La società della trasparenza

3 Settembre 2014

High Person è il protagonista di un breve, ma fulminante, romanzo di Vladimir Nabokov. S’intitola Cose trasparenti (Adelphi). Qui lo scrittore russo-americano mette alla berlina con la sua corrosiva arte narrativa la pretesa tutta moderna di rappresentare in modo perfettamente trasparente i moti interiori dell’animo umano, di vedere con nettezza dall’esterno l’intimità stessa delle persone, e non solo degli altri, ma anche di se stessi.

 

Ora la trasparenza è diventato uno dei miti del contemporaneo, come spiega Byung-Chul Han in La società della trasparenza (Nottetempo), filosofo d’origine coreana, che insegna in Germania, a Berlino. Il libro inizia con la citazione di un altro scrittore, l’austriaco Peter Handke, che vive seminascosto in Francia: “Io vivo di ciò che gli altri ignorano di me”, mentore di alcuni dei suoi recenti libri. Perché la trasparenza, virtù così a lungo evocata, dall’epoca in cui era una delle parole chiave del riformatore Gorbaciov (“glasnost” si diceva, e sembra un secolo fa), per poi trasformarsi nella parola d’ordine della Rete, è agli occhi del filosofo coreano un grave problema? Perché presuppone l’esposizione di sé, perché alimenta quella che è la vera pornografia della società dell’informazione, perché abolisce lo spazio del segreto, perché rende obsoleta la politica, perché distrugge il desiderio a favore del piacere, perché mette fuori gioco rituali e cerimonie.

 

Il ragionamento di Byung-Chul Ha si fonda su una tesi elaborata nel lontano 1906 da Georg Simmel, il fondatore della moderna sociologia in un saggio Il segreto e la società segreta, compreso nella sua monumentale Sociologia (Utet). Simmel spiegava che i rapporti umani si fondano sulla conoscenza gli uni degli altri; per cui sapere cosa pensano gli altri di se stessi, e anche di noi, diventa fondamentale. E, insieme a questo, è importante mantenere in una certa misura la segretezza su di sé.

 

La menzogna, scrive Simmel, sarebbe solo una forma molto rozza, e per di più contraddittoria, della necessità di segreto fondamentale nelle società moderne. In altre parole, per il sociologo tedesco il segreto è indispensabile per gli individui e per la società in generale, poiché mediante questo “si ottiene un infinito ampliamento della vita, perché molti dei suoi contenuti non possono affiorare neppure nel caso in cui tutto venga reso pubblico”.

 

Non che Simmel non vedesse il problema che il segreto suscita in quella che è la gestione del potere e della ricchezza. Se da un lato lodava il segreto come strumento per mantenere una buona relazione con gli altri, dall’altro sottolineava come il denaro facesse aumentare la segretezza in senso negativo. L’esempio era perfetto per quei tempi: gli assegni, un modo attraverso cui un uomo diventa ricchissimo solo facendogli scivolare in mano un pezzo di carta.

 

Ovviamente le cose da allora sono andate molto avanti, e l’informatica ha reso la ricchezza sempre più armata di segreto, in grado di influenzare la vita di tutti agendo a grande distanza, lontano dagli sguardi delle persone. La ricchezza finanziaria, virtuale, è diventato un problema per l’intera società, là dove i rapporti collettivi non sono più trasparenti ed evidenti.

 

 

Byung-Chul Ha sostiene però nel suo libro che le cose stanno diversamente. Il filosofo si occupa della relazione sociale e del cambiamento di paradigma avvenuto a livello delle società occidentali. In primo luogo la trasparenza abolisce ogni forma di negatività, come la sofferenza o la passione, oggetto del precedente libro di Byung-Chul Ha, Eros in agonia (Nottetempo), o come la stanchezza e la depressione, da lui trattate in La società della stanchezza (Nottetempo), su cui si veda qui la bella recensione di Riccardo Panattoni.

 

L’amore appare addomesticato, trasformato in prodotto di consumo e di confort: “Si può esser innamorati, senza innamorarsi!, dicono i nuovi guru della società della trasparenza, come il sito francese per single Meetic, citato dal filosofo coreano. Il pudore, alla pari della vergogna, viene espunto (tema su cui mi permetto di segnalare il mio Senza vergogna, Guanda). Tutto è standardizzato e accelerato, dal momento che la società della trasparenza non tollera lacune né nell’informazione né nella visione.

 

Anche la politica ne è coinvolta. Byung-Chul Ha cita il partito tedesco Pirata, come esempio di questa trasformazione. Ma fatte le dovute differenze – la situazione tedesca è assai diversa da quella italiana – la sua tesi può valere anche per il Movimento 5 Stelle: siamo nel regno della post-politica dove la trasparenza non ha colore o ideologia, solo opinioni che non comportano di per sé conseguenze. La “società dell’opinione” che si va istituendo con il Web, al di là del successo o dell’insuccesso di 5 Stelle, è quella flessibile della “liquid democracy”: “la politica cede il passo alla amministrazione dei bisogni sociali, che lascia immutata la cornice dei rapporti socio-economici esistenti e in essi si ferma”.

