Retrofuturi / Un’enciclopedia lirica

14 Aprile 2011

Se internet è forse oggi la migliore approssimazione dell’idea di immaginario collettivo, una specie di specchio memorioso in grado di riflettere e trattenere ogni immagine, il Dr. Chris Mullen è il suo infaticabile Archivista. The Visual Telling of Stories, l'immenso sito web creato da Mullen nel 1996, agli albori di internet, e da allora costantemente accresciuto, è il sogno della vita di qualsiasi iconofilo: uno sterminato insieme di pagine scansionate da giornali illustrati, magazine, rotocalchi, album, stampe, opuscoli, calendari, affiche, prodotti lungo l'arco di due secoli, dalle ottocentesche images d’Épinal alle scenette familiari alla Norman Rockwell, dai reportage su guerre, incidenti stradali, avvenimenti sportivi e catastrofi naturali alle pubblicità di panciuti elettrodomestici degli anni cinquanta, dalle illustrazioni vittoriane alle fotografie documentarie della Grande Depressione. È davvero un labirinto "più grande di quanto si possa immaginare", come mette in guardia la pagina iniziale, pensato dal suo autore, un ex docente universitario inglese, per fornire "una tassonomia orientata visivamente dei modi con cui le immagini sono usate per raccontare storie”.

 

 

Ma se l'obiettivo dichiarato di The Visual Telling of Stories è la creazione di un vertiginoso lemmario visivo, in cui tutti i segni (dal colore della carta al lettering, dalla tecnica di stampa allo stile delle fotografie e dei testi) si rivelano ugualmente importanti, in questa sterminata raccolta c'è tuttavia qualcosa di compulsivo, di maniacale, la traccia di una personalità bramosa, insaziabile, che ricorda quella dei raccoglitori di cartoline illustrate, personaggi rigorosamente solitari che nei mercatini percorrono con mani febbrili, lo sguardo fisso, l'espressione indecifrabile, le scatole poggiate sui banchi, alla ricerca di pezzi rari che andranno poi a formare, si immagina, immense raccolte gelosamente conservate. Internet ha dato una nuova dimensione al loro spasmodico collezionare, offrendo a questa singolare genia una nuova ribalta, sterminata e ricchissima ben oltre le loro più sfrenate immaginazioni. Salvare il mondo (e se stessi) raccogliendo frammenti è del resto l'essenza del collezionare, il cui fine, come ha scritto famosamente Walter Benjamin nei Passages di Parigi, è “togliere alle cose, mediante il possesso di esse, il loro carattere di merce” conferendo loro “un valore d’amatore invece del valore d’uso” grazie all’incantesimo che inscrive “il singolo oggetto in un cerchio magico in cui esso s’irrigidisce, nell’atto stesso in cui un ultimo brivido (il brivido dell’essere acquistato) lo attraversa. Tutto quanto fu oggetto di memoria, pensiero, coscienza, diviene piedistallo, cornice, basamento, scrigno del suo possedimento”.

 

 

Si potrebbe dunque dire che collezionare immagini sia al tempo di internet la forma più rarefatta, più pura di collezionismo: non oggetti, e neppure fotografie in effetti, non opere d'arte o manufatti rari o preziosi, ma immagini smaterializzate, puri documenti digitali che acquistano senso e valore nella loro relazione reciproca, nella loro stratificazione, in cui prende forma “a lyrical encyclopedia of visual propositions”, come Mullen definisce la sua impresa. Sottratta a ogni ratio, a ogni uso strumentale, a ogni economicità, questa labirintica enciclopedia diventa a sua volta una perfetta metafora della nostra contemporaneità, un luogo saturo di segni che hanno perso il loro referente, in cui ogni immagine è la muta allegoria di infinite altre e ogni legame apre un’ulteriore concatenazione, un oceano in cui l'unica rotta possibile non può che essere un’interminabile derive sotto la spinta della forza caotica del desiderio. Paradossalmente, questo sogno di un universo puramente visivo, del trionfo del potere proliferante delle immagini, nasconde però al suo interno la nostalgia bruciante e inconfessata di un testo, di un ordine verbale superiore alla mera didascalia: la necessità insomma di organizzare, dare senso e, soprattutto, interpretare. Celebrando il suo trionfo, l'epoca della visualità infinita rivela anche il suo profondo impasse, e l’immagine la sua incompiutezza, la sua seduttiva fragilità: essa si rivela parte di quel gioco interminabile di proiezioni, pervertimenti, attese, rimozioni, al cui centro si profila la costruzione enigmatica e urgente della nostra identità collettiva.

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