Critica di una nozione sfuggente / Teatro-scienza

22 Giugno 2017

La crescente specializzazione delle arti, delle tecniche, delle scienze ha reso più penetrante la conoscenza dei loro rispettivi oggetti di indagine, ma a prezzo di una conseguente settorializzazione dei saperi. Per arrivare a capire anche solo le basi (spesso contro-intuitive e nemiche del buon senso) di una disciplina come la fisica quantistica o la metafisica, un individuo è costretto a sottoporsi a lunghi anni di studio disciplinato, trascurando così necessariamente di approfondire altri interessi e settori. Laddove dunque in un passato nemmeno troppo remoto, come nel secolo dell’Ottocento, poteva capitare, ad esempio, che un filologo classico fosse anche un raffinato conoscitore della biologia, o almeno una persona aggiornata sui nuovi metodi e le più recenti scoperte della stessa, oggi questa osmosi è divenuta impossibile. Chi si addentra sporadicamente nel labirinto di un’arte, di una tecnica o di una scienza iper-specialistica finisce perlopiù per perdere il proprio tempo: egli o ella resta alla superficie, come se non avesse studiato affatto.

 

Questa spinta alla specializzazione – al tempo stesso penetrante e disgregativa –è controbilanciata in parte dai tentativi di divulgazione ad opera degli esperti. Per riprendere il caso dei fisici quantistici e dei metafisici, essi (proprio perché sanno) possono riuscire a comunicare lo stato della loro disciplina e le maggiori ripercussioni (pratiche, epistemologiche, ecc.) in una forma più accessibile, trovando il giusto mezzo tra l’esposizione tecnica, che solo altri specialisti possono capire, e la banale semplificazione, che si piega al gusto dei destinatari e non pretende da loro uno sforzo di comprensione. Ne segue il bisogno di trovare un contesto per diffondere queste conoscenze, che alcuni scienziati o artisti di formazione scientifica individuano nel teatro. Nasce così il cosiddetto “teatro-scienza”, che in Italia ha trovato spazio e attenzione nel festival del Teatro della Meraviglia di Trento, con la direzione artistica di Stefano Oss e Andrea Brunello, che ha avuto luogo dal 13 al 22 gennaio 2017.

 

Logo del Festival

 

Ma che significa “teatro-scienza”? Fermandosi al piano squisitamente empirico, la risposta sarebbe semplice, persino scontata. “Teatro-scienza” è quell’insieme di prodotti spettacolari che portano il sapere scientifico negli spazi teatrali, con finalità ludiche, educative e/o poetiche. Se si va più nello specifico, tuttavia, la domanda solleva almeno due problemi. Anzitutto, affinché l’espressione “teatro-scienza” abbia senso, occorre capire cosa significhino i concetti semplici di “teatro” e“scienza”. Ma poiché questi stessi sono in sé oscuri, il composto risulterà ancora più oscuro e, privi di adeguata riflessione, se ne parlerà senza sapere che cosa si sta davvero dicendo. In secondo luogo, posto che sappiamo cosa siano il “teatro” e la “scienza” (in realtà, ciò va a mio avviso ancora appurato), si solleva il problema della loro relazione. È il teatro che attinge alla scienza, per generare prospettive ludiche, educative, poetiche? O al contrario, è la scienza che diverte, educa, genera poesia, usando il linguaggio del teatro? L’espressione “teatro-scienza” in apparenza innocua si rivela così essere un ginepraio, in cui è difficile anche solo impostare le premesse per orientarsi senza perdersi.

 

