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Cancellazione, generalizzazione, costruzione / Il riassunto: un esercizio etico

3 Aprile 2017

Nel diluvio di parole che ci inondano sembra venuto il tempo di invocare l'istanza della sintesi. Ne è un chiaro segno la fortuna della condensazione di brevi messaggi nei 140 caratteri di un tweet. Ma questo non può che tradurre un pensiero corto, un'istantanea. Il bisogno di condensare, di esprimersi in modo conciso, di cogliere l'essenziale riguarda ogni nostro discorso e la maggior parte dei testi scritti in cui ci imbattiamo. Questa è certamente la ragione per cui una vecchia pratica scolastica , ritenuta obsoleta o addirittura dannosa per la conoscenza e per la creatività, sia tornata alla ribalta: il riassunto. Sul dizionario Treccani.it si legge: «riassunto, s.m.[part.pass. di riassumere, sostantivato], Discorso o, più spesso, scritto che riassume, che espone brevemente i punti essenziali di altri discorsi o scritti, o che informa succintamente intorno a un fatto o una serie di fatti.». La definizione però indica il risultato, non la tecnica che lo realizza. Sembra che non si possa far altro che usare una tautologia ('discorso che riassume') o espressioni sinonimiche ('espone brevemente i punti essenziali), senza entrare nel merito del processo che sta dietro all'arte di riassumere. Perché di arte certo si può parlare. Ma dell'arte che si apprende nella pratica di bottega, non di spontaneità creatrice. Un'arte un tempo insegnata dai maestri e oggi da riscoprire e valorizzare. Oggi comunque negletta.

 

Il riassunto è sempre stato il parente povero della pedagogia, solo raramente oggetto di disquisizioni intellettuali, nonostante la sua valenza riconoscibile, tuttavia possiamo ricordare, per la sua rilevanza teorica e pedagogica, un dibattito sviluppatosi negli anni Ottanta del secolo scorso, quando tanto per dire già si parlava di tale pratica come di un'abitudine in disuso, al pari dello studio delle poesie a memoria. In un articolo de L'Espresso del 10 ottobre 1982, Umberto Eco pronunciava L'elogio del riassunto e affidava il compito di fornirne esercizi esemplari in 15 righe a 12 noti scrittori, poeti e saggisti (Arbasino, Moravia , Giudici, Bertolucci, Malerba, Calvino, Garboli, Raboni, Guarini, Mariotti, Chiara e Eco ). Lui stesso scelse l'Ulisse di Joyce, Garboli I Miserabili, Moravia Delitto e castigo, Guarini Le affinità elettive, Malerba e Mariotti la Divina Commedia, Arbasino Madame Bovary, Calvino Robinson Crusoe ( quest'ultimo producendo da par suo un capolavoro di concisione). I dodici esercizi realizzati fecero però emergere in qualche modo il carattere problematico della nozione di riassunto, definita da Eco prevalentemente in modo negativo («non è un caso di semplice informazione»), che aveva generato una certa varietà di interpretazioni. Se riassumere significa etimologicamente «assumere di nuovo», forse è giusto pensare che l'operazione implichi un giudizio critico che aiuti a cogliere anche ciò che è implicito, il non detto di un testo, riscrivere il testo con parole proprie, non solo nel senso di appropriate, ma anche nel senso di personali, scelte liberamente. è questa l'interpretazione che ne avevano dato alcuni di quei professionisti della scrittura, interpretando di fatto il loro compito come una "riscrittura creativa".

 

Ph Henri Cartier-Bresson.


Ma il riassunto dovrebbe essere disgiunto dal commento: questa fu la precisazione di Italo Calvino in un importante articolo de La Repubblica ( 22 ottobre 1982) della settimana successiva Poche chiacchiere!, che cercò di far chiarezza rispetto ad alcune affermazioni di Eco: «scegliere quel che è indispensabile dire e quanto si può tralasciare [...] equivale a pronunciare implicitamente un giudizio critico». Per Calvino il riassunto « non deve contenere giudizi di valore di ordine critico». Rispetto a questa definizione non tutti gli esercizi d'autore presentati potevano rientrare nella categoria del riassunto, anzi alcuni potevano ritenersi secondo Calvino micro-saggio, commento-divagazione, una via di mezzo, etc., ma non riassunti. In realtà le due posizioni di Eco e di Calvino non erano molto distanti, accomunate com'erano dall'idea che riassumere implica "scegliere", selezionare e quindi far intervenire la mente nel processo di discernimento. C'era però da chiarire un altro punto sul piano teorico per evidenziare la distinzione tra riassunto e commento: la natura vincolata o meno di tale scelta. Secondo Calvino, il riassunto «deve essere costituito da enunciazioni, pensieri e possibilmente parole contenute nell'opera da riassumere»; dal riassunto deve essere bandito il metalinguaggio intellettuale astratto. Così conclude :« Insomma mi sono convinto che fare dei veri riassunti è un esercizio salutare tanto per i ragazzi che vanno a scuola quanto per i professionisti della scrittura perché ci obbliga ad astenerci dalla facilità del lessico intellettuale e a osservare i testi dal di dentro prima di definirli dal di fuori.».

