Un viaggio che non promettiamo breve / Wu Ming 1, partire e tornare insieme

6 Maggio 2017

Un viaggio che non promettiamo breve di Wu Ming 1 rientra nella categoria degli "oggetti narrativi non identificati” che il collettivo bolognese, diventato un power trio, ci ha fatto conoscere. Al centro del racconto ci sono i Venticinque anni di lotte No Tav (così il sottotitolo): una storia corale e collettiva del presente che si fa analisi più generale del rapporto con l'economia e la politica tra il 1991 e il 2016. È un libro che diventa romanzo in forza dell'interazione dinamica di trame discorsive diverse – diario, inchiesta, reportage, saggio storico, pamphlet – reso fluido dal montaggio che la voce narrante fa di documenti, testi di e-mail, stralci di interviste e conversazioni private. Non senza verticalizzazioni liriche e diramazioni che colorano a tinte vivaci il portato simbolico del movimento contro l’alta velocità in Val Susa.

 

È una storia apparentemente periferica quella del progetto della “nuova” linea ferroviaria Torino-Lione attraverso le Alpi (per una lunghezza di 235 km), voluta come interesse strategico nazionale per potenziare collegamenti “ad alta velocità o ad alta capacità” (a seconda dei momenti della sua progettazione), sulla base di una presunta domanda di trasporto in una zona già ben collegata per ferrovia e gomma e già fortemente provata dal dissesto idrogeologico.

I costi iperbolici dell'opera – nel 2015 stimati in 160.000 euro al metro –, il connesso piano di indebitamento pubblico, il rischio di infiltrazione criminale nel sistema di appalti, i danni e il disagio inferto al territorio, soprattutto se messi in relazione ai previsti benefici, sono alla radice della decisa contrarietà alla realizzazione dell'opera da parte degli abitanti della Val di Susa e di moltissimi cittadini di differente età e provenienza socio-politico culturale, tra i quali figurano intellettuali e specialisti di economia, ingegneria, ecologia.

 

Dipanandosi tra fonti diaristiche, giornalistiche, studi sociali e antropologici, ore di interviste e mole di documentazione interna, la voce partecipante di Wu Ming 1 ne ricostruisce la storia più ampia e dettagliata scritta fino ad ora, cogliendo un bisogno storiografico e mettendo insieme fatti e processi su un periodo lungo; il libro assolve un’importante funzione informativa considerato che la vicenda della Val di Susa è stata coperta dai mainstream media con una narrazione a senso unico e sensazionalista che ha sostanzialmente impedito un’autentica discussione pubblica sull'opera. Questa è stata infatti mostrata come un dato inevitabile e necessario per la crescita economica e l'integrazione europea, a cui si oppone un moto popolare localista, antimoderno e nemico del progresso. Al contrario, la vicenda del Tav e della opposizione ad esso ha acquisito centralità diventando un caso esemplare della crisi di un modello di sviluppo e della sua messa in discussione.

 

In mondo analogo ad altre voci sul tema, come quella del Centro Sociale Askatasuna, A sarà düra! Storie di vita e di militanza no tav (DeriveApprodi, 2013), di Daniele Gaglianone nel documentario Qui (2014) o di Marco Aime in Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella Val di Susa (Meltemi 2016), emergono la partecipazione collettiva, la riconquista di una politica democratica di base sul territorio, la trasformazione e le ricadute socioculturali prodotte da oltre vent'anni di lotta, per persone anche molto diverse.

 

 

«Ciò che rende diverso il No Tav da altri movimenti analoghi è la costruzione di un sapere condiviso, che poco a poco si è esteso a temi e argomenti che non riguardano solo il treno e le questioni a esso inerenti. Tale sapere ha portato la comunità […] ad avviare una profonda riflessione su temi ampi e attuali come il modello di sviluppo, le forme di rappresentanza democratica e i beni comuni. Nonostante il movimento No Tav non abbia perso la sua spinta né la sua vocazione antagonistica, è diventato anche e soprattutto un movimento “per” e non solo un movimento “contro”» (Aime).

