Il pianoforte unico oggetto dotato di anima / Nietzsche pianista e compositore

29 Aprile 2017

La musica occupa interamente i centri vitali della filosofia di Nietzsche, del suo pensiero, del suo agire. Vissuta sempre in una dimensione immanente, per Nietzsche la musica non è mai quella dell'essere, ma quella che si riconnette alla vita, quella che “offre alle passioni di poter gioire di loro stesse”. Il suo rapporto con l'arte si esaurisce quasi esclusivamente nella musica: “l’arte universale”, “il magico fuoco”, “il selvaggio oceano dei suoni”. È raro che riesca a godere di un'opera figurativa, tutto ciò che non si lascia cogliere in termini musicali gli dà “addirittura un senso di nausea e di ripugnanza”.

 

Il suo sentirsi orgogliosamente musicista non subisce mai cedimenti neppure negli ultimi anni della sua vita cosciente quando non ha più molte occasioni per fare pratica musicale come compositore o pianista. “Forse, non c'è mai stato un filosofo che fosse, au fond, musicista quanto lo sono io” scrive un anno prima della follia al direttore d'orchestra Hermann Levi. Una vicinanza alla musica testimoniata anche nei momenti di maggior amarezza: “non conosco più nulla, non sento più nulla, non leggo più nulla: e malgrado tutto ciò non c'è niente che, propriamente, mi interessi di più del destino della musica”. 

 

Sono oltre seicento le lettere scritte da Nietzsche dove ritroviamo citazioni, commenti, analisi o resoconti musicali. Testimonianze che ci ricollegano a una quotidianità nella quale si avverte distintamente come la musica sia la vera forza motrice del suo sentire, la sua rivelazione prima. Il filosofo francese Clement Rosset arriva ad affermare che Nietzsche sia in grado “di rifiutare la metafisica e la religione solo perché queste avrebbero dovuto occupare uno spazio già occupato in lui dalla musica. […] per questo Nietzsche non è da considerare un filosofo musicista bensì un musicista filosofo, musicista portato alla meditazione filosofica da un'incessante riflessione sulla natura della giubilazione musicale”.

 

Fin da giovanissimo Nietzsche si dedica assiduamente alla composizione lasciandoci una settantina di brani in gran parte composti prima dei vent’anni. Molti Lieder per voce e pianoforte, brani per pianoforte solo o per pianoforte a quattro mani. Se si escludono alcuni abbozzi ed un paio di brevi pezzi d’occasione, sono solo cinque le composizioni “mature” scritte o rielaborate dopo il 1865. Brani ai quali lavora ancora con dedizione e vane speranze di essere riconosciuto come musicista.

 

Nel 1871 compone l’enigmatico Das Fragment an sich (Frammento in sé) un brevissimo brano per pianoforte solo che sembra evocare con quell’ininterrotto e ineluttabile “da capo” la circolarità dell'eterno ritorno. Dello stesso anno è Nachklang einer Sylvesternacht (titolo completo Eco di una notte di San Silvestro con canto di processione, danza campestre e campana di mezzanotte) per pianoforte a quattro mani che rielabora una composizione per violino e pianoforte scritta otto anni prima. Entrambi i pezzi si ispirano alla notte di San Silvestro, momento cruciale nella vita di Nietzsche "nel quale – scrive alla madre – si formulano proponimenti decisivi […] e ci si sente come elevati al di sopra del tempo. Si assicura e si autentica il proprio passato e si riceve coraggio e decisione per proseguire nella propria strada”.

 

Nel 1872 si dedica al suo brano pianistico più complesso e controverso la Manfred Meditation per pianoforte a quattro mani ispirata al dramma di Byron di cui accenneremo in seguito. Nel 1873 compone invece Monodie à deux, sempre per pianoforte a quattro mani, ironico dono di nozze a Olga Herzen, “figlioccia” dell'amica Malwida con Meyensbug, che si univa in matrimonio con lo storico Gabriel Monod.

 

È invece del 1874 Hymnus auf die Freundschaft (Inno all'amicizia), ultima fatica compositiva di Nietzsche che sarà rielaborata in differenti versioni per pianoforte a due e a quattro mani per essere nuovamente trasformata nel 1882, con l’aggiunta del testo poetico di Lou von Salomé, in un lied dal titolo Gebet an das leben (Orazione alla vita) e successivamente, in un inno, Hymnus an das Leben, (Inno alla vita) per coro e orchestra.

