Un'inchiesta (parte I) / Tre domande sull'antifascismo oggi: Valerio, Cortellessa, Manera

21 Febbraio 2018

Per provare a interrogarci e confrontarci sull'antifascismo oggi abbiamo posto ad alcuni intellettuali e collaboratori queste tre domande, a cura dello storico Claudio Vercelli. Pubblichiamo oggi le prime tre risposte.

 

1.

Perché si dovrebbe continuare ad essere antifascisti se è vera l’affermazione, che si fa assunto di senso comune, per cui destra e sinistra sarebbero due distinzioni che non hanno più motivo di esistere? Se invece continua a sussistere una linea di differenziazione tra i due aggregati, quali ne sono le discriminanti in senso antifascista?

 

2.

Se l’antifascismo non si è esaurito, in cosa si deve allora sostanziare? Allo stesso tempo, se il fascismo non è mai del tutto scomparso, sotto quale natura e con quali aspetti si manifesta oggi?

 

3.

Prova a legare alla parola «fascismo», in successione, secondo una scala decrescente di pertinenza, questi cinque termini; ciò facendo ne deriverà quelli che per te sono i tratti salienti e prioritari in cui esso si sostanzia: A) razzismo; B) populismo; C) sovranismo;  D) identitarismo; E) [termine a tua scelta, da scegliere al di fuori dei quattro già indicati; es: nazionalismo]

 

Chiara Valerio

 

1.

Non voglio compiere l’errore di continuare a vedere il fascismo come la patologia di una visione politica di destra. Dunque, se anche la distinzione tra destra e sinistra non sussistesse più –  e io non lo credo – avrebbe comunque senso continuare a essere antifascisti. L’antifascismo, nella società della comunicazione, e in particolare nella nostra comunicazione politica, dovrebbe avere come spina dorsale il non schernire. Non schernire vuol dire non deridere, non beffare, non canzonare qualcuno con parole o atti sprezzanti, in modo da umiliarlo o mortificarlo, non ingannare qualcuno con le menzogne.

Non schernire vuol dire non abdicare alla dialettica, alla logica, al buon senso, al ragionamento, alla possibilità di un errore di valutazione utilizzando termini superlativi o identificando eroi e martiri che con la loro figura e vicenda umana coprano il quotidiano politico di tutti. Ecco io penso che tutte le forze politiche italiane abbiano avuto questa tentazione e addirittura utilizzato lo scherno come strumento politico. Non solo forze politiche storicamente di destra.

 

2.

Con la mancanza di comportamenti democratici. Senza comportamenti democratici non c’è democrazia. Ogni volta che estenuata dalla ricerca di un parcheggio sto per cedere a lasciare la macchina in un posto riservato ai portatori di handicap, ogni volta che cerco un modo di saltare una fila, ogni volta che mi trovo a pensare che in fondo sì esistono anche le scuole private, ogni volta che penso forse potrei fatturare anche solo la metà del compenso e il resto prenderlo al nero, ogni volta che mi trovo a pensare ma in fondo storicamente questo lavoro lo ha fatto un uomo, ecco, ogni volta – tutte le volte – cerco di ricordarmi che non devo cedere, perché i diritti che ho maturato come cittadina sono il rovescio di una moneta sulla cui altra faccia ci sono i doveri, o viceversa. L’antifascismo non è una fede, è un processo che ha a che vedere con la sussistenza della democrazia, e dunque con l’avere comportamenti democratici. Anche se nessuno ti guarda. Il fascismo ha bisogno di un controllo esterno, l’antifascismo è una postura interiore. O così mi è sempre parso.

 

3.

Se queste quattro parole, più una fetta di “altro”, formassero il diagramma a torta del fascismo, io leggerei 50% populismo, 20% identitarismo, 15% razzismo, 10% sovranismo, 5% altro.  La domanda evidenzia uno dei marcatori del fascismo, la semplificazione forzosa.

 

Andrea Cortellessa

 

1.

Non aderisco al (presunto) senso comune per cui «destra» e «sinistra» non esisterebbero più. Un buon sintomo che qualcuno sia di «destra», a mio modo di vedere, è per l’appunto che professi detta scemenza, anzi (etimologicamente) questa idiozia. «L’ideologia», ha detto Terry Eagleton, «è come l’alitosi: ad averla è sempre qualcun altro».