 

 

 

Oltre tre anni di scrittura, un milione e mezzo di battute di prima stesura, per una versione finale di seicentocinquantuno pagine: attraverso la messa in sequenza di una densa materia narrativa che ha il suo centro nella Val di Susa, «la soglia di un campo di forza», il lavoro di Wu Ming 1 si fa storia “per accumulo di storie” e riesce nel non facile compito di tenere insieme almeno tre grandi filoni: le ragioni geologiche, economiche, politiche dell'opposizione a questa e altre grandi opere; la denuncia civile di una repressione del movimento al tempo stesso mediatica, militare, poliziesca, e giudiziaria, che raggiunge tratti surreali; la capacità dell'impegno di creare socialità grazie alla resistenza del movimento nel tempo, fino a diventare punto di riferimento e modello per altri conflitti sociali.

 

Una delle tesi di Wu Ming 1 è che il movimento erediti le lotte del movimento operaio e contadino, in un differente contesto “a cielo aperto”. Un «movimento dalle molte anime e voci, cresciuto in un terreno di bizzarrie e meraviglie, all'incrocio di diverse tradizioni, dotato di grande intelligenza strategica […], che da anni sperimentava forme inedite di partecipazione, autogestione e politica del basso».

Quella No Tav è una soggettività politica che richiede una spiegazione complessa: bollata dalla stampa come reazione localistica e NIMBY (Not In My Back Yard) si rivela un movimento aperto, con contatti nazionali e internazionali, un alto livello di competenza tecnica, ingegneristica, geologica, economica e una prospettiva politica consapevole del fatto che qualsiasi operazione di respiro universale non può che partire dal territorio e dal quotidiano. Forti sono le connessioni con altre vicende simili (il Terzo valico tra l'Alessandrino e Genova; il Brenner Basistunnel; l'AV Milano-Venezia) e nel libro è centrale l'affermazione che l'alta velocità sia in sé un progetto politico che si muove nel segno dell' «esclusione geografica e di classe». L'altro volto dell'alta velocità, con i suoi servizi pensati per professionisti agiati, è infatti la trascuratezza nei confronti della rete ferroviaria di base che in Italia, trasforma un viaggio ferroviario economico in un'esperienza di scomodità, frustrazione, disservizio.

 

Un viaggio che non promettiamo breve muove con forza l'idea che essere contro l’alta velocità significhi opporsi al modello di sviluppo politico economico dominante, incardinato sulle grandi opere e sull'indotto dell'industria edile, a partire dal rifiuto della loro «architettura finanziaria, del loro sistema di appalti, delle leggi che consentono di privatizzare i profitti e socializzare le perdite e in ultimo della shock economy che trae [...] vantaggi dai disastri provocati». Sintetizzando le ragioni di una critica a questo malinteso keynesismo si individua qui un paradigma dell'esercizio del potere neo-liberale: «uno dei principali meccanismi per estrarre valore e uno dei più efficaci strumenti di dominio».

 

Lascia il segno la descrizione, molto documentata, della demonizzazione del movimento, dalla militarizzazione della valle per motivi “di sicurezza” all'intimidazione legale. Oggetto dei provvedimenti sembra essere un movimento che ha mostrato radicamento, tenacia e capacità di resistere sul lungo periodo: la Val di Susa diviene così tanto un laboratorio sociale «dove si stanno sperimentando nuove forme di democrazia e di presa in carica della responsabilità» (Aime) quanto un laboratorio per l'azione repressiva nei confronti di esso. Il ricorso giudiziario a misure che a detta di molti appaiono sproporzionate, nel libro di Wu Ming 1 descritte dettagliatamente, configura una situazione di emergenza continua che si è concentrata ad esempio su accuse come quella di “terrorismo”, che anche la corte di Cassazione ha recentemente ritenuto ingiustificate.

 

La lunga storia del movimento è descritta come una mobilitazione che, oltre le difficoltà e attraverso il loro superamento, crea intensi legami solidaristici, trasforma le vite di chi vi partecipa, produce felicità comunitaria e promuove forme di identità inedite (come questa). Viene proposta una periodizzazione, che ha nelle mobilitazione del 2005 o del 2010-11 dei momenti fondamentali, ma anche i momenti di crisi e di riconfigurazione delle strategie: su tutto viene descritta l'indissolubilità della socialità e della militanza come un grande punto di forza, in particolare per quanto riguarda la nozione di presidio, che si basa sul «fare del blocco un luogo abitabile».

