Paradisi artificiali / Ecstasy

25 Agosto 2018

La “generazione chimica”, come l’ha definita Irvine Welsh, autore di Trainspotting, è figlia del thatcherismo. Nasce nell’epoca in cui “la mappa psichica dell’Inghilterra veniva drasticamente ridisegnata, le vecchie regole perdevano significato, le vecchie certezze si squagliavano come neve al sole, e le nuove dovevano ancora stabilirsi” (M. Collin). L’Ecstasy, la “pillola dell’amore”, il carburante dei rave, ritmo interiore di “music house”e “techno sound”, è figlia della fase finale di quella stagione politica, risultato ultimo delle politiche sociali avviate da Margaret Thatcher culminate nell’etica del libero mercato e insieme nella strisciante insicurezza generata da disoccupazione, bassi salari e precariato diffuso. Per uno strano paradosso è stato proprio la miscela di thatcherismo e edonismo di massa a produrre la subcultura giovanile in cui ha prosperato la diffusione delle droghe chimiche. Com’è possibile che la MDMA, ovvero 3,4-metilendiossimetamfetamina, nota come Ecstasy, dal nome attribuitagli da un ignoto trafficante, sia diventata il simbolo di quella stagione segnata dai raduni musicali in capannoni dismessi frequentati da figli del proletariato inglese, dai riti sciamanici officiati da irrefrenabili DJ, dal dominio allargato di tecnologia chimica e tecnologia informatica?

 

Per capirlo bisogna partire da lontano, dal 1912, quando la “sostanza” viene sintetizzata per la prima volta in un’azienda farmaceutica, la Merck di Darmstadt in Germania, un altro risultato dell’efficiente chimica tedesca di fine Ottocento e inizio Novecento. In quanto sostanza intermedia, concepita per la preparazione di altri farmaci, viene ben presto dimenticata. Dopo il secondo conflitto mondiale è riscoperta da una rivista scientifica polacca e sperimentata dall’esercito americano nel corso della guerra fredda. Di nuovo è obliata. Sarà un chimico californiano di nome Alexander Shulgin, impiegato presso la Dole Chemical Company, a riscoprirla. Shulgin armeggia con le molecole di varie sostanze; ha messo a punto un formidabile insetticida, che ha fatto ricca la sua azienda, per cui in laboratorio è assai libero. Dopo la guerra ha provato la mescalina ed è interessato all’LSD, e sta cercando qualcosa d’analogo. Nel 1966 lascia la Dole e comincia a lavorare in casa con il consenso della Drug Enforcement Adminastration, l’ente statale antidroghe. Questo “scienziato dell’inconscio”, com’è stato definito, troverà 179 sostanze descritte in un libro di oltre 1000 pagine: PIHKAL. La MDMA viene sintetizzata nel 1966. Nel 1977 Shulgin la fa provare a un anziano psicologo, Leo Zoff, che conduce ricerche con gli allucinogeni. È un colpo di fulmine. Zoff comincia a girare gli USA per far conoscere la sostanza ai colleghi.

 

Opera di Daniel Mercadante.


Viene somministrata dai terapisti in presenza di sindromi post-traumatiche, fobie, tossicodipendenze, malattie terminali, allo scopo di abbassare le barriere mentali dei pazienti, com’era avvenuto con l’LSD ai suoi inizi. Fino al 1978 non escono pubblicazioni che ne parlano. Com’era avvenuto per LSD negli anni Sessanta, nasce una discussione: riservare la sostanza al campo psicologico oppure divulgarla a tutti? Aldous Huxley aveva sostenuto l’uso terapeutico ed elitario dell’LSD, Timothy Leary invece l’aveva diffusa senza esclusioni (dal 1949 al 1966 la Sandoz vendeva LSD con il nome di “Delysid”). Per gestire la nuova sostanza viene creato il Boston Group, così MDMA è la prima droga prodotta da una ditta legalmente costituita per farlo; un membro della società si rende presto conto che così si possono fare molti soldi e la diffonde. Nel 1985 viene proibita, ma intanto si è già sparsa; è utilizzata come droga dei locali da ballo. A farla conoscere, come racconta Matthew Collin, sono gli ambienti gay delle discoteche di New York e Chicago. Come arriva in Inghilterra? Due le strade: i discepoli di Bhagwan Shree Rajneesh, guru indiano,  la diffondono in Olanda, dove è legale sino al 1988.

