Gabriele Basilico, Marina Ballo Charmet: milanopiazzaduomo

3 Dicembre 2015

Ha ragione Marco Belpoliti nel suo testo in catalogo, le fotografie di Gabriele Basilico per milanopiazzaduomo, la mostra in corso al Museo del Novecento di Milano, coniugano il vuoto sotto e l’infinito in cui sfuma l’orizzonte della città; tra il punto cieco, come anche lo chiama, e il desiderio di vedere tutto; tra la verticalità, forse l’abisso, il buco, e l’orizzontalità, la distanza, forse l’aura; tra la caduta e l’elevazione. Basilico le ha scattate per la maggior parte dalle guglie del Duomo, ma a guardarle una di seguito all’altra – e in ragione del loro taglio spesso obliquo – sembra quasi la sequenza di un volo, leggero, forse un sogno.

 

In realtà, oltre a vuoti e orizzonti, è anche evidente il ruolo dei passaggi, delle aperture – le strade laterali ai fianchi del Duomo che portano a Piazza Fontana o in San Babila, quella dell’Arengario che porta in Piazza Diaz, l’arco della Galleria Vittorio Emanuele… –, vie di scorrimento, forse di apparizione, da dove cioè ci aspettiamo che entri qualcosa, o forse di fuga, dalla piazza verso la città, o forse ancora di direzione in cui lo sguardo vorrebbe infilarsi per vedere ciò che non si può da quel punto, sviluppo virtuale, come nella macchina fotografica di Blade Runner che permette di vedere anche dietro e tutto all’interno della realtà fotografata.

 

Marina Ballo Charmet invece ha fotografato e ripreso in video dal basso, con conseguente presenza costante della pavimentazione della piazza in primo piano e perlopiù per oltre la metà, quando non il 70-80 %, dell’intera immagine. Tutto questo spazio è vuoto, ma di un altro vuoto che quello di Basilico. È il vuoto dello sguardo “con la coda dell’occhio” – dal titolo della serie forse più famosa di Marina Ballo – o “laterale”, come lo definisce Belpoliti mettendolo in dialettica con quello “centrale” di Basilico. È un paradosso, qui doppiamente efficace, perché ci mostra ciò che solitamente non guardiamo, il marginale, non nelle periferie delle città o dei corpi o della società – temi delle altre serie fotografiche dell’artista – ma proprio nel centro, nella piazza centrale. È lo sguardo fluttuante, “subconscio”, che ci ha insegnato la psicanalisi, l’attenzione ai bordi di qualsiasi luogo o evento, o discorso. È uno sguardo “riparatore”, dice ancora l’artista, nel senso che lega ciò che sarebbe separato, l’interno con l’esterno, la realtà con l’io, la distanza con la presenza, il pieno con il vuoto, il centro con il margine, appunto, “uno sguardo che contiene il caso, che è ancora privo di codice”, lo sguardo fotografico in effetti.

 

I video da questo punto di vista sono ancora più espliciti. In uno, intitolato Square, Ballo si è legata la videocamera alla cintola e ha ripreso il suo percorso a piedi di letterale inquadratura-squadratura della piazza. Nell’altro, L’alba, ha ripreso a camera fissa l’avvento dell’alba, cioè della luce, nella piazza notturna e umida. La luce, semplice e minimale, eppure rivelatrice e metafisica. La vediamo quando arriva, da fuori verso l’interno dell’immagine, da dietro, intorno; ora è proprio lei che vediamo, non più ciò che illumina; diventa qualcosa di palpabile – giustamente Belpoliti sottolinea il carattere aptico dello sguardo di Ballo –, che dà corpo allo spazio e al tempo, una sostanza sottile, vibratile, qual è quella dell’immagine stessa.

 

Ora la vediamo anche in Basilico, la vediamo entrare da Piazza Diaz, radente, o tentare di infilarsi nell’arco della Galleria Vittorio Emanuele, o illuminare bianchissime due persone sul fianco del Duomo che entrano, portatrici di luce, nella piazza.

 

D’altro canto di Ballo ora vediamo la tensione verso l’infinito, per lei non sulla linea dell’orizzonte, come in Basilico, ma su quella che separa, e unisce, come una zip – il confine, tema delle primissime serie di Ballo –, la pavimentazione dagli edifici, il vuoto dal pieno, lì dove perlopiù, nelle sue immagini, si situa l’agitarsi della vita degli uomini.

Forse è pensando a questo progetto nato insieme nel 2010, mai esposto fino ad oggi evidentemente a causa della scomparsa improvvisa di Basilico strada facendo, che quest’ultimo ha voluto anche le persone in queste sue fotografie, mentre la loro assenza era diventato uno dei suoi caratteri peculiari. Sono loro che egli guarda qui con curiosità dall’alto, così come Ballo le guarda da tempo dal basso, per cercare di capirle, come tutti noi.

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