Felci

25 Settembre 2016

Mi ha deluso la decisione della Nuova Zelanda di non cambiare la bandiera nazionale con la Silver Fern, la foglia di felce argentata su fondo nero. La esibiscono sulle maglie i campioni del pallone ovale – gli All Blacks di cui vado pazza – l’abbiamo vista ai giochi olimpici sfrecciare, elegantissima, sulle schiene dei ciclisti in pista: con la foglia d’acero canadese, è il simbolo vegetale più iconico che il mondo conosca, ma no, sulla bandiera non ce l’hanno messa. 

 

 

In attesa del viaggio transoceanico per ammirare le foreste di alberi felce, si può vivere l’impagabile sensazione d’incedere (all’aperto, e non in una serra) sotto una cupola verde di trine preistoriche di Dicksonia fibrosa all’orto botanico di Napoli o ai giardini della Mortella di Ischia. Ma inoltrarsi nel folto numero delle specie felcine è impresa rischiosa che lasciamo agli appassionati pteridologi, sempre alla scoperta di nuove piante da catalogare. Io mi accontento della fascia del giardino più selvaggia, prosperosa di autoctone Dryopteris filix-mas dal rizoma cespitoso, tra le felci più comuni nei nostri boschi. Ogni primavera anch’esse, come le giganti parenti neozeladesi, srotolano le spirali delle giovani foglie: un miracolo d’ingegneria naturale che fa schiattar d’invidia gl’inventori delle più sofisticate tecniche robotiche.

 

 

Per avere un po’ di colore e variare la gamma dei verdi le ho accompagnate all’acanto e all’iris giapponese, all’aconito e al Thalictrum delavayi. Certo, Oliver Sacks non avrebbe approvato. Amava le felci in purezza, trovava i fiori «troppo espliciti e retorici, a volte eccessivi». Ci ha lasciato giusto un anno fa, e lo vogliamo ricordare nella veste di curioso frequentatore dell’American Fern Society. Nel suo diario messicano così godibile, informato e divagante ci racconta i dieci giorni trascorsi nello stato di Oaxaca al seguito di studiosi e dilettanti pteridologi a caccia delle piante più antiche della terra. In questa pagina con la sua scrittura piana ci informa di come le felci siano piante di seconda generazione:

 

 

Per molto tempo dopo la scoperta della sessualità delle piante da fiore, la riproduzione delle felci rimase un mistero. Si riteneva che le felci avessero i semi (in che modo potevano riprodursi?) ma siccome nessuno era mai riuscito a vederli, le piante assunsero uno statuto fuori dal comune, quasi magico. Invisibili quali erano si credeva che rendessero invisibili anche gli altri: «Abbiamo trovato dei semi di felci, siamo invisibili» dice uno degli sceriffi di Falstaff nell’Enrico IV. Lo stesso Linneo nel diciottesimo secolo, non sapeva come si riproducessero le felci e coniò il termine crittogamo per sottolineare la segretezza, il mistero della loro riproduzione. Solo verso la metà del diciannovesimo secolo fu scoperto che oltre alle solite felci dalle fronde ricche di spore, le sporofite, esisteva anche una minuscola pianta a forma di cuore che passava facilmente inosservata, il gamenofito, che presentava gli organi sessuali veri e propri.

 

 

Ciò crea un’alternanza generazionale nelle felci: le spore presenti nelle fronde, quando trovano un habitat sufficientemente umido e ombreggiato, si sviluppano in piccoli gametofiti che, una volta fecondati, danno origine al nuovo sporofito, cioè pianticella sporigena.

 Tutto il fascino delle felci – la loro enorme varietà di forme, che spazia dagli alberi torreggianti alle felci esili e sottili, dalle fronde merlettate, delicatamente divise, alle foglie spesse, indivise delle lingue di cervo e del sommacco – si ritrova nella forma sporofita. E i sori stessi assumono una molteplicità di forme: a chiocciola in alcune specie, a massa cremosa in altre, e a linee parallele, magnifiche, perfette nel sommacco e in altre ancora. Parte del piacere di andare per felci sta nel rivoltare le fronde fertili e trovare questi sporangi.

 

Diario di Oaxaca, Adelphi 2002.

 

 

Non è solo per un gusto retrò d’epoca vittoriana, quando ebbero il loro momento di gloria, che le felci meritano di essere valorizzate in vaso o in giardino. Il pregio maggiore, come ricorda Sacks, sta nella loro straordinaria varietà, verificabile persino nel vivaio dietro casa dove è facile reperire il Platycerium, l’epifita dalle membrane prima tenere e verdi poi secche e marroni da cui dipartono glauche foglie cornute: dà il meglio di sé in un paniere sospeso; il leggero, piumoso capelvenere (Adiantum capillus veneris) dagli esili steli neri; l’asiatica Nephrolepsis dalle lunghe fronde imparipennate; la Phyllithis scolopendrium dal fogliame ondulato.

 

 

Ma le mie preferenze vanno a due appariscenti felci diffuse sul territorio nazionale: la felce florida (Osmunda regalis), bellissima anche d’autunno con le pinne fittissime di sori, e l’alta felce aquilina (Pteridium aquilinum) dai riccioli birichini che, in un batter d’occhio, si dispiegano in un’unica foglia tripartita fitta di pinnule triangolari. E, se volete stupire, procuratevi una Selaginella lepidophylla, la felce della resurrezione: lascio alla vostra curiosità scoprirne l’efficiente strategia fisiologica. 

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