Scrittori cinesi, temi sensibili e incongruenze

3 Ottobre 2012

Sarà difficile, giorno dopo giorno, riuscire a dare una definizione del problema della censura, non in via teorica, ma nella pratica. Perché come è ovvio c’è una zona grigia, dove non è chiaro quel che è permesso dire o non dire, discutere o non discutere. E diventa quasi impossibile dare conto dei comportamenti: perché Han Han, annunciato in uscita per Simon and Shuster in America il 6 ottobre, ha rinunciato al tour promozionale, che immaginiamo preparato nei dettagli? C’erano tutte le premesse per fare un bel po’ di rumore attorno a questo dissidente che si autodefinisce come conciliante (nel volume in uscita negli USA spiccano i suoi ‘tre saggi’ su rivoluzione, democrazia e libertà che si possono riassumere con una frase, lanciata alle alte sfere: voi lasciatemi scrivere tutto quel che voglio sul blog, lasciatemi la libertà di espressione, e io non chiederò la democrazia – tema sensibile).

 

Han Han denuncia con regolarità sul suo blog la repressione delle rivolte di massa in Cina (alcuni giorni fa un giornalista italiano mi ha detto che se ne calcolano circa 15000 all’anno – l’ultima eclatante alla Foxconn, che fabbrica gli Iphone, 2000 operai coinvolti, 5000 agenti, un morto, forse molti di più) anche se per la maggior parte sono di piccola entità certo, ma è significativo: scioperi, assedi alle prefetture o alle sedi decentrate del partito, e sempre per motivazioni contingenti: salari, condizioni di lavoro, corruzione dei dirigenti, soprusi, e più recentemente licenziamenti di una certa entità. Davanti a queste rivolte concilia spesso anche il Partito, disposto a far cadere teste, a cedere su temi specifici, attento che questi sommovimenti – da noi si usava il termine ‘jacquerie’ (e ciò che accade in Cina ha molto di ottocentesco, di movimento operaio americano prima maniera, senza una organizzazione politica alle spalle, ma con una crescente sensazione di solidarietà diffusa tra i ribelli di ogni tipo) –, non mettano mai in discussione il sistema in quanto tale, che gli scossoni non arrivino fino ai vertici dove invece le battaglie per il potere si combattono con altre modalità, con armi sofisticate, al riparo da ogni possibile pubblica opinione.

 

Insomma, quando incontro brevemente Lu Jimbo, proprietario e editor in chief di Wangrongbooks, la casa che ha pubblicato tutti i romanzi di Han Han, non posso che chiedere: “Come è andata? Perché la rinuncia al tour, al lancio in grande stile?”

 

Lu Jimbo, che mi ha imperiosamente guidato a un tavolino isolato nella lounge del mio hotel, mi dà le solite risposte oblique: “Han Han non era interessato alla pubblicità. A lui non interessa la notorietà. E poi ha paura di volare” – lo sappiamo, quante volte ce lo ha ripetuto. Ma la motivazione fondamentale della mancata partenza è tanto irritante quanto criptica: sta aprendo una nuova rivista, di cui è editore, dedicata alle automobili, alle corse di Formula 1, ai rally: lui, come ha sempre dichiarato, si sente prima di tutto un rallysta (dice Jimbo: “è primo in classifica in una lega di categoria, secondo in un’altra: sta diventando davvero bravo”).

 

Hmm. Io però provo a usare il punteruolo. Introduco il tema dei ‘tre saggi’, racconto a Jimbo che abbiamo letto delle critiche che Han Han ha ricevuto dallo stesso Ai Wei Wei, che invece della democrazia si è fatto campione. Lu Jimbo risponde a tono: che Ai Wei Wei, artista di fama mondiale, gode di protezioni internazionali, e può permettersele, le sue critiche. E mentre io insisto sul tema, Jimbo si guarda attorno, un gruppo di camerieri si è avvicinato. È un’impressione mia, o lui ha paura che lo stiano ascoltando? Che forse sia meglio cambiar discorso? Apre un borsone, mi squaderna sul tavolo un grosso libro illustrato, prova di stampa: i dinosauri. “Vedi”, mi dice indicando le illustrazioni a colori: “questa era la terra milioni di anni fa, questo grafico mostra la stagione dei dinosauri, quella della loro estinzione”. Resto interdetto: di sicuro mi sento censurato io. Il nostro incontro si chiude velocemente, e davvero non oso più nominare il nome di Ai Wei Wei invano, e la democrazia e le rivolte. Jimbo è cortese, simpatico: dice che organizzerà per me una cena con qualche scrittore, il prossimo weekend, tornando a Pechino.

 

Una mezzoretta dopo, gironzolando, cerco di rifletterci: è stata una sorta di paranoia mia? O davvero lui ha cambiato discorso bruscamente? E c’era davvero gente che ascoltava? Questa storia fa il paio con quegli ‘avvertimenti’ che ricevetti mesi fa: non immischiarti con l’editoria cinese. È pericoloso: “I strongly suggest  you not to do”. Detto da amici, certo: ma detto con un vigore. Non azzardarti a provarci.

 

Ecco, capisco che la Cina così è e così sarà per me: un enigma, un rompicapo da sciogliere pian piano. E non mi serve la sapienza di qualche ottimo giornalista con tanti anni di esperienza: perché io non sono qui a scandagliare le relazioni di forza tra le varie cordate al potere: a me interessa la vita delle persone in queste città, il loro pensiero, le loro reazioni. E a me interessa Han Han, ex giovane prodigio, ora trentenne (è diventato padre), rallysta e punto di riferimento per la sua generazione.

Che non gli interessa la notorietà, dice lui: gironzolo ancora, mi fermo davanti a un’edicola (qua ce ne sono parecchie, e belle piene), vedo un magazine in prima fila. Lo impugno, chiedo all’edicolante: questo è Han Han? Sì, è Han Han. In copertina. Non gli interessa la notorietà?

 

Ma Jimbo: oh, Jimbo ti voglio rivedere. Tra altri scrittori, più a suo agio, dopo un paio di bicchieri, e allora vedremo. Se mi racconterà che è diventato editore dopo alcune prove narrative non molto riuscite, se parlerà della nuova generazione di romanzieri quarantenni. Se farà capolino qualche discorso sulla politica.

Se mi spiegherà dove ha preso 650.000 dollari per comprarsi l’ultimo romanzo di Annie Baobei: chi glieli ha dati?

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