Mamme in trincea

10 Novembre 2014

Guerriere. Si intitola così l’esilarante, lucidissimo ‘dialogo a più voci’ scritto da Elisabetta Ambrosi, appena pubblicato da chiarelettere. Il sottotitolo, per chi volesse capire meglio di cosa si tratta, è lapidario: La resistenza delle nuove mamme italiane.

La prefazione di Lia Celi, programmaticamente intitolata “Arrenderci mai”, irresistibile anticipazione dei contenuti del libro e dell’umore con cui sono affrontati, fa da teaser a una vera e propria commedia all’italiana, di cui l’autrice è sceneggiatrice, regista, nonché interprete comprimaria.

 

Il setting è Roma, città di palazzi e palazzine, splendori naturali e architettonici spesso in deficit di cura, parchi e ville sontuosi e parchi-gioco cementificati e claustrofobici, strade senza marciapiedi o marciapiedi invasi nell’ordine da automobili, tavolini dei bar, radici di alberi in cerca di spazio, misteriose eterne transenne, buche, crepe, rattoppi, un traffico privato ingordo e ingombrante e rare, ingannevoli piste ciclabili: un sogno per turisti giapponesi con bastone selfie allungabile; un incubo per anziani, bambini, disabili e chiunque li accompagni. Provare a spingere un passeggino o una sedia a rotelle intorno al Pantheon o a Testaccio per credere.

 

Bene, Ambrosi, giornalista e blogger freelance, madre di un pargolo di quattro anni, decide di dare vita a una contro-inchiesta sulle condizioni di vita di quelle come lei: donne sui quarant’anni, eterosessuali, sposate o accompagnate a uomini dalla presenza flebile, alle prese con figli bambini, esperte nell’arte acrobatica del doppio lavoro, quello salariato o produttivo e quello gratuito, domestico o riproduttivo. Il tutto in una fase storica in cui il neoliberismo ha assunto in Italia il volto insidioso della flessibilità che fa rima con precarietà che fa rima con caducità (dell’ormai obsoleta forza lavoro, della distinzione tra casa e luogo di lavoro, del lavoro stesso).

 

Il caso vuole che sia qui a scriverne proprio nel giorno mirabile in cui l’attuale primo ministro informa la nazione che, a partire dal 2015, il governo garantirà per tre anni a ogni neomamma un ‘bonus’ da ottanta euro al mese per aiutarla a ‘resistere’ meglio alle insidie e alle pene del doppio lavoro o a ‘optare’ per la professione cui sembra destinarla la sua biologia, quella di mater a tempo pieno, terrore e delizia di tutti gli infanti del mondo. Si noti che il bonus annunciato verrà distribuito equanimemente a tutti i nuclei familiari il cui reddito non superi i novantamila euro l’anno. Sì, avete capito bene, settemilacinquecento euro mensili.

Si noti anche che il bonus in questione è destinato alle neomamme, non al rispettivo neopapà, visto che con tutta evidenza la cura del bebè è cosa da donne e dunque la paghetta va a loro.

Transeat!

 

Kirsten_Justesen_photo_Matthew_SeptimusKirsten Justesen. Photo Matthew Septimus

 

Torniamo alle Guerriere di Elisabetta Ambrosi, donne di classe media, acculturate, emancipate, potremmo dire postfemministe. Oltre alla comune condizione di madri in-contesto-urbano-da-terzo-millennio, hanno molto altro che fa di loro una sorta di corporazione professionale o di categoria sociale. Per cominciare non sono tanto contente che la loro coscienza di avere dei diritti e magari anche qualche libertà naufraghi miseramente in un lavoro di strenua organizzazione materiale del tempo, il proprio e quello dei figli.

 

Perfezioniste, ansiose, colpevolizzate, intrappolate nel dover fare bene il bene dei bambini, involontariamente consumiste (quanti consulti medici, quante attività extra-scolastiche, quanta ricerca della scuola ‘giusta’, quante feste di compleanno), non si concedono e non concedono ai loro piccoli il tempo della noia, del non far nulla, dello scialo. Vanno come treni su binari a senso unico, come se crescere un figlio volesse dire dargli tutto, anticipare ogni suo bisogno materiale, saturare ogni suo spazio di desiderio, non lasciarlo mai solo con se stesso. E poi, dato che questo è impossibile, finiscono per tormentarsi sulle proprie inadeguatezze, rivolgersi a nuovi esperti, delegare a tecnici sempre più autorevoli, medicalizzare, psicanalizzare, classificare, rinchiudere in minacciose formule definitorie comportamenti che hanno in sé aurorali potenzialità di comunicazione.

 

Inutile aggiungere che le “nuove mamme italiane” descritte e interpellate da Ambrosi sono delle lottatrici solitarie: resistono, ma non si aggregano. La loro denuncia di ciò che non funziona non sembra mirare alla creazione di una comunità politica che vada oltre la rivendicazione e la conquista di qualche vantaggio di settore. Scontente di come Stato e uomini non le sostengono nella loro funzione di madri, non paiono avere la forza di interrogarsi sulla natura di quella funzione nell’Italia di oggi, sull’opinabile e non abbastanza indagato continuum donna-madre, sulle possibili solidarietà con altri gruppi di ‘resistenti'’, strumento indispensabile per trasformare il combattimento solitario in guerra guerreggiata e forse in vittoria. Intendendosi, per vittoria, non soltanto una serie di piccole e senz’altro doverose riforme, ma proprio la maturazione di una diversa visione del mondo. Per uomini e donne.

Oltre a resistere, che è capacità di far fronte al presente, si tratta di immaginare e di inventare altro, di essere disposte a rischiare e far correre dei rischi agli altri in nome del cambiamento, non di un più quieto personale vivere. Se la resistenza porta a chiedere tutela e indirizza verso un’economia del risparmio, la lotta è diseconomica e imprudente e non calcola.

 

Mi piacerebbe che le simpaticissime, pazienti, spiritose, iper-responsabilizzate nuove mamme raccontate da Elisabetta Ambrosi azzardassero un’economia meno parsimoniosa (e meno timorosa) della vita, degli affetti, dei sentimenti e che la proponessero ai propri partner e ai figli, ‘facendosi in là’ e accettando di perdere un po’ dell’onnipotenza così cara alle madri di ogni epoca.

 

In ogni caso non sarà certo una ‘regalia’ da ottanta euro al mese che ci salverà. Il modello di stato sociale nordeuropeo invocato dal primo ministro è tutt’altra cosa (per la cronaca, è fatto di servizi, infrastrutture, canoni d’affitto calmierati e altri non sporadici interventi pubblici). Se non si accompagna a una diversa consapevolezza del variegato mondo in cui viviamo e dei rapporti di potere che lo regolano (non solo tra uomini e donne), nasce a testa in giù. In un paese che respinge i migranti e fa vivere di stenti troppi anziani, se fossi una neomamma o un neopapà benestante quel bonus lì non mi andrebbe proprio giù.

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