Lo sporco, i resti, l’invisibile e il minimo / Le costellazioni del pensiero di Lucius Burckhardt

31 Marzo 2019

Per la collana Habitat di Quodlibet è stata recentemente pubblicata una raccolta di scritti, disegni e immagini sull’attività di Lucius Burckhardt dal titolo: Il Falso è l’Autentico – politica, paesaggio, design, architettura, pianificazione, pedagogia.

Ventotto pungenti riflessioni, scritte tra il 1957 e il 1999, molte delle quali tradotte per la prima volta in italiano, restituiscono la densità del pensiero di un intellettuale unico. Gaetano Licata, nel testo di apertura della raccolta, suggerisce per Lucius Burckhardt la suggestiva definizione di Universalgelehrter (homo universalis) al pari di Plinio il Vecchio o Isaac Newton o come per il suo connazionale Conrad Gessner naturalista, teologo e bibliografo che nel 1545 scrive la “Bibliotheca Universalis”, testo all’origine del concetto di bibliografia.

Lucius Burckhardt nasce in Svizzera, il 12 marzo 1925 in una delle terre-dimora delle comunità Walser, precisamente a Davos nella regione della Prettigovia nel Cantone dei Grigioni.

 

La sua famiglia discende dagli ambienti alto borghesi di Basilea, la stessa di Jacob Burckhardt, il più brillante storico svizzero del XIX secolo, autore nel 1860 di La civiltà del Rinascimento in Italia e animatore della fucina intellettuale di Casa Kugler. A Jacob Burckhardt vengono spedite dalla posta centrale di Torino il 4 e il 6 gennaio 1888 due lettere, della serie dei “biglietti della follia”, da Friedrich Nietzsche, suo allievo ed amico.

L’intreccio di storie ci riporta a Torino negli anni cinquanta, dove durante alcuni periodi di soggiorno, conclusi i suoi studi di economia, Lucius Burckhardt scrive una tesi dal titolo Partei und Staat in (italienischen) Risorgimento (Partito e Stato nel Risorgimento Italiano 1955) che gli vale il titolo di Dr–Phil conferito a Basilea. I relatori sono Edgar Salin, docente di economia politica prima a Heidelberg e poi a Basilea, e Karl Jaspers, filosofo e psichiatra tedesco che nel 1919 scrisse Psychologie der Weltanschauungen (Psicologia delle visioni del mondo), pubblicato in italia nel 1950, considerato il manifesto della filosofia dell’esistenza.

Gli studi in economia e sociologia conducono Lucius Burckhardt a rivolgere la propria curiosità di osservatore e ricercatore verso l’analisi dei controversi meccanismi di pianificazione del territorio, l’urbanistica sembra essere un affare di famiglia, sua sorella Janette in quegli anni è assistente di Le Corbusier.

 

La sua attitudine refrattaria a riconoscersi all’interno di raggruppamenti culturali e tanto meno negli ambienti accademici, produce in lui uno sguardo critico molto personale, trasversale e culturalmente aperto verso il continente europeo, parla fluentemente il tedesco, l’inglese, il francese e l’italiano.

La natura preziosa e sottile dei suoi ragionamenti è propria dell’attitudine del polimata richiamata da Licata. Analisi scomode, spesso estreme, a vantaggio di posizioni radicali e visioni delle cose del tutto inedite, ignorate dagli esperti delle comunità accademiche del tempo. Digressioni avvincenti, complesse, un linguaggio semplice capace di comunicare la profondità del suo pensiero anche al lettore meno avveduto. 

In “Pianificazione urbana e democrazia” del 1957, evidenzia la grave sostanza di un paradosso quanto mai attuale, l’analisi invita a considerare quanto poco chi governa le città dedichi attenzione all’immagine delle stesse. Inspiegabilmente viene meno la cura verso la manifestazione più pubblica delle nostre vite e si trascura la rappresentazione più visibile delle attività umane. Le sue sono domande precise che ancora oggi, in particolare nel nostro Paese, stentano a trovare risposta, e ben rappresentano il disagio complessivo dei cittadini verso le politiche urbane: 

Perché l’urbanistica sfugge dal dibattito pubblico? 

La pianificazione può al contempo essere consapevole e democratica?

 

Ciò che la riflessione denuncia è la totale mancanza di una partecipazione pubblica alla discussione sulla città: per Lucius Burckhardt è necessario affermare nel dibattito pubblico il ruolo civile di una cittadinanza politica. 

In ”Ulm anno 5. Sul programma della Hochscule für Gestaltung di Ulm” articolo scritto per la rivista tedesca Das Werk nel 1960, le aspre considerazioni sulla didattica condannano il settarismo, il formalismo e l’ingenua venerazione per la scienza da parte degli insegnanti della scuola; scenari che sembrano descrivere con precisione il ritardo culturale di gran parte delle università italiane.

È proprio nei due anni di insegnamento come docente ospite di sociologia alla Scuola Superiore di progettazione di Ulm che Lucius Burckhardt sperimenta un approccio metodologico mutuato dalle teorie critiche sulla progettazione complessa di Horst Rittel che anni dopo hanno dato vita alla felice definizione di wicked problem.

E proprio nelle amare conclusioni del testo prende forma un approccio al progetto che richiama l’urgenza di un realismo critico contrario a ogni formalismo.

 

Lucius Burckhardt, Der Sieg der Guten Form (il Trionfo della Forma) sd.


In questo delicato passaggio, prendono forza le posizioni critiche di Lucius Burckhardt intorno alla necessità di guardare alla progettazione come un processo. 

Bauen – ein prozess, Costruire: un processo. 