 

Nelle sue ultime composizioni Nietzsche tenta invano di forzare l’espressività del pianoforte oltre i limiti timbrici dello strumento. Quando compone Eco di una notte di San Silvestro confessa all'amico Gustav Krug che il brano “è costruito su pochi temi, con un carattere [...] letteralmente avido d'orchestra, ma come sai, a questo punto non posso più competere”. Così come nelle sue Meditazioni sul Manfred spiccata natura sinfonica delle quali resta anche traccia dell'orchestrazione delle prime battute a testimonianza di una volontà che non riesce più a contenersi nei limiti di una tastiera.

 

 

Di quest’ultimo lavoro Nietzsche è talmente soddisfatto da inviarne subito una copia al celebre direttore d’orchestra Hans von Büllow, interprete acclamato di molte opere wagneriane e primo marito di Cosima Liszt. La risposta del maestro, citata in molti testi a conferma del poco talento musicale del nostro filosofo, fu, come la definì Nietzsche stesso molti anni dopo, “una sentenza di morte”. Queste le parole di Bülow: “La sua Meditazione sul Manfred è di una estrema stravaganza fantastica, la cosa più sgradevole e anti musicale che da gran tempo mi sia capitata sotto gli occhi tra le annotazioni su carta da musica. [...] A parte l'interesse psicologico – dato che nel suo febbrile componimento musicale, accanto a tutti gli smarrimenti, si avverte uno spirito inconsueto e distinto – la Sua meditazione dal punto di vista musicale ha lo stesso valore di un delitto nel mondo morale... […] D'altronde Ella stessa ha definito la Sua musica “orribile” – e, in effetti, lo è. E certo in modo più orribile di quanto creda... dannosa per Lei stesso, che non avrebbe potuto ammazzare in modo peggiore anche un eventuale eccesso di ozio che stuprando Euterpe in tal maniera”.

 

Parole fatali che scuotono il fragile animo musicale di Nietzsche. Incerto sul da farsi attende diversi giorni prima di rispondere. Ci restano due lettere: quella effettivamente inviata ed un abbozzo più sofferto dove Nietzsche tenta di confessare le ragioni più intime che lo portarono a comporre quelle pagine: “ho scritto fughe en masse, e sono capace di uno stile puro […]. Per contro talvolta sono sopraffatto da una voglia così barbarica, da una tale mescolanza di caparbietà e di ironia, che io stesso non riesco a scorgere con chiarezza – così come non riesce Lei – che cosa nell'ultima musica sia da interpretare seriamente e cosa invece come caricatura e sarcasmo. […] Con ciò mi è purtroppo chiaro che il tutto, con questa mescolanza di pathos e cattiveria, corrispondeva assolutamente a un vero stato d'animo, e che io nella stesura di quella composizione ho provato un godimento come mai prima d'allora”.

 

Nietzsche ammette di riconoscersi pienamente in quella pagina. Non sembra invece in grado di cogliere una sorta di riconoscimento implicito sulla natura estrema del suo agire che certamente la lettera di Büllow contiene. Lui stesso aveva definito “orribile” il suo pezzo nella lettera che accompagnava l’invio del brano. Forse per pudore, forse perché sapeva quanto nella sua musica prevalesse la necessità di mescolare insieme “piacere, disprezzo, tracotanza e sublimità”. Forze “delittuose” che, seppur ancora incostanti e malferme sul piano compositivo, avevano l’ardire di forzare lo stile e l’estetica musicale del tempo così come il suo “filosofare col martello” agiva sul mondo morale.

 

Se si escludono gli abbozzi giovanili di alcuni pezzi sacri per piccolo organico orchestrale, solo con l'aiuto di Heinrich Köselitz riuscirà a completare l'orchestrazione del suo ultimo lied, Gebet an das Leben, trasformandolo in quell'Inno per coro e orchestra che si augurava potesse essere un giorno cantato in sua memoria. Brano che, coraggiosamente, quindici anni dopo, osò inviare nuovamente a Büllow per un parere con una lettera di accompagnamento nella quale traspare chiaramente il bisogno di chiudere in qualche modo quell'antica ferita. Sappiamo invece che rimarrà aperta fino alla fine come testimoniano la brevissima lettera del 9 ottobre 1888 e quell’ultimo “biglietto della follia” del 4 gennaio 1889 dove Nietzsche, trasformatosi ormai in Dioniso, condanna senza appello il povero direttore tedesco “ad essere divorato dal Leone di Venezia” (titolo di un’opera musicale che Nietzsche amava moltissimo composta da Köselitz).

 

Nietzsche afferma in molte lettere come nei suoi brani si manifesti la sua più intima natura dove il pathos predomina sull’ethos, il tutto sulla parte. “Possa la mia musica dimostrare che si può essere dimentichi del proprio tempo e che in ciò v'è qualcosa di ideale!”, scriveva nel 1875 all'amica Malwida von Meysenbug, “per me resta sempre un fatto straordinario come nella musica si riveli l'immutabilità del carattere; ciò che vi esprime un fanciullo è così chiaramente il linguaggio essenziale della sua intera natura, che anche l'adulto non ritrova nulla da cambiare”.

