Re Sole e Reami d’Ombra al tempo d’Affittopoli

23 Febbraio 2011

C’è un aspetto paradossale, ma rivelatore, nella faccenda di “Affittopoli”: l’assoluta congruità degli affitti pagati dai super vip, vip e annessi e connessi, per le case di proprietà degli enti pubblici milanesi. Il Trivulzio, ma non solo. Visto che ora lo stesso fenomeno emerge anche per le proprietà del Policlinico milanese.
11.262 euro annui per 75 metri quadri in via San Marco? Una cosa giusta.
600 euro per 82 mq in via Alfieri? Perfetto.
1000 euro al mese per 80 mq in via Santa Marta? La cifra equa da pagare.
E allora perché si titola “affitti a prezzi stracciati”? Perché si parla di prezzi di favore? Semplice. Perché queste cifre non hanno nessun rapporto con quelle che si devono pagare per disporre di una casa in affitto nel mondo reale. Quello dove vivono i cittadini. Quella stragrande maggioranza che paga cifre come queste, o doppie di quelle riportate, per abitazioni ficcate a un’ora di metrò dalle ubicazioni di pregio. O sborsa, per case analoghe a quelle del centro, importi pari a quattro, cinque volte quelli richiesti dagli enti pubblici. Cifre assolutamente fuori da ogni accettabile parametro di equità rispetto al reddito che ci si porta a casa. O agli affitti di città europee ben più vivibili e gradevoli di Milano.
Dunque due mondi. Quello giusto – perlomeno quanto ad importo degli affitti - abitato da pochi, forse fortunati. Attorno il mondo rovesciato, dove sono in esilio gli altri. La maggioranza dei cittadini. Allora? Quale la morale della fiaba? Ci accontentiamo della predica sulla corruzione che infetta la società? Sull’Italia marcia? Sul così fan tutti, vip e non vip, conservatori e compagni, radical chic ed ambientalisti? Tutti disponibili a deviare dalle regole, se hanno il potere di poterlo fare, visto che sono cooptati nella comunità dei “sopra le regole”? Oppure se, ben più elegantemente, si possono concedere la distrazione – presi come sono dalla grande causa da patrocinare, dalla trasmissione da curare, dalla collana prestigiosa da dirigere – di non accorgersi del privilegio goduto per anni, per decenni?
Forse la dovremmo far finita con queste lagne.
E dovremmo cominciare ad utilizzare questi dati – Affittopoli et similia – per studiare con pragmatica attenzione l’incombente affresco, la nuova geografia sociale dell’Italia degli anni doppiozero. E’ tempo di perimetrare con esattezza – e la faccenda di affittopoli ci aiuta – la latitudine e longitudine degli opposti blocchi sociali, dei diversi mondi che vi si sono collocati.
Mondi variegati, dentro la stessa metropoli e l’intera penisola. Blocchi che non si toccano praticamente più e attingono a grammatiche di vita quotidiana e a sintassi della rappresentazione del sé del tutto inconciliabili da quando la comunità sociale è morta. O è stata uccisa. E si è tirato su il sipario della società dello spettacolo.
“Una cortina di ferro separa l’Europa”: ricordate? Era Churchill che, utilizzando la metafora teatrale, nel 1946 indicava come stesse iniziando una nuova fase della storia del mondo. Durò mezzo secolo. Ora – siamo sempre a teatro, visto che siamo nella società dello spettacolo, e la “cortina di ferro” era la barriera anti-incendio adottata nei teatri inglesi di metà Novecento – la cortina passa dentro le città. I blocchi non sono più quelli che tra Est e Ovest si guardano in cagnesco. Le frontiere dei blocchi passano dentro i palazzi. Lungo i numeri civici delle vie. Persino dentro i letti.
Sul nuovo palcoscenico italiano – a qualsiasi titolo si venga ammessi – vigono regole sfigurate, proporzioni anomale. Silenzi e battute sono dettate dal copione. I ruoli e i legami, anche quelli più intimi, possono essere ritoccati secondo l’evoluzione del plot. I benefit sono distribuiti con allusiva condiscendenza. Segni di casta sono richiesti e attribuiti per silenziose cooptazioni, per liturgie che apparentemente parlano d’altro. Redditi e incarichi sono assegnati non più secondo le tabelle del manuale Cencelli ma con altre modalità. Quelle che i molteplici sovrani delle nostre taroccate Versailles – baricentrate non su qualche Re Sole ma sui molti Reami d’ombra della penisola – hanno adottato nel corso di un interminabile e notturno Carnevale.
Abitare la Quaresima, perseguire con metodo la più essenziale povertà è forse l’unica individuale strada per uscire dal teatro. Per smetterla di essere maschere del palcoscenico italiano.

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