 

2.

Esistono diversi fascismi. (Anche il fascismo storico, sin dal nome-metafora che adottò, si sostanziava di diverse identità raccolte assieme.) Alcuni si annidano nelle vestigia di quello storico, formicolano nel suo corpaccio immondo, mai sepolto una volta per tutte (razzismo, anti-islamismo e anti-semitismo uniti nella lotta, omofobia, discriminazione delle minoranze, cripto- e meno cripto-violenza nei confronti delle donne, eccetera); altri sono di marca nuova, ma si possono leggere con efficacia nel solco delle esperienze di allora. Ogni fenomeno storico ha rapporti di continuità e di discontinuità con quanti lo precedono, e per capirlo bisogna intendere le une come le altre, mentre oggi conviene – sempre in nome del presunto superamento delle ideologie – ridicolizzare chi ne indichi, appunto, le continuità. A cosa servirebbe studiare la storia se non a esercitare il nostro (auspicabile) senno di poi? Ci ha insegnato Primo Levi, nell’applicare in prima persona il paradigma della «zona grigia» a campi assai distanti da quello a proposito del quale era stato elaborato, tanto le cautele che il coraggio intellettuale che è necessario adottare, operando questo tipo di comparazioni. Oggi per esempio sono ravvisabili elementi strutturalmente fascisti nelle dinamiche microsociali e nelle pratiche linguistiche, nonché nella struttura economica, di molti social network. Non è un caso che Facebook, anzi Faschbook come mi piace chiamarlo, si chiami così. Chi osservi la celebre allegoria posta al frontespizio del Leviatano di Thomas Hobbes (1651-58) vedrà che il corpo del Sovrano è composto dai corpi dei suoi innumerevoli sudditi. Anzi, se si ingrandisce a sufficienza l’immagine, ci si rende conto che a comporlo sono le loro facce. Il faccismo è il primo sintomo del populismo.

 

3.

Il fascismo di oggi, e probabilmente di sempre, è una matrioska. Dentro l’identitarismo c’è il sovranismo, dentro il sovranismo c’è il populismo, dentro il populismo c’è il razzismo. Dunque il primo nemico da combattere, perché da esso discendono gli altri, è l’identitarismo. Che alligna, a differenza degli altri -ismi, tanto a destra che a sinistra. Mi fa specie però che tanti oggi abbiano preso a indulgere, altresì, a retoriche populiste sedicenti “di sinistra” (più o meno consapevolmente mis-intendendo, per esempio, il pensiero di Ernesto Laclau). Un appeal irriducibilmente populista, nei decenni (non così tanti) che ci dividono dal fascismo storico, ha regolarmente connotato movimenti e regimi post-fascisti: tanto quelli dal DNA ascrivibile alla “destra” che quelli riconducibili a metastasi e suppurazioni della “sinistra”.

 

Enrico Manera

 

1.

Come è stato già detto in questi giorni, non credo che l'alternativa sia tra fascismo e antifascismo, ma tra democrazia e fascismo: il che implica che una democrazia debba essere antifascista o non è. Dal dibattito filosofico-politico (Popper-Rawls-Walzer) emerge che non si possono accettare nella sfera politica soggetti che costuiscano un pericolo per il pluralismo, la libertà e le differenze, come se la loro fosse un'opinione tra le altre. La loro presenza mette a rischio l'intero sistema democratico, perché ne nega le condizioni di possibilità. Non si tratta qui di intolleranza verso gli intolleranti, come vorrebbe un gioco sofistico, ma di intransigenza per la difesa di un sistema come quello democratico, fragile perché nega le semplificazioni e si regge sull'espunzione della violenza dallo spazio pubblico. Il fascismo, in altri termini, è un crimine, non un'opinione; il patto antifascista, che come è noto copriva un arco di sfumature politiche molto ampio e diversificato, è quello che su cui si è edificata la Resistenza e si è retta la rinascita dell'Italia nel dopoguerra.

