Psicoanalisi in rosso, una fiction

28 Ottobre 2014

Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Con questi due eleganti avverbi, si apriva la fiction. Dove ci si illudeva che l’immaginario superasse la realtà, fosse più crudo, duro, straordinario. Invece il reale supera ogni tipo d’immaginazione, mortifica la speranza. Quando Allen Ginsberg fu accusato da William Buckley di avere composto opere oscene, rispose che l’oscenità non sta nella letteratura, ma nel reale: la guerra per esempio, l’abuso, la violenza maschile.

 

 

Davanti a me c’è un libro, Psicoanalisi in rosso. L’autrice, Giorgia Walsh, è uno pseudonimo. Giorgia Walsh mette in forma letteraria le testimonianze di una donna abusata da uno psicoanalista. Racconta l’abuso terapeutico in una piccola città. Nella piccola città si pratica l’omertà, per pudore, convenienza, carriera, buoni sentimenti, ipocrisia, codardia; e si pratica il pettegolezzo per vanità, sadismo, narcisismo. Per condividere i buoni sentimenti, la mentalità. Nella grande città le molestie, le malversazioni, gli abusi sono ratificati, insabbiati: sistemi di prescrizione, condono, disattenzione, lungaggine.

 

Si racconta del dottor Sembiante. Abuso sessuale spacciato per interesse clinico, uno psicoanalista giudicato, condannato, poi protetto e salvato dalla società di appartenenza, la XYZ. Queste società, non a torto, sono state sovente accomunate a Chiese. La XYZ, di cui si scrive nel romanzo, prende atto degli abusi, ma, anziché espellere il perpetratore, gli permette di dare le dimissioni. Si racconta anche di un Ordine Professionale che archivia il caso. Una brutta storia italiana.

 

 

Non che non ci siano, nella storia delle società psicoanalitiche e psicoterapeutiche, di ogni ordine e grado, scandali e nefandezze. Membri che esprimono dissenso resi silenti per anni. L’elenco è lungo. Membri di questa o quella società attaccati, spesso espulsi per avere espresso disaccordo rispetto alle posizioni dominanti, o per avere introdotto nuove pratiche terapeutiche, o per avere aderito a posizioni politiche di imbarazzante dissenso in epoche oscure della storia. Per una di queste società, la prima, si trova un lungo saggio storico di Riccardo Steiner su The International Journal of Psychoanalysis, scritto nel 2011. Per il resto, invidie, gelosie, arrampicature sociali e, viceversa, persone ignorate, sistematicamente evitate, non invitate. Non conosco società di psicoterapia dove ciò non sia accaduto. I terapeuti, gli analisti, non sono una casta moralmente superiore; al contrario, chi sta ai vertici spesso fa trasparire il sospetto di essere amico di chi conta, molte di queste società esercitano il potere senza trasparenza.

 

Qui però – nel romanzo, perché bisogna sempre ricordare che si tratta di una fiction – la questione è più complicata, si tratta di un abuso sessuale, abuso durante la cura; non ci sono dubbi. Possibile che sia più facile espellere uno psicoanalista perché inventa nuove teorie e nuove pratiche cliniche – condivisibili o meno – che espellere uno che, magari, non ha nulla da dire, si accoda al mainstream, ma, sotto la protezione della sua ortodossia, commette abusi con le persone di cui dovrebbe prendersi cura? Almeno così si suppone. Uno psicoanalista, uno psicoterapeuta, non dovrebbe prendersi cura delle persone che incontra nel suo lavoro? No? Si tratta di un’eresia? Di una castroneria? Questo soggetto supposto sapere, ha il compito di perpetrare questa supposizione fino all’abuso? Oppure, al contrario, ha il compito di dissolvere questa supposizione durante la pratica clinica?

 

Subito scatta la ritorsione diagnostica. Non è l’abusatore; ovvero, sì, avrà commesso una bagatella, ma questa tizia che insiste è ossessiva, maniacale, persecutoria, istrionica. Solo chi ha visto Changeling e pensa che la donna impersonata da Angelina Jolie fosse davvero psicotica, oppure chi ha visto Magdalene e pensa che le suore irlandesi avessero ragione, può pensare, dopo avere letto Psicoanalisi in rosso, che l’anonima donna abbia deformato la realtà: solo una mentalità omertosa, coperta di buoni sentimenti diagnostici, potrebbe ragionare così. Tuttavia, come noto, la mafia è un prodotto tipico italiano, come il risotto, come lo facciamo noi a nessuno riesce, e ci si adegua. Sopratutto nella grande città del Nord. Ecco, in due parole, la storia, che sembra proprio una storia vera. Assolutamente vera. Questo è straordinario! È straordinario che la fiction, una volta tanto, sia così straordinariamente Reale. Perché, come noto, si tratta di una fiction, una vera e propria fiction...

 

Mara Cerri

Mara Cerri

 

Non intendo rubare il pathos della lettura, dura, difficile, lapidaria, impietosa – qui la pietà davvero non è possibile. Invero qualche rivelazione preliminare va fatta: Giorgia Walsh scrive nel nome di un’anonima donna che le chiede di rivelare gli abusi subiti da uno psicoanalista, nel testo il dottor Sembiante, presso cui è stata inviata da uno psichiatra, il dottor Urìbil. In breve il Sembiante, anziché curare la paziente, la irretisce, la seduce e – che parole usare per farsi capire senza urtare la sensibilità del lettore? – la scopa.

 

La storia è orribile in un supposto dialetto di una supposta grande città del Nord: urìbil. Situazioni di questo tipo accadono. Chi svolge il lavoro clinico con onestà e coscienza ha avuto occasione di incontrare donne abusate da chi svolge questo lavoro senza tenerezza, senza coscienza, urlando, aggredendo. Il nostro, come ebbe modo di osservare Kohut, è un lavoro dove il narcisismo è letale e la formazione terapeutica dovrebbe insegnarcelo, cosa che, forse, non accade più. La questione, per un terapeuta, non è quanti anni è stato in analisi. Non è questione di quantità. La questione è, semmai, se durante le sue analisi ha capito i limiti del suo insano desiderio di guarigione, i limiti della sua professione, i limiti del suo operare. È molto più complicato. Si tratta di accorgersi quando la risonanza, il contro-transfert, il co-transfert (chiamatelo come volete e forse sarebbe ora di piantarla di fare i difficili con le definizioni, lo stile non è purificazione linguistica) va al di là del principio del piacere. Si tratta di imparare a fermarsi prima, oppure di cambiare mestiere; magari facendo altro si guadagna di più.

 

Manca qualcosa alla formazione degli psichiatri, degli psicologi, degli psicoterapeuti, degli psicoanalisti. Questo qualcosa è qualcosa che manca alla cultura contemporanea: il senso del limite, il senso della tenerezza, il senso del rispetto, la coniugazione tra i codici affettivi materni e il senso del rispetto paterno. Forse castrazione è una parola grossa, ma al dottor Sembiante si dovrebbe proprio castrare la possibilità di svolgere ancora la professione, in primo luogo per amore della psicoanalisi.

 

La cosa interessante di questa fiction – e ci tengo ancora una volta a segnalare che si tratta di una fiction – è che: né la società XYZ, né l’Ordine Professionale in carica, hanno avuto la volontà di agire. “Impedimenti dirimenti” diceva don Abbondio. Ecco, il romanzo di Giorgia Walsh è come I promessi sposi, solo un romanzo. I soprusi di Don Rodrigo non erano tipici dei signorotti durante la dominazione spagnola; no, era solo fiction.

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