Bono Vox e la confusione tra gratis e free

18 Settembre 2014

La sera del 21 luglio del 2001 mi trovavo in macchina con alcuni compagni di università. L’autoradio era sintonizzata su Radio Popolare. Poi cambiai canale e intercettai un giornale radio che annunciava il successo del concerto degli U2 al Delle Alpi di Torino. Più di settantamila persone (“A Genova ce n’erano duecentocinquantamila, secondo la questura”, pensai in quel momento). A quel punto, un mio amico, Federico, che aveva un passato da adolescente mod ed era stato anche un fan degli U2, stizzito, spense la radio e mise su un cd dei Clash (eravamo dei cliché, senza saperlo).

 

Stavamo tornando dal G8 di Genova, mia madre sapeva che ero a casa a studiare.

Una volta arrivati a casa, a mezzanotte, malconci e intossicati, vedemmo alla tv le immagini dell’irruzione della polizia alla Diaz. E cambiando canale trovai di nuovo la notizia del concerto degli U2 a Torino.

Io avevo smesso di amarli da un po’, spensi la televisione e andai a letto. Non riuscii a dormire per tre giorni. Sentivo sempre gli elicotteri volare sopra la mia testa. Thursday Bloody Thursday. Passò.

 

Non ascoltai più gli U2. Anni dopo incontrai una ragazza, me ne innamorai e scoprii che una delle sue canzoni preferite era Party Girl degli U2, un pezzo del 1983. Era in effetti una canzone bellissima, o forse me lo fece credere lei. Poi iniziai a lavorare in una radio, pubblica. E potevo scegliere la musica. A volte mi capitò di scegliere alcuni vecchi brani degli U2, come ti capita di trovare in soffitta un vinile di tua madre di un gruppo ormai scomparso dai radar (almeno per le mie antenne). Non era come per i R.E.M., altro gruppo globale, che avevano mantenuto ai miei occhi ancora un po’ di rispetto sfornando ogni tanto ancora canzoni ben fatte. Gli U2 erano stati un grande gruppo pop negli anni ottanta e avevano fatto un tour magnifico (ZooTv Tour), ma con l’uscita di Pop nel 1997 per me erano arrivati al capolinea e da quel momento in avanti li vidi solo come dei ricconi che si gingillavano a giocare ai salvatori del mondo.

 

Se c’era una cosa che non gli perdonavo, oltre l’aver smesso di fare buoni dischi, era quel buonismo planetario alla Veltroni, che banalizzava ogni giusta causa rendendola pop invece che popolare. La sera del 21 luglio 2001 noi a Genova e gli U2 a Torino chiedevamo le stesse cose: Dropt the debt: cancella il debito. Ma Bono Vox entrava a corte, si faceva i selfie coi potenti della Terra e rischiava il Nobel per la Pace mentre noi venivamo inseguiti coi manganelli tonfa dai finanzieri. Alla fine non vincemmo né noi né Bono Vox, ma almeno Bono Vox lo invitavano a Sanremo, dal Papa, da Oprah Winfrey ed era diventato amico di tutti i doppi petto del Fondo monetario Internazionale.

 

       

 

Poi per un po’ di anni mi dimentico degli U2. Non li amo, non li odio, non li ascolto. Anche il pubblico, inizia, lentamente, a dimenticarsene. Se Joshua Tree (1987) aveva venduto 26 milioni di copie e Achtung Baby (1991) 18 milioni, All that you can’t leave behind (2000) ne aveva vendute 12 milioni e How to dismantle an atomic bomb (2004) dieci milioni, il loro ultimo disco, No line on the Horizon (2009) ne vende “solo” cinque milioni.

 

Gli U2 degli anni zero occupano ormai la parabola discendente dell’innovazione musicale. Complice la trasformazione del mercato della musica e la diminuzione globale delle vendite di dischi dovuta alla digitalizzazione della musica e la diffusione delle reti peer-to-peer, anche le vendite si flettono. Eppure gli U2, nel decennio 2000-2010, secondo una statistica pubblicata dalla rivista Billboard, sono la seconda band che ha incassato di più con una stima di 736 milioni di dollari (dietro solo ai Rolling Stones), nonché l'unica ad aver ottenuto tutti i concerti "sold-out", sempre nello stesso arco di tempo.

 

Secondo la lista "Money makers" pubblicata dalla stessa rivista Billboard, gli U2 sono anche la band che nel 2009 ha ottenuto più guadagni tra vendite dell'album e biglietti dei concerti. La band irlandese infatti, con 109 milioni di dollari guadagnati, ha quasi doppiato Bruce Springsteen. I fan non comprano i loro nuovi dischi ma vanno ai loro concerti, perché hanno ancora voglia di cantare a squarciagola sotto la pioggia With or without you e Sunday Bloody Sunday. Gli U2 hanno capito che i soldi ormai si fanno solo con i concerti (che è quello che Spotify ripete agli artisti da quando è nata), ma non potendo andare in tour a riproporre solo le vecchie canzoni sono costretti ogni tanto a inventarsi qualche nuovo brano per poter dire: Ehi, siamo di nuovo in tour col nuovo disco! e smuovere così milioni di persone nel mondo vogliose di rivederli per risuonare i loro vecchi successi.

 

Gli U2 campano di rendita, e in parte se lo meritano. Non saranno più creativi come negli anni ottanta, ma in pochi riescono ad esserlo per trent’anni di fila, quindi perdoniamoli, che c’è di male? Nulla, se non fosse che l’altro giorno, il 6 settembre, a Cupertino, California, hanno lanciato il loro nuovo disco annunciando che tutti gli utenti di iTunes potevano scaricarlo gratis, omettendo ovviamente di dire che quel disco non era gratis, ma che Apple lo aveva pagato diversi milioni di dollari per assicurarsi la possibilità di distribuirlo gratuitamente. The Verge riporta che Apple ha pagato più di 100 milioni di dollari. Sembrano tanti (il costo di Bale per il Real Madrid) eppure Apple può riguadagnarne altrettanti in pochi giorni, quindi agli occhi di Tim Cook (Ad Apple) sono soldi ben spesi in marketing, per favorire le vendite dei nuovi smartphone e dei nuovi orologi.