Si parte e si torna insieme è qualcosa di più di uno slogan felice. È l'espressione di un movimento che ne coglie la coesione, la protezione, l'inclusività e la continuità nel tempo: raccomandazione pratica per andare in corteo – aspettare tutti, non lasciare nessuno indietro – diventa simbolo di unità e di dimensione progettuale senza la quale non c'è riuscita.

 

 

Una storia di impegno di oltre 25 anni emerge dal radicamento in un tessuto che ha radici solide e molto diversificate. Il movimento raccoglie e aggiorna esperienze precedenti come l'operaismo, il marxismo dell'autonomia, il cristianesimo del dissenso, la non-violenza capitiniana, per indicare gli elementi più recenti e significativi di un «biogramma che partiva da un passato lontano e permetteva al movimento di attingere da tante tradizioni e modulare le proprie tattiche e azioni».

La lotta No Tav è anche l’incontro con la montagna dell'antagonismo urbano, il coinvolgimento in pratiche sociali che includono bambini e anziani, e non per questo meno radicali, manifestazioni con autorità civili e processioni religiose, situazioni anomale in cui si è creata nei fatti una sintesi tra enti e cittadini, rosari e petardi, in una clima che sta tra gli estremi di Che Guevara e Padre Pio, da qualche parte tra l'assemblea permanente e la polentata di montagna. Una sintesi tanto affascinante quanto non facile.

 

Non manca il confronto con il tema della violenza, che non può essere separato dalla militarizzazione della valle e da una repressione imponente e capillare e che ha visto l'uso creativo e originale di una non-violenza attiva di lunga tradizione. Il movimento ha rigettato i tentativi della stampa di separare i “buoni” e i “cattivi”, al punto che lo slogan “siamo tutti Black bloc” è stato ironicamente rivendicato e adottato da donne, anziani e bambini.

In questo senso il protagonismo femminile e delle signore, le madame, risulta significativo anche per l'attenzione alla vita quotidiana e alla cura della relazioni per quanto riguarda il territorio, le colture, i pasti, le attese, l'accoglienza, la sollecitazione e la mobilitazione verso l'esterno in nome dell’idea del presidio continuo. Anche questo accomuna l’esperienza della Val di Susa a quella di altre disobbedienze contemporaneee segnate dalla “nostalgia del futuro” e dall’ “abitare la rottura” come quella della Puerta del Sol a Madrid e di Zuccotti Park a New York.

 

Quella della Val di Susa è una storia locale che mette in crisi le politiche nazionali: i partiti tradizionalmente vicini al movimento si sono spaccati sulla questione dell'alta velocità e hanno pagato con la sconfitta elettorale in valle il disimpegno sul tema. Con ogni probabilità questo è anche legato allo scavalcamento a sinistra che qui è avvenuto sul tema del federalismo: il che forse suggerisce quello che avrebbe potuto essere una sinistra in questo paese e che non è riuscita a essere, lasciando passioni e attenzioni per il localismo a sentimenti identitari di orientamento conservatore e sovranista. Ogni partito appare diverso se guardato dalla Valle di Susa, per cui Wu Ming 1 parla di «anomalia selvaggia» capace di «curvare lo spazio politico», dando la sensazione «che lì stesse accadendo qualcosa di assolutamente inedito nel nostro tempo, […] contemporaneamente in un passato glorioso e sull'orlo del futuro».

 

Un viaggio che non promettiamo breve è in ogni caso un’opera storiografica e letteraria. Il ruolo dello scrittore si è esercitato non solo nel montaggio dei documenti e della messa in sequenza di fatti e racconti, ma anche nella lingua che ha cucito il testo; i tempi verbali sono all'imperfetto e al trapassato prossimo – mai al passato remoto – il che produce il tono epico, del tempo del mito e dell'epopea.

Parte del libro è dedicata all'ambito mitico-simbolico della lotta, nel recupero della tradizione favolistica legata alla montagna ma anche nel modo in cui, quando si cita il progetto della Linea Ferroviaria ad Alta Capacità-Alta Velocità Torino-Lione, vengono usate metafore dell'alterità che richiamano direttamente la narrativa horror e straniante di Lovecraft… In più ci sono tante figure chiave di militanti dalla personalità straordinaria, tra tante quella “mistica” di Turi Vaccaro, l'attivista pacifista dalla spiritualità cosmica.