 

Qui sta il punto: la cornice generale del sistema non è più messa in discussione da nessuno. Trasparenza, positività e comunicazione: questa la triade fondamentale secondo Byung-Chul Ha. È la dittatura del “like”, incoraggiato o più spesso esplicitamente richiesto da siti e venditori di vario tipo, da aziende e singoli individui nelle loro pagine Facebook, dato che i giudizi negativi bloccano la fluidità e limitano lo scorrimento comunicativo essenziale nella “società liquida” alla Bauman.

 

Riprendendo un’acuta osservazione di Roland Barthes in La camera chiara (Einaudi), libro che andrebbe riletto al di là delle sue tesi sulla fotografia, il filosofo coreano sostiene che l’attuale attivismo della rete si confà più al genere del piacere (to like) che non dell’amare (to love). Il centro del ragionamento di Byung-Chul Ha riguarda però la pornografia, che è il destino cui ci consegnerebbe l’attuale società dell’esposizione. La prima esposizione è ovviamente quella del corpo, diventato da tempo la base di ogni possibile sfruttamento. Non è solo il trionfo della pornografia nel web – l’epoca di YouPorn –, che del resto ha modellato in profondità un’intera generazione, quella che ha oggi tra i trenta e quarant’anni, su cui non si è ancora riflettuto in modo approfondito, ma l’estensione a ogni livello del dominio dell’esposizione medesima: dal corpo alle fantasie, dai pensieri alle parole. Anzi, tra le quattro “cose” non c’è più nessuna differenza sul piano della performatività.

 

 

I social network, su cui in verità Byung-Chul Ha si sofferma poco, mentre l’argomento meriterebbe un ulteriore approfondimento, presuppongono questa continua esteriorità, la necessità di farsi vedere. Il selfie, ad esempio, diventato dominante, contiene, almeno in parte, un aspetto espositivo di sé molto marcato. La questione più profonda, e problematica, è quella che riguarda il desiderio, che lascia il passo al piacere immediato, il quale non permette nessuna deviazione immaginativa e narrativa, ed è profondamente pornografico. L’erotismo, ci ricorda il filosofo, si alimenta di nascondimento, di segreto; non predilige la nudità, bensì il velo, il nascondimento e non la trasparenza assoluta.

 

La posizione erotica s’istituisce là dove l’abito si socchiude, dove la pelle “luccica” fra due “bordi”, scrive Byung-Chul Ha, per esempio tra il guanto e la manica (quanta letteratura si fonda su questi due “oggetti”, quanta perversione visiva se ne è avvantaggiata?). La caduta del desiderio è uno dei temi che oggi gli psicoanalisti trattano con più frequenza nelle loro sedute, come nei loro libri. L’altro grande tema, che sottolinea questo libro, è quello della “tirannia dell’intimità”, riprendendo una tesi di Richard Sennet esposta in Il declino dell’uomo pubblico (Bruno Mondadori), il suo libro senza dubbio più importante sul piano della comprensione della società attuale.

 

Internet favorisce lo spazio della prossimità, della vicinanza, eliminando l’elemento del segreto. Intendiamoci, si tratta di un’intimità costruita, creata per generare quella vicinanza reciproca richiesta dai social (anche su questo sarebbe necessario un approfondimento), che contiene parti sostanziali della personalità degli individui (l’intimità di secondo genere), o quanto meno agisce sulla personalità dei singoli trasformandola in modo da aderire a quella “prossimità digitale” fondamentale per la relazione in Rete (distinguere tra prossimità fisica e prossimità digitale necessiterebbe forse una nuova idea di prossemica).

 

“Sono come tu mi vuoi”, era il ritornello di una famosa canzone del gruppo punk filosovietico CCCP negli anni Ottanta. Ora proprio questo come-tu-mi-vuoi diventa, quasi senza accorgersene, l’orizzonte del proprio Sé. L’intimità così prodotta distrugge ogni distanza, che è, con la diversità e l’asimmetria, la condizione fondamentale per la vera relazione con gli altri. Il finale pessimistico di La società della trasparenza riguarda la ricaduta di tutto questo sull’intera società, di cui l’osservazione reciproca è ora il vero fondamento (ma anche su questo, sul gossip quotidiano, ci sarebbe da ragionare, riprendendo l’idea delle tracce di Carlo Ginzburg del suo Spie degli anni Ottanta, a cui Italo Calvino in una recensione aveva proposto alcune stimolanti obiezioni e riflessioni sempre sul tema del segreto).

 

Grazie al web noi consumatori ci consegniamo volontariamente all’osservazione panottica, che regola e soddisfa i nostri bisogni. Gli algoritmi di Google sanno cosa bramiamo, e ci propongono di momento in momento la possibilità di soddisfare i nostri desiderata più segreti. Non tutti, per ora, ma molti. La sorveglianza non si realizza, dice l’autore, come un attacco alla libertà, ma attraverso la nostra volontaria consegna alla libertà medesima, al regno incontrovertibile della trasparenza.

 

Una versione più breve dell’articolo è comparsa su “L’Espresso”

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