Dalla morte della signorina nessuno si è più occupato di questa casa

4 Marzo 2015

Dalla morte della signorina nessuno si è più occupato di questa casa, nessuno tra i suoi parenti – gli stessi che ora stanno freneticamente cercando di vendere tutto ciò che la casa contiene – ha pensato di venire a dare un’occhiata, di far prendere aria alle stanze, di mettere in moto l’automobile parcheggiata nel cortiletto davanti alla porta d’ingresso. Per anni hanno lasciato che la casa implodesse in se stessa, che si afflosciasse, autofagica, abbandonata, dispettosa. Il risultato, nel momento in cui noi entriamo per la prima volta, è un rudere vuoto, divorato dalla muffa e da ragnatele enormi e senza ragni. Nelle stanze superiori i mobili, venduti per primi subito dopo il consenso del notaio, hanno lasciato le loro sagome alle pareti. A una prima occhiata ricordano le Delocazioni di Claudio Parmiggiani, quegli interventi ambientali in cui l’artista rimuove i mobili e gli oggetti presenti in una stanza lasciando sui muri la traccia del posto che occupavano. Qui, però, non c’è nessuna intenzione artistica, e quello che toglie il fiato non è una qualità estetica in queste stanze ma una desolante tristezza e un senso di indifferenza molto prossimo al disprezzo.

 

La trattativa con l’erede più anziano si è prolungata oltre ogni soglia di pazienza e, quando ci incontriamo di persona per esaminare più attentamente la biblioteca, la realtà non migliora il fastidio avuto nelle telefonate. Loro vogliono monetizzare, velocemente. Hanno bisogno di liberarsi di tutto per poter poi vendere la casa e dimenticare la signorina. Non ci viene chiarito il rapporto di parentela che lega queste persone, ma risulta abbastanza chiaro che la donna di cui stiamo comprando la biblioteca non avesse un buon rapporto con il resto dei suoi familiari. Che quasi li ignorasse, o si ignorassero a vicenda.

 

La biblioteca è un cubo di tre metri per lato e i libri si alzano in doppia fila dal pavimento al soffitto. È una bellissima biblioteca, con titoli scelti e belle edizioni comprate quando era ora di farlo. Uno scaffale è quasi interamente dedicato a testi teatrali di ogni epoca e paese. Poi moltissima filosofia e altrettanta letteratura, soprattutto di lingua tedesca. Raffaella mi guarda come si fa con il nipotino al parco giochi: mi arrampico sulla scala spostando file intere di volumi, rovisto tra le nicchie più alte e ci infilo la testa dentro, in mezzo alle nuvole di polvere nera – ma è un’euforia che dura poco. In macchina stiamo in silenzio. Poi parliamo dell’accordo economico che lei ha preso con l’erede mentre io saltavo come un grillo da uno scaffale all’altro. Sette giorni e andiamo a prendere tutto.

 

In realtà passano più di due settimane prima di ricevere notizie. Nel frattempo gli eredi si sono informati da altri librai, cercando di strappare il più possibile. Voi non vi siete arresi, però, a differenza degli altri, ci dice l’erede anziano aprendo il cancello così da poter far entrare il nostro furgone. Non ci arrendiamo mai, gli dico io con un sorriso. Vuole i soldi subito poi, dice, ci lascia lavorare perché deve andare a fare commissioni o dio sa cosa. Chiudete la porta quando avete finito, dice.

 

Lavoriamo alla luce del sole della mattina, velocemente. Con noi abbiamo portato Leo, un ragazzo molto giovane, intelligente e coltissimo. Lui è muscoloso e dividiamo i compiti. Alla fine della mattinata abbiamo diciotto scatoloni e altre cinque pile di libri d’arte e d’architettura, ma il furgone sembra non accorgersene. Regaliamo a Leo la prima edizione italiana di Essere e tempo di Heidegger, che ho preso a male parole per tutta la durata del prelievo.

 

La signorina andava spesso a teatro, così ci racconta una persona che la conosceva bene, e la sua passione andava dal teatro greco al Living Theater. Tutto ciò che accadeva su una scena era per lei fonte di grande gioia e piacere. In una delle ultime scatole, sul fondo, abbiamo trovato una foto. È uno scatto di scena, molto bello, con autografo e dedica alla signorina da parte di Romolo Valli, patrono della città di Reggio Emilia.

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