Dalla frequentazione dei testi di Furio Jesi prendo un'altra differenza: la cultura di destra, di cui il fascismo rappresenta l'elemento moderno, di massa e mitodinamico, è caratterizzata discorsivamente da semplificazione, rigidità, fanatizzazione e kitsch. L’impostazione antropologica e linguistica di Jesi individua parole-simbolo, che indipendentemente dal loro contenuto o segno apparente, sono conservatrici e reazionarie de facto in quanto dotate di presa emozionale sull’individuo e capaci di motivare un'adesione al gruppo di tipo sacrale-nazionale-fascista; a queste si contrappone idealmente il linguaggio discorsivo, razionale, demistificante che caratterizza una politica emancipativa, cioè realmente di sinistra e quindi antifascista. Alla semplificazione della realtà operata dal linguaggio fascista – dogmatico, populista, stereotipizzante –, fatto di emotività, irrazionalità e immediatezza mitica si oppongono coscienza della complessità, distacco critico e continua messa in discussione di ciò che si presenta come vitalistico, naturale e senza alternative.

 

2.

Il neo-fascismo di oggi mi sembra essere una nebulosa politica che sta parassitando la debolezza e la crisi della democrazia per consolidare su base di massa il consenso verso la discriminazione in senso razzista, xenofobo, nazionalista, sovranista e identitario. Canalizza e dà corpo a pulsioni collettive violente di rifiuto della differenza, per lo più fantasmatiche (l'aggressività da social network) ma progressivamente sempre più reali e diffuse. Il suo aumento si deve a minoranze violente (e socialmente devianti, talvolta criminali) che, tollerate dalle istituzioni e con buone strategie comunicative, si muovono attorno a una piattaforma rivendicativa di welfare su un modello di destra sociale, declinata in chiave identitaria ed escludente, tecnicamente nazionalista e socialisteggiante (in alcuni casi proprio nazional-socialista). Sono state legittimate da più consistenti aree politiche destrorse, rappresentate in parlamento, che ne condividono gli obiettivi in chiave antieuropea e antimigrazioni, che – in modo contraddittorio – stanno in un quadro di destra liberista e/o neoliberalismo autoritario e conservatore e ne sposano alcuni temi (genere, sicurezza, famiglia), usandoli e amplificandoli di volta in volta in modo strumentale e propagandistico. Paradossalmente questo freak-show contemporaneo italiano che ha dato vita all'alleanza tra neoliberalismo, nazionalismo e autoritarismo, nonostante le differenze (la diffusione della violenza, la posizione di potere, la situazione geopolitica) da un punto di vista storico-politico ricorda la variegata composizione del fascismo storico. Nell'arco dei suoi vent'anni questo è stato un miscuglio: un composto di movimenti violenti ideologicamente orientati a nazionalismo, razzismo e superomismo; un compromesso tra interessi di ceti, classi e settori della società diversificati, che ha visto in gioco intellettuali compiacenti, militanti o cortigiani, interessi economici privati e istituzioni “rispettabili” (monarchia, esercito, chiesa...) ma anche corruzione sistematica e legami con il crimine.

Non credo che l'antifascismo sia esaurito; certo è trascurato, ignorato e svalutato da moderati e liberali, che hanno permesso o facilitato l'avanzare delle destre. Oggi credo consista in una serie di idee e di pratiche diffuse nella galassia esplosa della sinistra che trovano sui temi dell'antirazzismo, delle migrazioni e della più ampia questione dei diritti (genere, ambiente, beni comuni, lavoro, cultura) il terreno fondamentale su cui cercare un'appartenenza. C'è una sensibilità diffusa ma disorganizzata, desiderosa di neutralizzare il nuovo fascismo nello spazio pubblico e di renderlo inaccettabile: il mondo della scuola, del lavoro, della cultura, hanno risorse per la sua marginalizzazione politica e culturale, lo smascheramento delle sue idee-forza (come le convinzioni sui migranti o sui “complotti della finanza internazionale”), a partire da quelle “tossiche” di razza e identità. Poi c'è la difficile pars construens: se la sinistra vuole essere ancora tale deve poter proporre soluzioni politiche ai bisogni delle classi impoverite, con un nuovo welfare e con una cultura illuminista, cosmopolita e di solidarietà sociale. Si tratta di immaginare, prevedere e sostenere forme di partecipazione e impegno politico, o, più semplicemente, di interesse per la vita in comune nel segno dell'eguaglianza sostanziale.

 

3.

Identitarismo, razzismo, tradizionalismo, populismo, sovranismo.

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