Una scrittrice cinese tra le Alpi / Lo yin e lo yang di Heidi

21 Giugno 2016

Sono cresciuta nella Cina degli anni settanta e ottanta, in una famiglia comunista: i libri per bambini neanche sapevo cosa fossero. A quel tempo in Cina le favole non erano viste di buon occhio. Piuttosto ci venivano propinate le gesta eroiche dei comunisti rivoluzionari. A scuola, un bimbo di sette anni imparava a difendere il paese dagli imperialisti americani. La mia prima storia per bambini l’ho letta a sedici anni – era La sirenetta di Hans Christian Andersen. Vivevo ancora nel sud della Cina con i miei genitori comunisti. Quella storia bellissima mi fece un grande effetto. Me ne innamorai. E mi spezzò il cuore quando la sirenetta si tagliò la coda per diventare umana e fare innamorare il principe. Quella storia mi mise di fronte a un mondo radicalmente diverso – un mondo che il governo cinese non voleva mostrare. Un mondo seducente quanto crudele e doloroso. Non bastava che la sirenetta danzasse per il principe sui suoi piedini sanguinanti: lui l’abbandonava perfino, per sposarne un’altra, una principessa vera. Arrivata alla fine, quando la sirenetta muore e il suo corpo si dissolve in schiuma, ero in lacrime. Mi ricordo che camminavo verso la scuola costeggiando i campi di colza in fiore imbevuta di una profonda malinconia. Pensavo: l’amore è brutale, diventare adulti è brutale. Non c’era da stupirsi se i genitori e la scuola continuavano a ripeterci di non innamorarci, e di certo non finché eravamo ancora giovani, perché ne sarebbe andato di mezzo il nostro futuro. 

 

Ovviamente a quel tempo ero fortemente influenzata dall’ideologia comunista: che cos’era poi l’amore individuale, quando c’era un amore molto più grande e collettivo, l’amore per il proprio paese e per la propria gente?

Sono passati gli anni. Ho lasciato il mio piccolo villaggio cinese per andare a studiare arte a Pechino. Poi ho lasciato la Cina per l’Occidente. Da quando sono partita dalla vaporosa Cina del sud ho vissuto in tanti paesi, scrivendo romanzi e facendo film. Ma i libri per bambini hanno continuato a non interessarmi – ero convinta che fosse una fase sorpassata da tempo, che apparteneva a un passato mai accaduto. Poi all’improvviso mi sono trovata a compiere i quarant’anni, un’età che si suppone di grandi cambiamenti per una donna. È a quel punto che mi sono resa conto di non essere più una giovane punk comunista. E poi ancora, poco dopo i quaranta, a Londra, ecco che partorisco la mia prima figlia. Ha dell’incredibile! Mi sono detta: sei stata una militante femminista per tanti anni, e ora diventi mamma di una bambina! Con il mio bebè nel marsupio, sono entrata in una libreria a comprare un po’ di libri illustrati, tra cui una copia di Heidi, che non avevo mai letto. E un’altra coincidenza: il giorno dopo aver comprato quella bella edizione illustrata di Heidi ho ricevuto una lettera dalla Literaturhaus di Zurigo, che mi invitava per una residenza di sei mesi. 

 

Ho accettato l’invito con gioia. Ho sfogliato il nuovissimo libro di Heidi e mi sono detta: è perfetto. Adesso sarei stata in grado di capire com’era il mondo di Heidi – la Svizzera e le Alpi, l’infanzia e la maternità! Avrei iniziato a imparare cose nuove, come un bebè, come mia figlia Moon. 