Forse una risposta unica a questi problemi è non solo inutile, ma persino dannosa, soprattutto per il teatro. Per la scienza è probabilmente possibile arrivare, almeno in linea di principio, a una definizione condivisa, fosse anche quella su cui tutti o i più autorevoli membri di una comunità scientifica sarebbero d’accordo. Non sbaglierei forse di molto se proponessi che la “scienza” in generale è la conoscenza forte di un oggetto e delle eventuali leggi che ne regolano il funzionamento, esplicate attraverso una o più teorie che sono continuamente vagliate mediante esperimenti e la ricerca in comune tra esperti. Nel caso del teatro, invece, è arduo pensare che una definizione unica sia accessibile, come dimostra il proliferare continuo di poetiche / manifesti poetici che presentano prospettive a volte inconciliabili. Se fosse definibile concordemente, esso potrebbe addirittura ambire a porsi come una “scienza”. Qualora fosse vero dire, poniamo, che il teatro è la conoscenza forte dell’umanità nella sua essenza autentica e la sua relativa esplicazione, attraverso una teoria che determinare i momenti “teatrici” in cui gli esseri umani sono – per così dire – messi a nudo, come nei momenti di maggiore fragilità e vitalità rappresentati sia dalla commedia, sia dalla tragedia, allora esso potrebbe pretendere di considerare i suoi procedimenti appunto come scientifici. Ma la definizione da me proposta potrebbe rivelarsi falsa, o non condivisibile, come le moltissime altre prospettive finora formulate. La certezza di che cosa sia il “teatro” è lungi dall’essere acquisita.

 

Il punto è dunque che ciascuna concezione del “teatro-scienza” che ambisca a essere credibile deve: 1) partire da una personale definizione di “teatro” e forse anche di “scienza”, se nemmeno questa può essere definita con accordo unanime; 2) spiegare come i due elementi semplici si relazionino tra loro. A seconda di come queste due questioni vengano risolte, le finalità e i metodi del “teatro-scienza” cambieranno conseguentemente.

 

L'alchimista di Mattheus van Helmont

 

Se quanto presento in questo articolo fosse un’indagine sistemica, potrei adesso raccogliere le varie definizioni che potrebbero essere date di “teatro” e di “scienza”, nonché alcune ipotesi su come l’una e l’altra si relazionino nella concreta prassi scenica. Poiché però tempo e spazio non permettono nulla di simile, mi limiterò ad abbozzare una singola prospettiva, ispirandomi proprio al Teatro della Meraviglia cui accennavo sopra. Ciò mi permetterà di fornire anche un conciso resoconto a distanza delle giornate del festival del 2017, che sarà replicato nel 2018 e si spera possa aver vita lunga anche negli anni a venire.

 

Il concetto di “scienza” che il Teatro della Meraviglia ha in mente è sostanzialmente quello accettato dalla fisica. Esso potrebbe essere definito, pertanto, come la conoscenza forte dell’universo e delle sue leggi interne, esplicate attraverso una o più teorie che sono continuamente vagliate mediante esperimenti e la ricerca in comune tra esperti. L’argomento che le giornate di “teatro-scienza” del festival sottopongono allo sguardo e alle orecchie degli spettatori è così il mondo fisico, inteso in senso molto largo. Parte del programma del Teatro della Meraviglia si compone, infatti, delle cosiddette Augmented Lectures, ossia di lezioni di fisica “aumentate” da un contributo artistico (un musicista in scena, ad esempio), che trasmettono al pubblico alcune conoscenze sugli oggetti della scienza. Essi includono cose infinitamente lontane, come le onde gravitazionali descritte da Stefano Oss ne Il cinguettio di Einstein con accompagnamento musicale di Enrico Merlin. Oppure annoverano fenomeni più vicini, come le radiazioni infrarosse, sfruttate ad esempio nella ricostruzione degli strati di un dipinto, come mostrarono Nicola Ludwig e Nadia Simeonova nella lezione Vedere l’invisibile, o come il comportamento degli elettroni, che sono l’oggetto della lezione “aumentata” Non ci sono cose dentro le cose di Marco Giliberti e Giacomo Anderle. O ancora, comprendono oggetti vicinissimi, noti e quotidiani, ma niente affatto semplici,come il cibo (indagato ne La scienza vien mangiando, a cura di Marina Carpineti e della Scuola di Alta Formazione Professionale della Cucina e della Ristorazione dell’Istituto ENAIP di Tione).

 

L’idea di scienza promossa dal festival non stabilisce così, per inciso, false gerarchie tra oggetti, distinguendo che cosa può ispirare conoscenza e cosa no. Il metodo scientifico trova spunto di riflessione in ogni cosa, lontana o vicina che sia. Ci sono problemi affascinanti da spiegare e nozioni da apprendere tanto nelle onde spazio-temporali, quanto nelle radiazioni infrarosse che ci rivelano la storia di un quadro, quanto ancora nella carne cotta a vapore, in cui attraverso la fisica si spiegano caratteristiche organolettiche particolari.

