Il perché di Lucrezia De Domizio Durini

19 Settembre 2013

“Scrivo da Parigi, dove da pochi giorni mi sono installata in un’abitazione serena, lontana da un’Italia, questa Italia, che non amo più.”

 

È questo il durissimo incipit di Perché. Le sfide di una donna oltre l’arte, il libro appena dato alle stampe da Lucrezia De Domizio Durini, instancabile operatrice culturale e figura di riferimento per l’arte contemporanea, in Italia e all’estero.
La immagino al lavoro, risoluta a dare forma narrativa alla propria vita, a rintracciare e ordinare tutti quegli elementi che ne hanno fatto una storia degna di essere raccontata, una biografia. A tentare, attraverso l’atto della scrittura, di rispondere a una domanda impervia e cruciale: “Cosa hai fatto della tua vita?”.

 

 

 

Il suo tempo, che è anche il nostro tempo, De Domizio Durini l’ha attraversato e continua a percorrerlo da protagonista. Collaboratrice negli anni Settanta degli artisti dell’Arte povera e del Concettuale italiano, di cui colleziona e in vari casi rende possibile l’opera, più tardi sceglie di affiancare Joseph Beuys e di dedicarsi alla diffusione del suo pensiero e dei suoi saperi. Del ‘maestro’ tedesco condivide la filosofia, la convinzione che chi opera in campo artistico debba essere un ‘dissidente’: indisponibile al compromesso, indocile alle imposizioni del mercato, libero interprete della propria responsabilità sociale.

 

 

 

Schietta, amara, eppure mai polemica, raccontando di sé LDD racconta l’Italia degli ultimi quarant’anni, la sempre più irrilevante presenza della nostra cultura nel mondo contemporaneo. Svilito da una gestione miserabile della cosa pubblica e soffocato da una politica culturale gretta e provinciale, il paese che affiora a poco a poco dalle pagine di questo implacabile libro testimoniale crea una sorta di stupefatto imbarazzo, di incredulità.

 

L’autrice dichiara più volte che l’ha scritto per i giovani, per chi non è stato protagonista attivo e neppure spettatore passivo – e dunque non innocente – del crescente degrado che ha investito l’Italia. Il suo ‘perché’, le sue ‘sfide di donna’, prendono pertanto la forma di un j’accuse gelido e infuocato, ma anche di un testamento accorato, di una lunga lettera a futura memoria per documentare una stagione dell’arte e della cultura italiane in cui il nostro paese non era ancora stato messo ai margini da un ceto politico e amministrativo inetto e rapace.

 

Perché le nuove generazioni devono sapere che “in questa società del consumo la responsabilità si è deteriorata, ha preso il senso dell’autorità, del possesso” e lo sfruttamento ha soppiantato il rispetto, mentre calcolo narcisistico e interesse personale hanno imbrigliato l’amore e la capacità di lavorare insieme.

 

LDD non teorizza e non pontifica; racconta episodi specifici. La sua è una cronistoria meticolosa e il suo libro un vero e proprio archivio di nomi, date, luoghi, occasioni, ruoli e responsabilità, un diagramma ad alta definizione dell’attuale sistema dell’arte. Artisti, critici d’arte, direttori di musei e biennali, editori, galleristi e collezionisti, politici e amministratori, sono chiamati a rispondere di sé e del proprio operato. L’autrice fa i loro nomi senza omissioni, riconoscendo i meriti degli uni e i demeriti degli altri, registrando le mutazioni avvenute nel corso della loro vita professionale.

 

Non vuole e non ha bisogno di ingraziarsi nessuno, né ha paura di inimicarsi qualcuno. Sta altrove e da lì ci ricorda, ferma e tenace, che l’arte è il luogo dell’utopia e che l’utopia è indispensabile agli esseri umani, perché una società che ne è priva “non è una società vivibile”.
“A noi dell’arte”, scrive alla fine del volume, “il destino ha assegnato il compito di essere solerti giardinieri”, ma anche “vigili guardiacaccia”. Una metafora che fa pensare alle profetiche opere beuysiane, rammentandoci che l’arte è innanzitutto il luogo dove si coltiva l’immagine di un mondo diverso da quello che conosciamo.
 

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