Ed eccomi lì. Portando con me la mia piccola e il mio partner, e con il libro di Heidi in valigia, ho lasciato Londra per Zurigo. La pace e la bellezza di Zurigo ci hanno affascinati subito. Casa nostra era a due passi dallo Zürichberg, una collina coperta da una foresta di pini: un ambiente molto diverso da quello delle città in cui ho vissuto, Londra, Pechino. E di sera, nel nostro appartamento di Hegibachstrasse, ho cominciato a leggere Heidi a mia figlia:

«Da Maienfeld, un antico e vivace villaggio, si snoda un sentiero che, serpeggiando attraverso pascoli verdi e ombreggiati, giunge ai piedi delle montagne…»

 

Noi cinesi, quando pensiamo alla Svizzera, pensiamo alla società cinese al contrario: apolitica, democratica, plurilingue, montagne immacolate e fiumi limpidi, la più alta qualità di vita, ecc. La Cina è l’estremo opposto. Da quando siamo arrivati in Svizzera, l’abbiamo girata in lungo e in largo, dalla parte tedesca a quella francese. La mia impressione è che la Svizzera sia uno dei paesi più belli al mondo. Qui i soldi non hanno rovinato la natura. Al contrario, qui i soldi hanno protetto la natura – una cosa che la Cina al momento è incapace di fare. Venendo da una cultura monolingue, ho trovato affascinante anche un sistema quadrilingue in un unico paese. Sì, l’erba del vicino è sempre più verde. E non mi ero affatto scontrata con gli aspetti negativi degli svizzeri, che stando ai cliché sarebbero introversi, conservatori, e forse un po’ noiosi. E poi, mi dicevo, se anche ci fosse del vero in quei cliché, da che mondo è mondo, chi ha mai sentito parlare di montanari svelti o moderni? Gli abitanti dell’Himalaya forse, o quelli delle Ande? Gli svizzeri che ho incontrato (sceneggiatori, scienziati, psicologi e architetti) sono brillanti e autocritici. Sembrano essere molto consapevoli della loro condizione privilegiata, e magari è per questo che assumono toni un po’ apologetici quando si trovano in compagnia di stranieri. Di banchieri finora non ne ho incontrati, forse se ne sono andati tutti a Londra o a New York per affari? Durante la mia residenza abbiamo visitato Berna, Basilea, Lucerna, Losanna e Ginevra. In una camera d’hotel ad alta quota ho contemplato la vista grandiosa sulla natura circostante, e ho pensato ai tempi di Jean-Jacques Rousseau, Thomas Mann e Hermann Hesse. Le loro speculazioni filosofiche devono essere state influenzate da quelle vette coperte di neve e quei fiumi dall’acqua veloce. Come dicono i cinesi: gli uomini gentili amano le montagne, gli uomini saggi preferiscono l’acqua. Gli uomini cercano l’armonia che fa per loro.

 

 

 

Dopo aver letto Heidi a mia figlia, ho guardato due versioni cinematografiche tratte dal libro. Mi sono immaginata di crescere orfana nel bel mezzo delle Alpi. Ma non riuscivo a figurarmi felice su quelle montagne – avrei avuto paura del nonno irascibile, e mi sarei sicuramente sentita molto sola giorno dopo giorno senza nessuno attorno. Ma forse questo dipende dal fatto di non essere mai stata una bimba svizzera. Magari una bimba svizzera non associa la quiete alla solitudine, per il semplice fatto che non è cresciuta in un contesto urbano altamente popolato, frenetico e in costante trasformazione. Poi ho pensato al mio paese d’adozione dopo la Cina – la Gran Bretagna. Un paese in cui bambini proletari si azzuffano nelle strade bagnate di pioggia e ingombre di rifiuti. Un orfano inglese se la passa senz’altro diversamente da un orfano svizzero. Nell’Inghilterra urbana e industriale, Oliver Twist doveva lavorare sodo e perfino rubare per avere qualcosa da mettere sotto i denti. Né fiori né animaletti carini, in quelle grigie e inquinate distese industriali. Solo mendicanti, capitalisti e poliziotti. 