 

L’altra via passa da Ibiza e dai suoi locali notturni. Quando è finita l’epoca hippy, è iniziata quella delle discoteche. Nella località spagnola – siamo all’inizio degli anni Ottanta – la portano viaggiatori internazionali, gay, devoti della New Age. Prende il posto di LSD, mescalina e cocaina. A Ibiza arrivano i figli della classe operai inglese: senza occupazione fissa, vittime del clima imposto dalla Thacher, sciamano a sud, al caldo, lontano dalla piovosa Inghilterra. Sono loro che l’incontrano e la portano a Londra, a Manchester, dove intanto sono nati i nuovi locali giovanili, figli dell’incontro tra la cultura hippy e l’edonismo. Si chiamano Amnesia e Shoom, e vi si suona una miscela di “salsoul” campionato, fusione iper-ritmica di R&B, musica latina e hip-hop, il tutto manipolato da sintetizzatori digitali e da onnipresenti DJ. Nasce così la “musica house” e la “techno-house”, che saranno la colonna portante dei rave: un collage di tanti elementi del passato miscelati insieme. Il salto avviene con i raduni di migliaia di ragazzi e ragazze nei fine settimana in luoghi abbandonati; le informazioni arrivano attraverso radio pirata e passaparola. Un clima plumbeo è calato in Gran Bretagna, in particolare nei quartieri periferici e operai. Lo racconta Welsh, che ha intitolato un suo libro Ecstasy. La forbice tra liberismo ed effettive possibilità economiche trova una risposta nei raduni rave dei giovani.

 

L’ecstasy diventa la reazione alla depressione quotidiana, una possibilità, almeno dal punto di vista psicologico: allegria, gioco, sesso, musica, sballo. Sono decine di migliaia i giovani coinvolti. Il thatcherismo nega ogni forma collettiva, sociale, i rave lo diventano con la loro forma estrema di divertimento. Nell’arco di cinque anni la cultura dell’ecstasy rimodella il mercato del tempo libero, e nel settore del divertimento giovanile nessun imprenditore può più permettersi di ignorarla (Collin). Il culmine è raggiunto nell’estate del 1989; poco prima ci sono state le prime morti tra i ragazzi, che hanno colpito l’opinione pubblica. L’anno seguente le autorità britanniche emanano una legge che mette al bando i rave illegali, per costringere i giovani a tornare nei locali muniti di licenza. Perché ha così successo la MDMA? Perché crea stati d’animo positivi, empatici con gli altri, perché promuove, come avevano visto gli psicologi che l’hanno usata per primi, sensazioni d’intimità e vicinanza agli altri, perché stimola l’introspezione e aumenta le percezioni; inoltre, non pare creare dipendenza, almeno sul piano fisico, mentre su quello psicologico sono piuttosto i rave a determinarla. L’Ecstasy agisce sui neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina che influiscono sull’umore, e sul sistema muscolare. Sul suo uso estremo influisce certamente la musica ossessiva dei rave, lo sforzo fisico del ballo, l’aria irrespirabile nei locali. Le prime morti sono state causate dal cosiddetto “effetto di surriscaldamento”: poco ossigeno e mancanza di liquidi nel corpo. Decisivi sono la personalità di chi la ingerisce (“set”) e l’ambiente dove avviene l’uso della droga (“setting”). La cultura dell’ecstasy non è stata una strana tempesta scoppiata all’improvviso, sostiene Collin, ma l’effetto diretto dello sviluppo delle “tecnologie del piacere”, un fenomeno che “continua a modellare la nostra visione del mondo” nel corso XXI secolo, il nostro.   

 

Cosa leggere per saperne di più

M. Collin, Stati di alterazione (Mondadori) narra la storia dell’Ecstasy e dell’Acid House nella Inghilterra neoliberista; curati dal gruppo di ShaKe si leggano i libri: N. Saunders, E come Ecstasy (Feltrinelli); G. Amendt e P. Walder, Le nuove droghe (Feltrinelli) e G. Amendt, No drugs no future (Feltrinelli); mentre R. Metzner e S. Adamson in Ecstasy (Stampa alternativa) ne raccontano l’uso terapeutico. 

 

Questo articolo è uscito in versione più breve su La Repubblica, che ringraziamo 

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