordare che il film tuttavia è un dramma, e bisogna udirli per bene, puliti, questi colpi di pistola. È un dramma, ma si sceglie di terminare comunque sulla distensione recuperando la musica, anche se quella piccola frattura ora fa sentire tutto il suo peso, e sappiamo che a un certo punto, presto o tardi, diventerà significativa. No Surprises raccoglie allora in terza battuta la conclusione, riprendendo esattamente da dove era rimasta a ritingere tutto del colore di questi stessi palloncini (rosa) che volano verso il cielo. La scena finale è la vertigine in discesa dalle montagne russe della coppia, perché i bambini che prima sparavano, poi vanno al luna park. 

 

 

Il trailer ci racconta il cozzare di due ordini di cose: della musica con le scene da un lato, delle scene fra loro (l’accostamento bambini-armi) dall’altro. Che cosa ci potremmo aspettare, se il film non fosse preceduto dalla sua stessa fama (sceneggiatura premiata all’ultima Berlinale), se non fosse tratto da un libro di Saviano (altro elemento che lo connota inequivocabilmente), e se non fosse stato affidato a un regista come Claudio Giovannesi (che nel precedente Fiore ha già raccontato l'amore carcerario tra ragazzini)? 

 

In realtà, della storia, il trailer sceglie di lasciare emergere ben poco, e si limita più che altro a una suggestione, attraverso l'alternanza ripetuta tra giostre e spari. Il resto lo si può immaginare. La curiosità dello spettatore si muove infatti attorno all'impressione che potrebbe fare seguire ulteriormente quei quindicenni che già vediamo nel trailer con dei fucili in mano, e poi organizzati in raid punitivi sui motorini. 

 

 

La domanda è: quanto il film porterà alle estreme conseguenze la stridente coabitazione tra questi due mondi? Iniziamo dalle sottrazioni. Di No Surprises nessuna traccia, e con essa scompare la doppia contraddizione che nel trailer innescava un generico sentimento di stranezza. Anche le scene del luna park, che nel trailer costituivano un contrappunto, sono tagliate. Se però lì non facevano che aumentare la posta della domanda, nel film sarà davvero così assurdo vedere una gang di quindicenni con le pistole in mano, se poi i ragazzini non sono in verità altro che adulti in miniatura, ricalcando di questi atteggiamenti, logiche e infine azioni impeccabili senza défaillance alcuna, eccezion fatta per le merendine? Invitano persino le sedicenni al teatro San Carlo, come forma di corteggiamento. Le dinamiche complessive reprimono l'indole bambinesca, una gestione infantile della situazione (e sue eventuali disastrose conseguenze), che era quella che maggiormente, in fondo, speravamo di trovare. E invece Nicola sembra esperto, è sveglio: è “nato imparato”, come si dice. 

 

 

Il discorso potrebbe essere vero salvo che per due aspetti. Il primo riguarda l'ispirazione al modello di rifermento, che richiama la dinamica genitori-figli (soprattutto quando le famiglie sono assenti, ivi inclusa una madre lavandaia connivente per assenza di alternative, quella stessa Valentina Vannini già protagonista ne L'intrusa di Leonardo di Costanzo). C'è il mito del boss buono, quello che non fa pagare il pizzo nel quartiere, il camorrista nobile d'animo che scrive le poesie, perché un boss coi valori è migliore di un boss senza.  

 

Il secondo riguarda l'anello di congiunzione tra trailer e film. Se il primo era principalmente incentrato sulle armi, nel secondo saranno proprio queste a dirci come si vince una guerriglia così concepita: non il più forte, non il più intelligente, ma chi possiede le armi. Allora Nicola, che ha gli uomini ma non le armi, va da don Vittorio a chiedergli quelle che lui ha deposto, perché, dagli arresti domiciliari gli uomini li ha persi. Il boss sa che il ragionamento fila, e si accordano per uno scambio. Nel film c'era stato un breve colpo di scena: nelle prove in garage, la pistola si inceppa. Eccoci. Per un attimo sembra accadere il tanto atteso fallimento dell'azione: è perché sono dei bambini, è la défaillance che aspettavano di vedere. Ma non è altro che un “effetto La La Land” (in questo film il particolar modo, il rapporto col trailer istituisce un valido sistema di rimandi, di attese e disattese, come accade per il primo mancato scontro fisico dei due protagonisti, di cui il trailer ci aveva presentato un diverso esito): noi sappiamo dal trailer che la pistola sparerà, e centrerà la mira. E infatti, al secondo tentativo è fatta, perché a imparare a usarla ci vuole poco. Se sono le armi a fare la differenza, non importa se sei adulto o bambino. Che siano giocattoli o reali, tutte sparano (si usano) nello stesso modo. 

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