 

Lucrezio

 

La definizione di teatro che il festival propone è a sua volta molto precisa. “Teatro” è quel processo poetico che desta o ridesta in noi la meraviglia verso l’esistente, che a causa dell’affanno e del grigiore quotidiano siamo propensi a dimenticare, dunque a non apprezzare in maniera adeguata. La definizione in questione si manifesta simultaneamente come estetica e politica. Estetica, perché non fa altro che dire che il bello pervade ogni neutrone di questo mondo e che spesso siamo noi a non riuscire a vederlo. Il teatro ci riconduce ogni volta a questa trascinante visione ottimistica, o meglio combatte la nostra tendenza all’oblio della bellezza, da cui nasce il sentimento del brutto. La definizione è poi politica, in quanto il bello che viene così riportato alla memoria è mostrato come un valore da garantire e ricomprendere nei nostri programmi di vita. Se si accetta, ad esempio, che il mondo con i suoi mari, le sue foreste, ecc., non è soltanto (anzi, non primariamente) un bacino di risorse economiche o energetiche, bensì un portatore di bellezza, saremo più propensi a scegliere prassi che tutelino l’ambiente dalla distruzione indiscriminata dei potenti mondiali. Noi saremmo probabilmente più poveri negli averi, nel seguire tale programma estetico-politico, ma più ricchi in senso esistenziale.

 

Questa idea di teatro sta indubbiamente alla base dei quattro spettacoli che il Teatro della Meraviglia ha ospitato (Luci dalle stelle di Stefano Sandrelli e Carpineti-Giliberti-Ludwig, Starlight di Filippo Tognazzo, Il codice del volo di Flavio Albanese, Torno indietro e uccido il nonno di Brunello e Roberto Abbiati). Ognuno di questi lavori così diversi per stile, contenuto, tema trovano il filone unitario appunto nel voler sensibilizzare all’importanza della conoscenza dell’universo e dei suoi misteri. Il “teatro-scienza” in questo senso crea anche una piccola comunità di artisti e scienziati, dove essi mettono temporaneamente da parte le loro concezioni personali per ambire a un nobile fine comune.

 

Vita di Galileo di Bertolt Brecht

 

Resta da delineare in che modo il Teatro della Meraviglia mette in relazione il “teatro” e la “scienza”. Il rapporto tra i due è pensato solitamente secondo il nesso mezzo-fine. Il teatro è visto come un facilitatore dei processi di apprendimento: per esempio, si usa il piacere della visione spettacolare come un modo per esprimere concetti scientifici difficili in forma ludica. Lo spettacolo è così subordinato alla scienza. Mi pare di vedere, invece, che il Teatro della Meraviglia non crei la separazione tra i due ambiti, sottesa al nesso mezzo-fine. Teatro e scienza sono come due facce di uno stesso processo poetico, ossia quello della riscoperta della bellezza di questo mondo e del bisogno di tutelarlo attraverso una buona prassi politica. In questo senso, se l’uno viene separato dall’altra, e viceversa, si rischia di rendere più povera l’efficacia di entrambi. La scienza ha bisogno del teatro per raggiungere il suo pieno potenziale etico, perché richiede che le sue conoscenze escano dal dominio di pochi sapienti e acquistino peso nella vita attiva, mentre il teatro ha bisogno della scienza per andare oltre il velo delle cose, ritrovando così la loro essenza meravigliosa e bella.

 

Il “teatro-scienza” può essere alla fine paragonato a una sorta di poesia politica, o di politica poetica. Esso sottolinea con forza la bellezza dell’universo e comanda di proteggerla dalla violenza di alcuni esseri umani, che esercitano la loro nefasta azione sulla terra e la imbruttiscono.

Questa concezione del rapporto tra “teatro” e “scienza” va considerata ipotetica. Infinite altre prospettive possono essere elaborate. Nessuna di loro potrà forse mai esaurire la complessità della “scienza” e gli abissi del “teatro”. I grandi concetti schiacciano gli individui e le loro pur intelligenti teorie. Di fronte alla scienza in sé e al teatro in sé, anche le prospettive dei geni umani appaiono essere un fiacco farfugliamento.

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