 

 

Non importa quanto siano stati pagati gli U2 in questa storia, importa il cambiamento di paradigma accaduto il 6 settembre a Cupertino nell’industria della musica: L’accordo di Cupertino sarà ricordato come quel giorno in cui l’economia politica della musica cambiò per sempre. Si è rotto un argine. A comprare la musica non sono più gli ascoltatori e i fan degli U2, ma una corporation globale. Coca Cola potrebbe farlo con un altro gruppo, e altri brand con altri. Il disco non è più un’interfaccia emozionale tra il musicista e l’ascoltatore. La musica, il 6 settembre, ha perso, per la seconda volta, la sua aura.

 

Fintanto che un ascoltatore doveva procacciarsi il disco del suo gruppo preferito – pagandolo o copiandolo su cassetta/cd/hard disk/chiavetta usb da un amico – la ricerca della musica era un fatto intimo e sociale al tempo stesso, era un piacere da condividere, un evento sofferto e gioioso (recarsi al negozio di dischi a dilapidare in anticipo tutta la paghetta della settimana). Anche l’atto del piratare un disco presupponeva un dispiegamento di energie, tempo e dedizione notevole: non potevi permetterti economicamente tutta la musica che amavi e allora ti ingegnavi per ascoltare il nuovo disco dei Radiohead, scaricandolo da eMule o chiedendolo ad amici. Paradossalmente, nell’epoca della riproducibilità digitale, più amavi un gruppo e più lo piratavi.

 

Ma ora, dopo il 6 settembre, gli U2 hanno detto ai giovani appassionati di musica di tutto il mondo: non c’è bisogno di procacciarti la musica, non c’è bisogno di scambiartela con gli amici creando legami sociali, non c’è bisogno di pagarla né di piratarla. Basta cliccare qui su iTunes, scaricare passivamente (anzi, il download è addirittura automatico, e molti utenti non l’hanno presa bene) e startene seduto ad ascoltare. Il 6 settembre segna il passaggio da un’economia musicale basata sul modello “cacciatore-raccoglitore” ad un’economia musicale neolitica e “sedentaria”, dove l’utente apre il rubinetto e gli esce automaticamente la musica, in streaming o download.

 

Questa economia aumenta esponenzialmente la riproducibilità digitale dell’opera d’arte, mentre il valore (quasi sacro) dell’opera in sé tende asintoticamente a zero. Maggiore la riproducibilità, minore il valore. Era questo il senso dell’idea della perdita dell’aura dell’opera d’arte in Walter Benjamin. Ma Benjamin sperava che almeno quella perdita d’aura avrebbe permesso di democratizzare l’opera d’arte. Ora invece Apple non fa che rendere l’opera d’arte una merce pura, senza alcun valore di scambio. La musica non ha più valore, viene allegata gratis all’iscrizione ad iTunes o all’acquisto di un iPhone.

 

 

Il possesso del loro ultimo disco non è più nelle mani degli ascoltatori che lo hanno acquistato ma nelle mani di Apple, che fornisce in comodato d’uso gratuito la musica degli U2 ai suoi utenti. La musica è diventata acqua che esce gratis dal rubinetto di Apple. Proprio come aveva previsto chi aveva pronunciato questa frase nel 2009: “Music has become tap water, a utility, where for me it’s a sacred thing, so I’m a little offended.” (La musica è diventata acqua del rubinetto, un’utility, mentre per me è una cosa sacra e quindi mi sento un po’ offeso”).

E indovinate chi l’aveva detta, questa frase? Sì, lui, Bono Vox.

 

Gli U2 hanno assestato un colpo durissimo all’industria musicale, dimostrando che la copia di un album non vale niente e lo hanno fatto perché sapevano che i loro dischi ultimamente non vendevano molto e che i veri soldi li avrebbero fatti con i concerti. Senza volerlo hanno dato ragione ai pirati e ai siti di streaming, che diffondendo gratuitamente la musica agli utenti, sostengono di aiutare i musicisti a diffondere la propria musica e di conseguenza ad aumentare le vendite dei biglietti dei concerti.

 

Bono Vox ha parlato sul palco di Cupertino di “free music” ma dovremmo ricordargli che “gratis” non vuol dire “free”. Lui e Tim Cook hanno offerto una birra gratis agli utenti di iTunes nella speranza di farli ubriacare più tardi a spese proprie. Ma come ci ricorda sempre Richard Stallman, dovremmo pensare alla parola free “as in free speech” e non come a “free as in free beer”: un album a costo zero (gratis) non è la stessa cosa di un album “libero”, senza o quasi limitazioni d’uso, che possiamo prestare a un amico, remixare e copiare per usi personali e non profit e condividere all’infinito con altri, per esprimere la nostra identità (“free speech” vuol dire anche questo) attraverso il medium musica, e non attraverso il brand U2.

 

(Ora che ho riletto tutto l’articolo ho paura di guardarmi nello specchio e vedere il fantasma di Adorno che sorride compiaciuto dietro di me.)

 

Leggi anche:

Enrico Manera, Bono Vox, nel nome del potere

Tiziano Bonini, Non sentirsi in colpa con Spotify

 

Tiziano Bonini ha scritto per Doppiozero Books:

Hipster (Doppiozero eboook, miti d'oggi)

 

Chimica della radio (Doppiozero ebook, saggi)

 

 

 

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