 

A Zurigo quasi ogni giorno camminavamo fino al lago e lì facevamo il bagno. Gli sport non mi hanno mai interessata. Ma forse perché ero ben consapevole che, se non fosse stato per l’invito della Literaturhaus, non sarei mai stata in grado di vivere in una città così cara, ho deciso di godermi quel che aveva da offrire. Passeggiando insieme a gente del posto ho scoperto che Vladimir Lenin è stato in esilio a Zurigo durante la Prima guerra mondiale, prima di dare il via alla Rivoluzione d’ottobre. Camminando per i vicoli acciottolati della vecchia Zurigo mi immaginavo il famoso rivoluzionario russo intento a scrivere la sua Tesi di aprile, il piano per il futuro Partito bolscevico e un nuovo governo. Me lo vedevo in uno di quei caffè sfavillanti, silenziosi ed eleganti, privi di qualsiasi elemento politicizzante – un’atmosfera tutta diversa da quella della Russia di allora. Ed eccomi lì, in un caffè dalle luci soffuse nel centro di Zurigo. Stavo scrivendo un libro di memorie sulla mia infanzia povera nella Cina rurale, sotto il giogo del dogma comunista. 

 

 

 

I tempi di Heidi sono passati. La Heidi di oggi verrebbe mandata a studiare in una scuola del centro (probabilmente con il cinese come seconda lingua). Ha dell’incredibile, pensare che solo 150 anni fa la gran parte delle persone viveva ancora in contesti rurali, spostandosi realmente a piedi o con i loro carri. A partire dai primi voli commerciali, nel 1914 negli Stati Uniti, il mondo è radicalmente cambiato. Oggi viviamo in un pianeta diverso: rapido, urbano, tecnologico e globale. 

Il giorno prima di lasciare la Svizzera, abbiamo fatto un’ultima passeggiata sulle Alpi insieme ad alcuni amici svizzeri. A un certo punto mi sono ritrovata senza più fiato, con la neve alle ginocchia, su un pizzo di 3000 metri d’altitudine. Eravamo sul Titlis, vicino a Engelberg, e la vista era spettacolare quanto pregna di solitudine. Uno scenario quasi troppo spirituale per una donna cinese come me, cresciuta nelle risaie torride e fangose, brulicanti di zanzare e attività umane. Guardavo gli spuntoni di roccia e il pendio incontaminato sottostante, chiedendomi se sarei sopravvissuta su una montagna svizzera – troncando ogni legame con la cultura in cui sono cresciuta. Poi ho sentito una raffica di scatti fotografici. Mi sono voltata nell’aria fine, per scoprire che ero circondata da un esercito di turisti cinesi. Ma nessuno di loro era salito fin lì con le proprie gambe.

 

Avevano preso la teleferica. Alcuni portavano perfino le infradito! Sono rimasti sulla vetta approssimativamente tra gli otto e i dieci minuti, giusto il tempo per scattare qualche foto. Poi sono scomparsi in gruppo, di nuovo con la teleferica. Probabilmente li aspettava un pranzo cinese nel ristorante cinese del luogo – il “Moonrise” di Engelberg, dove ero stata anch’io. La vista dei miei compatrioti che abbandonano la montagna per dei noodles al maiale piccante mi ha dissuasa dall’intavolare una conversazione spirituale con la natura e la neve silente. Volevo tornarmene sulla terra. Scendendo verso il villaggio, in testa mi risuonavano delle frasi di Heidi:

«Heidi iniziò a salire felice su per la montagna. Durante la notte il vento aveva spazzato via le nuvole. Il cielo era di un azzurro intenso e i fiori, aprendo i loro piccoli boccioli, sembravano sorridere. Heidi saltellava e lanciava gridolini di gioia…»

Scendevamo, e mi chiedevo: dedichiamo abbastanza tempo a osservare quel che ci sta attorno su questa terra? Non siamo già pesantemente in debito nei confronti della natura, e la nostra vita moderna ci porta ancora più lontani dalla fonte di tutte le cose? Noi, i consumatori, la natura la consumiamo, e la natura, lei, né ci vuole né ha bisogno di noi. Sarà un mondo senza più Heidi capaci di gridare di gioia di fronte allo spettacolo della natura.

 

 

 

Anticipazione da “Viceversa Letteratura”, rivista svizzera di scambi letterari, numero 10, anno 2016, Edizioni Casagrande.

 

Traduzione dall’inglese di Vanni Bianconi.

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