Pavidi o cocciuti?

7 Marzo 2013

È mercoledì sera, e come al solito mi sintonizzo sul mio talk show politico preferito. Sono oramai diversi anni che seguo questo tipo di trasmissioni, e tuttavia continuo sempre a stupirmi – stupore misto a irritazione, in verità – di fronte a dialoghi come questo:

 

Membro dell’opposizione: “Durante l’attuale Governo abbiamo perso centocinquantamila posti di lavoro, fonte Eurispes. Questo è inaccettabile”.

 

Ministro del governo: “Mi spiace smentire il collega, ma ha detto una cosa falsa. I dati in nostro possesso dicono invece che la disoccupazione è aumentata solo del 2% durante il nostro mandato, quindi altroché centocinquantamila. Si parla di venticinquemila posti di lavoro, cifra spiegabile tenendo in conto la profonda crisi economica globale e l’attacco speculativo al nostro Paese”.

 

Membro dell’opposizione: “E no, caro Ministro, mi spiace, ma sui numeri non ci si può sbagliare”.

 

Già, sui numeri non ci si può sbagliare. Eppure i politici ne snocciolano così tanti di numeri, e tutti così differenti, che qualche dubbio mi viene.

In realtà, a una più attenta riflessione, ciò che trovo davvero sospetto non sono i numeri, ma il fatto che si possa essere in disaccordo su di essi e che si possa persistere in questo disaccordo. Ovviamente, per spiegare la persistenza del disaccordo dovremmo appellarci a diversi fattori: i due politici prendono parte ad un talk show e non possono mollare l’osso così tanto facilmente, devono mettere in cattiva luce i rispettivi avversari politici, devono apparire convincenti agli occhi del pubblico da casa, e via dicendo. Queste sono tutte considerazioni di natura descrittiva, vale a dire considerazioni che spiegano quello che sta succedendo offrendone una descrizione plausibile.

 

L’epistemologia contemporanea di matrice analitica indaga una dimensione ancora più interessante del problema, vale a dire la sua dimensione normativa. In una prospettiva descrittiva ci si interroga su cosa i politici fanno e perché lo fanno; una prospettiva normativa, invece, affronta il problema del disaccordo chiedendosi che cosa i politici dovrebbero fare al fine di comportarsi razionalmente in una situazione di disaccordo come quella delineata precedentemente.

 

Da un punto di vista intuitivo, persistere in un disaccordo sui numeri sembra tutt’altro che razionale: o ci sono venticinquemila disoccupati in più, o no. Un po’ di onestà intellettuale e un attento esame dei dati dovrebbe risolvere il disaccordo piuttosto facilmente.

Ci sono casi più delicati, tuttavia, in cui non è così facile decidere cosa fare. Lo scenario politico post-elettorale cui ci troviamo di fronte in questi giorni offre spunti di riflessione drammaticamente pertinenti. Le tre forze politiche che hanno in mano il destino politico ed economico del nostro Paese sono in disaccordo su molte cose. Prima fra tutte, su come formare il prossimo Governo: il Partito Democratico vuole allearsi con il Movimento 5 Stelle; il M5S non vuole allearsi col PD; il Popolo della Libertà auspica un Governo di larghe intese con il PD.

 

La questione normativa può essere posta così: che cosa dovrebbero fare i leader politici di questi partiti per comportarsi razionalmente di fronte a questi disaccordi? Come risolvere l’impasse politica in un modo epistemicamente probo?

La prima cosa da fare è capire la situazione generale in cui questi disaccordi hanno luogo. Tutte le parti in causa sanno bene cosa c’è in gioco: necessità di interventi immediati su economia e diritti, abbattimento dei costi della politica, riforma dei partiti, legge anti-corruzione, etc.

 

Questi sono i temi comuni su cui si scontrano le formazioni politiche. In maniera più specifica, possiamo dire che questi temi rappresentano l’evidenza sul problema su cui si è in disaccordo, e cioè il problema della formazione del Governo. L’evidenza è quel corpus di informazioni, dati, ed argomenti che invochiamo per sostenere le nostre opinioni. L’epistemologia ci insegna che siamo razionali se rispondiamo correttamente all’evidenza, cioè se formiamo un’opinione che sembra essere motivata dall’evidenza in questione.

Secondo il PD, l’evidenza inerente al problema della formazione del nuovo Governo motiva la necessità di un’alleanza con il M5S. In altre parole, l’attuale situazione economico-politica dell’Italia, è una ragione in favore un’alleanza con il M5S. Il M5S, invece, ritiene il contrario. È razionale persistere in questo disaccordo, o i nostri politici farebbero meglio a trovare un punto d’intesa?

 

Secondo alcuni filosofi, tra cui Adam Elga della Princeton University, David Christensen della Brown University, e Richard Feldman della Rochester University, non è razionale persistere in disaccordi in cui le parti in causa hanno la stessa evidenza. La cosa razionale da fare è risolvere il disaccordo trovando un punto di accordo. L’idea è che il disaccordo ci insegna qualcosa: impariamo ad essere prudenti nelle situazioni di parità evidenziale, vale a dire situazioni in cui condividiamo le stesse conoscenze ed informazioni ma formiamo giudizi differenti che generano il disaccordo. La prudenza si declina in un cambiamento delle nostre opinioni al fine di trovare una visione unica, consensuale, sulla quale convergere.

 

Questa soluzione conciliatoria è, in prima battuta, piuttosto plausibile. Come facciamo a stabilire da un punto di vista strettamente evidenziale chi ha ragione e chi ha torto? Nessuno può leggere il futuro e sapere come andrebbero le cose se ci fosse o non ci fosse un’alleanza tra i due partiti.

Tuttavia, abbandonare le nostre convinzioni e opinioni politiche solo a causa di un disaccordo sembra insoddisfacente. Qui non si tratta di numeri, ma di giudizi valutativi dall’alto impatto sociale, economico e politico. Il passo dalla prudenza alla pavidità epistemica è breve, e nessuno sembra disposto a compierlo.

 

Altri filosofi, come ad esempio Ralph Wedgwood della University of Southern California, pensano invece che il disaccordo non debba essere risolto e che è razionale continuare a credere quello che credevamo prima: il disaccordo non ha nessun effetto su ciò che dobbiamo credere. Così, invece di trovare un punto d’intesa, i vari partiti dovrebbero continuare a rimanere arroccati sulle loro posizioni obbedendo al credo che le idee non si svendono al primo offerente. La libertà di opinione manifestata da questa soluzione, per quanto allettante, sembra soffrire del problema opposto che affligge la proposta conciliatoria: il passo dalla libertà di opinione alla spavalderia e cocciutaggine epistemica è breve e anch’esso sgradito.

Gli epistemologi contemporanei discutono animatamente la questione della risposta razionale al disaccordo e, ovviamente, sono in disaccordo su quale sia la cosa giusta da fare.

 

Per quanto riguarda la situazione politica, non sappiamo cosa succederà. Possiamo solo auspicare che la razionalità – in qualsiasi forma essa si manifesti – possa guidare le loro prossime scelte.

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