Feroci le critiche verso gli architetti, a farne le spese nel 1967 è Oswald Mathias Ungers, durante il leggendario convegno Architekturtheorie (Teoria dell’Architettura). 

L’incapacità di adattamento ed esclusione delle dinamiche temporali, sono per Burckhardt le principali cause del peggioramento dell’ambiente costruito dell’uomo. 

Le sue rivendicazioni auspicano un minore livello di determinazione nel processo di pianificazione. Concetti che nel 1971 maturano l’intuizione di formulare un processo di pianificazione per obiettivi da perseguire a tappe, lasciare ampio margine temporale alle scelte, rimandare anziché decidere. 

Un elogio intelligente, quanto mai sofisticato a favore di una pianificazione aperta risultante da un approccio non-programmato e per quanto possibile sfocato.

La sua, è una domanda semplice e al tempo stesso disarmante: 

“quanto poco possiamo pianificare perché si inneschino gli sviluppi desiderati e resti tuttavia qualche cosa da decidere?” 

Una considerazione accolta all’epoca con scetticismo e che oggi, in tutto il suo valore e buon senso, dovremmo assumere come una regola aurea di democrazia. 

Rimandare le decisioni per aprire un processo decisionale collettivo e aperto. 

 

Lucius Burckhardt, A Planner is… sd.


Siamo nell’ora dell’utopia. 

Dalle “utopie tecniche” alle “utopie urbanistiche” del piano di Kenzo Tange per una città stato per la “Grande Tokio”, della felessibilità della “Città Spaziale” di Yona Friedman e del progetto di Lubicz-Nicz e Donald P.Reay per Tel Aviv; le “urban fiction” dei gruppi inglesi Archigram e Clip-Kit e le “utopie integrate” della Potteries Thinkbelt di Cedric Price e la Stadttumbau ohne Bodenreform di Walter Förderer.

Nel descrivere il valore di queste esperienze Burckhardt, rilegge i limiti e il loro significato retorico. Le utopie ci raccontano scenari di vita con una maggiore interazione sociale, dove la circolazione delle merci è gratuita, dove il tempo libero prevale sul tempo di lavoro. Lucius Burckhardt ammonisce che sono le proiezioni statiche di un futuro astorico, che un giorno è diventato presente, ciò che invece manca è la descrizione dei processi che conducono al futuro e che lo trasformano in presente sociale. L’unico terreno su cui valga la pena di fare politica: la ridefinizione del nostro modo di vivere il futuro.

 

Seguono le riflessioni intorno al Design. Dal 1976 al 1983, fu il presidente del Deutscher Werkbund, il suo è un approccio che non si abbandona alla ricerca della buona forma per perseguire ciò che definisce “design invisibile”. Aldilà del visibile esiste una dimensione sociale del design, del tutto invisibile. Se dobbiamo scegliere una casa dove vivere in città non ci limitiamo a considerare esclusivamente la sua forma esteriore, decisive sono le componenti invisibili come il canone e il regolamento di condominio. 

Per Burckardt il tram dal design migliore è quello che passa di notte.

 

Bellissimo e illuminante il breve testo dal titolo “Lo sporco” nel quale si prende coscienza del fatto che progettare per la realtà significa sin dall’inizio concepire che la natura dell’umano produce resti. 

Durante un incarico nel Belice a Gibellina, condiviso con un gruppo formato dall’architetto, paesaggista e scultore francese Bernard Lassus, lo storico inglese Stephen Bann e l’artista e teorico tedesco Bazon Brock figura legata al movimento Fluxus, maturano le considerazioni sull’intervento nel paesaggio con un approccio di minima modificazione e attenzione alla reversibilità degli interventi. Nasce la definizione di “intervento minimo”. 

Annemarie Burckhardt, moglie e fedele custode del vasto archivio di Lucius, racconta che Lassus per spiegare il significato dell’intuizione dell’intervento minimo richiamava un’immagine: una piccola striscia di carta bianca inserita nel calice di un papavero, in pochi secondi, senza nessuna modificazione concreta riceve il colore rosso.

 

Seguiranno una serie di esperienze seminali: 

Le passeggiate in giro per la Bovisa nell’azione “The Voyage to Tahiti” del 1988 in occasione della XVII Triennale e le “infrazioni a scopo pedagogico” dei primi anni novanta con gli studenti a Kassel. 

Sono i frammenti della Spaziergangswissenschaft, la scienza applicata alle passeggiate, la Promenadologia da lui fondata in quel periodo. 

Un’ulteriore intuizione magica.

 

Bastone da passeggio di Lucius Burckhardt, "Here it is beautiful", multiplo 1993, Andreas Gram / Martin Schmitz.


Il Falso è l’Autentico è un libro denso, bellissimo e di un’attualità straordinaria quanto urgente. Sono le parole semplici e le intuizioni di un genio a cui in tanti dobbiamo moltissimo.

 Martin Schmitz e Jesko Fezer, nel testo che chiude la raccolta rispondono bene alla domanda: 

chi era Lucius Burckhardt?

Lucius Burckhardt era audace, poiché sosteneva che il design fosse invisibile, poneva domande scomode, ad esempio chiedeva perché il paesaggio è bello. Era tenace quando insisteva a chiedere chi pianificasse la pianificazione. Era popolare e si occupava di vivibilità e quotidianità. Era provocatorio. Eleggeva notte e spazzatura a oggetti della sua ricerca. Era realistico nel sostenere che la costruzione e la progettazione fossero processi, era ribelle quando dichiarava il passeggiare una scienza. Era lungimirante quando affermava che la tutela distrugge.

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