 

Riassumere esige dunque un atteggiamento di umiltà nei confronti del testo nel rispetto della sua struttura. E non è un'osservazione "dal di fuori". L'identificazione del riassunto con una forma di descrizione, una descrizione parziale, è all'origine invece di quel giudizio svalutativo che viene esposto nel sito Circolo Bateson.it, secondo cui riassumere non è un modo corretto di conoscere un testo, rispetto a parafrasare. E forse alla base di questa opinione sul riassunto c'è la volontà di stigmatizzare quelle semplificazioni, volgarizzazioni di testi classici che circolano sulla rete col nome di riassunti, usati in sostituzione dei testi originali. O quelle operazioni di ricucitura secondo nessi causali costruiti a caso che collegano le parti sottolineate di un testo di studio nell'illusione di una sua efficace sostituzione.  Ma definire il riassunto «una descrizione di tipo particolare» e « riassumere e descrivere come operazioni pressoché identiche» è certamente fuorviante, perché equipara il riassunto ai testi descrittivi, gli unici tipi di testo che davvero non si possono riassumere, se non attraverso cancellazioni casuali di particolari con una scelta inevitabilmente arbitraria. Non si possono riassumere perché sono testi che si fermano alla superficie sensoriale delle cose e poco vincolanti sul piano dei collegamenti coesivi (si veda C.E. Roggia, Testi descrittivi in Simone, Berruto D'Achille, Enciclopedia di Italiano, Treccani 2011).

 

Riassumere nel significato che ne dà Calvino è un'operazione cognitiva, che, se realizzata correttamente, non ha minor dignità della parafrasi, anche se non si identifica con quest'ultima. Riassumere muove da esigenze di concisione e risponde a un bisogno della mente di selezionare (perché non si può ricordare tutto), diversamente dalla parafrasi, che richiede la trasformazione biunivoca di tutte le frasi attinte dal testo e ricerca l'ampliamento e la ridondanza. Tuttavia il riassunto, se attuato correttamente, muove dalla stessa esigenza di comprensione profonda del testo da cui muove la parafrasi. E non è necessariamente un «tradire». Ci vuole però un opportuno addestramento a questa abilità. Non possono certo bastare quelle regolette che circolano sul web come un ricettario, che prescrivono tra l'altro comportamenti discutibili. Ne sono un esempio alcune prescrizioni che se prese alla lettera sono quasi totalmente false (usa la terza persona; trasforma i discorsi diretti in indiretti; crea frasi corte; elimina le parole troppo difficili; utilizza sempre lo stesso tempo verbale; rileggi e controlla di aver inserito tutte le informazioni più importanti; se sarà facile da leggere e scorrevole, avrai fatto un buon lavoro).

 

Ciascuna di tale prescrizioni può trovare puntualmente una smentita nel libro L'arte di riassumere, Il Mulino 2015, che indica le tappe faticose del riassumere: uno stretto rapporto tra lettura e scrittura, con l'ausilio della memoria episodica, il controllo della macrostruttura semantica del testo, le operazioni di riduzione secondo regole precise. Tra le regole (cancellazione, generalizzazione, costruzione) si può rilevare la regola di generalizzazione, che può comportare l'uso di frasi lunghe di carattere ipotattico, di iperonimi, di categorie generali, non necessariamente parole facili. Il riassunto è infatti una prova di sintesi e può avere un alto valore diagnostico nella verifica della comprensione. All'esame di Stato potrebbe essere auspicabile una prova di riassunto come verifica appunto della comprensione, disgiunta da un eventuale commento, non solo di testi letterari, ma anche di testi giornalistici di carattere argomentativo. Gli esempi proposti nel testo, citato sopra, smontati nel loro impianto, attraverso indicazioni metodologiche precise e riproducibili, potrebbero avere un'utile valenza pedagogica, come dice Calvino « più per chi fa il riassunto che per chi lo legge». Si tratta di editoriali, di testi di attualità politica, di divulgazione scientifica. Anche confutazioni sul modello classico che riguardano temi di rilevanza culturale, come ad esempio la disputa sul falso papiro di Artemidoro, di cui il riassunto fornisce una sintesi rigorosa, rispettando il punto di vista e l'ironia dell'autore, Luciano Canfora, nell'articolo Dietro la maschera di Artemidoro (Corriere della Sera, 20 marzo 2008).

 

Un'operazione di scrittura a dominanza referenziale, che consente di accertare il rigore e la precisione con cui viene compreso il pensiero altrui. Si potrà obiettare che mortifica la creatività, ma la creatività potrà essere messa alla prova con un eventuale, ma disgiunto, commento. La fedeltà al testo di partenza soprattutto oggi può avere anche una rilevanza etica: un'educazione al rispetto del pensiero altrui, anche se non condiviso. D'altra parte, forse, quando si volessero porre obiettivi più alti a quest'arte, si potrebbe seguire l'indicazione di Calvino: «esorcizzare lo spettro del cattivo riassunto piatto, falsamente oggettivo, insignificante della tradizione scolastica più uggiosa e rendere implicita nell'operazione selettiva la nostra intenzione, sia essa di distacco, di ironia, di valorizzazione, di ammirazione e magari di capovolgimento del punto di vista». Ma non dovremmo più fare i conti con i risultati OCSE sui livelli di comprensione dei nostri studenti!

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