 

 

Vi è inoltre la forza dell’aura della lotta No Tav, l'«alone di storie e di canti che circondava ogni momento della lotta No Tav su un quarto di secolo». In molti ne sono attratti e additano il modello valsusino come riferimento attuale per le lotte sociali: sulla base di una riflessione sul mito politico e su un suo possibile uso “non tossico”, cioè tale da non rivolgersi contro le intenzioni di chi lo usa, Wu Ming1 è consapevole della necessità intrinseca al politico di creare narrazioni di legame e forme di autorappresentazione, ma in modo tale che questo non diventi estetizzazione ed evocazione di spinte irrazionali. Il punto è salvaguardare il valore di agentività del mito-racconto, in senso emancipazionista e solidaristico, attivando antidoti quali l'ironia e l'auto-decostruzione del proprio mito. Un racconto mitico che sia consapevole di essere tale nel momento in cui si racconta e sia capace di trovare un equilibrio con l'agire razionale e strategicamente orientato del progetto politico. Questo significa anche capire in che modo «si sarebbero potute riadattare le pratiche in modo che funzionassero altrove, con altre composizioni, in rapporto con le peculiarità di altri territori».

 

Un viaggio che non promettiamo breve è un libro non-facile da un punto di vista editoriale e senza compromessi, privo della dislocazione temporale da romanzo storico e del dispositivo allegorico; il che dice quanto sia più facile sentirsi impegnati guardando al '500 e al '700 (si pensi a Q e L’armata dei sonnambuli) di quanto non lo sia avvicinarsi a un conflitto vicino e presente. Questo ne fa, oltre che un oggetto culturale fondamentale per scoprire o approfondire il caso Tav, un libro amatissimo dai militanti e dalla readership più motivata, perché capace di aprire lo sguardo sulle contraddizioni del presente. Appartiene inoltre in modo eminente all’universo Wu Ming, quasi la sintesi di un cantiere di scrittura iniziato all'alba del nuovo millennio: non solo per il coinvolgimento nel movimento o per la riflessione politica che rimanda ai passaggi chiave della critica da sinistra della globalizzazione (Seattle, Bologna, Genova…).

 

Continui i rinvii interni alla tradizione ribelle ed ereticale di Q e a quella psichico-magnetica di L’armata dei sonnambuli o di L’invisibile ovunque; alla vena ecologico-indigenista di Manituana, o a quella che passa per le vette e i boschi da Point Lenana a Il sentiero degli dei o di Guerra agli umani di Wu Ming 2, per citare i più evidenti.

 

Come ha scritto Alberto Prunetti questo «non è un libro solista di un membro del collettivo Wu Ming. È ancora un libro collettivo, corale, polifonico, scritto assieme ai valligiani e ai Giapster». È come se Wu Ming 1 avesse «tra le mani un mixer e di volta in volta aprisse il microfono a diversi interlocutori». Questa è ancora «la forza del canone Wu Ming» e un modo di perseguirne lo stile politico. Un modo di comunicare che rappresenta – per citare Yves Citton – il precipitato del «bricolage eteroclito di immagini frammentarie, di metafore dubbiose, [...] di folli speranze, di racconti senza cornice e di miti interrotti che prendano insieme la consistenza di un immaginario».

 

A fronte dei fatti recenti, la ratifica del trattato tra Italia e Francia per la realizzazione dell'opera, la fine del cunicolo esplorativo della Maddalena a Chiomonte e l'invio di nuove lettere di esproprio, il 6 maggio da Bussoleno a San Didero si terrà una nuova manifestazione nazionale No Tav, alla quale è prevista una vasta partecipazione del movimento, dei sindaci, di diverse delegazioni di territori impegnati in analoghe proteste dal Salento, dall'Abruzzo, dalla Campania, annunciano qui.

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Franco Arminio, attento cantore di territori interiori fragili e da difendere, scrive che «oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza». Nel leggere queste parole il pensiero non può che andare a loro.

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