 

Una frenesia incontenibile lo domina in particolare quando compone al pianoforte, lo strumento della sua creatività musicale, dell'intimità solitaria, il suo principale confidente: “per un po’ rimasi senza parola. Poi istintivamente mi buttai su un pianoforte, come l'unico oggetto dotato di anima di quella compagnia e accennai alcuni accordi che sciolsero il mio torpore”. Poco più che ventenne, scrive incredulo alla sorella Elisabeth e alla madre Franziska dei sui primi riconoscimenti come pianista: “le mie improvvisazioni al pianoforte hanno non poco successo, e fui solennemente festeggiato con un brindisi in mio onore. Ernst ne è assolutamente incantato, come direbbe Lisabeth; dovunque io mi trovi debbo suonare e vengo applaudito: è ridicolo. Ieri, nel pomeriggio, ci recammo a Schwelm, […] la sera, in un ristorante, suonai, senza saperlo, alla presenza di un rinomato direttore d'orchestra, il quale rimase a bocca aperta e mi fece ogni sorta di complimenti, scongiurandomi di far parte, la sera, della sua società corale.”

 

Nel suo continuo errare di città in città Nietzsche cerca di avere sempre a disposizione un pianoforte. Lo affitta anche a caro prezzo o cerca di trovarne uno in un locale o da un amico. Avvilito scrive da Bonn alla sorella: “tra le mie grandi operazioni finanziarie c'è anche il proposito […] di non prendere più in affitto un pianoforte, tutto questo, in parole povere, per risparmiare denaro”. Così come all’amico Carl von Gersdorff lamenta di essersi purtroppo occupato poco di musica perché a Kosen, dove si trovava in quel periodo, non ha un pianoforte a disposizione. È entusiasta invece quando scrive sempre ad Elisabeth pochi giorni dopo il suo arrivo a Basilea: “ho affittato uno splendido pianoforte a coda (non costa caro)”. 

 

Il pianoforte è lo strumento per comporre, per conoscere i grandi capolavori e per improvvisare. Qualità non comune a tutti i musicisti nella quale Nietzsche certamente primeggiava. Chissà quanti altri brani nacquero da questa pratica compositiva estemporanea, chissà come il suo rapporto con la musica vivesse nell'immediatezza di quel gesto creativo che faceva appello alla sua “memoria riproduttrice”. Nonostante in gioventù si augurasse che “lo studio approfondito delle regole della composizione musicale attenuasse il pericolo di diventare superficiale a forza di improvvisazioni”, questo bisogno non cessò mai. Forse perché, più di ogni altra attività creativa, lo riconduceva a quella dimensione corporea della pratica musicale, a quelle tensioni armoniche e ritmiche vissute nel gesto fisico di suonare come elementi da gestire nel presente senza ripensamenti o correzioni. La vera dimensione della libertà dionisiaca.

 

Il pianoforte sarà poi lo strumento che lo accompagnerà nella follia. A Torino, quando Franz Overbeck si precipita per accertarsi delle condizioni dell’amico e lo trova nella sua stanza “seduto al pianoforte dove canta a voce spiegata in preda alla frenesia”; a Jena, dove malato e vegliato dalla madre esce dalla clinica per raggiungere uno strumento nella sala di un ristorante poco lontano dove può suonare un paio d'ore o nella casa materna; a Naumburg, dove attende con impazienza il momento per mettersi alla tastiera dopo la passeggiata del mattino e le cure del barbiere. 

Gli ultimi contatti sono con un pianoforte suonato a Weimar da Heinrich Köselitz. Pochi accenni che rianimano per un istante quel corpo demente condannato ormai all'estrema solitudine.

 

Nota di lettura:

Di seguito sono elencati i riferimenti di alcune delle lettere citate nell’articolo. Lettera inviata a:

Franziska ed Elisabeth del dicembre 1864 e del 18 febbraio 1865; Carl von Gersdorff del 11 ottobre 1866; Elisabeth Nietzsche del 28 maggio 1869; Gustav Krug del 13 novembre 1871; Erwin Rohde del 21 dicembre 1871; Hans von Büllow del 20 luglio 1872; Heinrich Köselitz del 29 ottobre 1872; Friedrich Hegar dell’aprile 1874; Malwida von Meysenburg del 20 marzo 1875; Hermann Levi del 20 ottobre 1887; Heinrich Köselitz del 22 ottobre 1887 e del 21 marzo 1888; Hans von Büllow del 9 ottobre 1888. Testimonianza di Paul Deussen, che racconta della visita di Nietzsche in una casa del malaffare.

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO
locatelli