Evviva il fesso!

28 Marzo 2013

Don Pietrino è una minuscola figura del Gattopardo. Pochi lettori, se ne può star certi, serbano memoria del suo nome e della sua esistenza. È il vecchissimo “erbuario” di San Cono che chiede a Padre Pirrone come ha reagito il principe Fabrizio alla “Rivoluzione”. Quando il Gesuita gli risponde che, a parere del principe, “non c'è stata nessuna rivoluzione e che tutto continuerà come prima”, sbotta: “Evviva il fesso! E a te non pare una rivoluzione che il Sindaco mi vuol fare pagare per le erbe create da Dio e che io stesso raccolgo? O ti sei guastato la testa anche tu?”.

 

Alla base della convinzione di Fabrizio c'è la famosa sortita del nipote Tancredi: “Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi”. Considerata da subito emblema ideologico del romanzo, essa ha fornito il pretesto a un cliché. Ne è nato, or sono cinquanta anni, anche un nuovo nome comune “gattopardo”, riferito a un esemplare non della fauna silvestre ma di quella politica (chi promuove, si dice, cambiamenti destinati a essere solo apparenti). Da allora, tale nome non manca mai di ricorrere nei discorsi di intellettuali e gente di mondo. Mai nessuno però cui sia venuto in mente di ricordare, in proposito, il giudizio di don Pietrino.

   

Così non fosse stato, a dire il vero, ci sarebbe da stupirsi. Già nella finzione del romanzo, di quanto dice don Pietrino, vecchio, povero e ignorante, il colto Gesuita, l'intellettuale, con supponente condiscendenza pensa “che il mondo doveva sembrare un gran rompicapo a chi non conoscesse matematiche né teologia”.

 

Le cose umane sono invece quasi sempre semplici. L'avrebbe scritto anni dopo Leonardo Sciascia nel suo Candido. Tanto più semplici in politica. Quando Padre Pirrone gli prospetta il parere del principe, in apparenza così sofisticato, don Pietrino, il libero raccoglitore di semplici, cioè delle piante medicinali note a un'antica saggezza, va crudamente col pensiero alla novità dei balzelli di cui lui, in quanto poveraccio, sarà vittima. Da lui viene di conseguenza l'ironico controcanto dell'esperienza degli umili. Ma che acutezza politica e che sofisticazione! A raccontarsi che i cambiamenti sono apparenti, Fabrizio Corbera, principe di Salina, è solo un “fesso”.

 

Messi sull'avviso da don Pietrino, ci si rende conto facilmente che solo un “fesso” poteva infatti bersi l'interessata panzana propinata a Fabrizio dal furbo Tancredi. Al cambiamento, e sostanziale, Tancredi ci crede tanto da tentare, e con successo, di stare sulla sua onda. Fiutata la direzione del vento, è corso ad arruolarsi tra i Garibaldini, procurandosi anche una falsa ferita che vale come un titolo accademico. Tancredi è senza dubbio un ottimo italiano: uno dei meritevoli, dei migliori.

 

Che don Pietrino sia una figurina minuscola del Gattopardo è fuor di discussione. Altra cosa è però ritenerla una figura irrilevante. Lampedusa sosteneva del resto che solo i dettagli svelano la verità, naturalmente a chi sa coglierli. Sarà certamente così per il suo romanzo, che andrebbe capito (o forse basterebbe solo letto?) anche per orientarsi  negli apparenti labirinti del gattopardismo italiano dell'ultimo cinquantennio. Categoria politica, il gattopardismo, che (se ci si pensa un momento) senza il ricorrente andazzo del cambiamento e della sua ideologizzazione non potrebbe nemmeno darsi. E darsi sempre a danno dei semplici, come effetto della convergenza di pigrizia dei “fessi” e interessi dei furbi.

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