Lampade e lampadari / A proposito di modernità. Angelo Lelii

15 Marzo 2016

Il mio primo incontro con il design avvenne a metà degli Anni Sessanta. Avevo allora solo una decina d'anni ma ero già molto curiosa. Un giorno, il fratello di mio padre che amavo seguire nelle sue peregrinazioni urbane e montane mi portò a Monza, in una fabbrica di lampade molto in voga fra gli addetti ai lavori, l'Arredoluce. Fu lì che conobbi Angelo Lelii, un uomo estroso e razionale, così come razionale e beherensiana era la sua fabbrica: luce zenitale e ampi spazi funzionali.

A lui si debbono alcuni tra i più  begli apparecchi per illuminazione del design italiano, sebbene siano poco conosciuti, come Triennale (1947), una lampada da terra a tre braccia orientabili, in alluminio laccato nei tre colori primari (quasi un omaggio a Mondrian se non fosse per le diagonali) e Stella, la splendente plafoniera a raggiera con molteplici punti luce (che lo scorso anno, in un’asta a Parigi ha raggiunto la quotazione di cinquantamila euro!)

 

Angelo Lelii, Lampada Triennale (1947) e lampadario Stella (1950).

 

Obliato ancor oggi dalla critica ufficiale che gli ha sempre preferito il suo antagonista (tipo Coppi-Bartali), il milanese Gino Sarfatti di Arteluce Angelo Lelii deve la sua riscoperta in anni recenti non già al mondo della cultura bensì  a quello delle aste, in particolare oltralpine.  
Su Lelii si sa ben poco. Persino del suo nome circolano versioni ortografiche differenti: Lelli? Lelii? Quella giusta è la seconda, come documenta la sua firma. 

 

 

Con il sogno di progettare e realizzare lampade e lampadari tecnologicamente avanzati, dal design moderno e curati nei dettagli, nel 1943, il Lelii apre la prima sede del suo laboratorio in un piccolo scantinato a Monza, città al cui ISIA aveva forse studiato e dove continuerà a lavorare fino alla morte.


Dopo la forzata interruzione del periodo bellico, nel 1946 su “I Quaderni di Domus” compare la sua prima pubblicità che presenta la “nuova lampada Tris”, in ottone e ghisa, orientabile con tre diversi snodi 

 

Angelo Lelii, Lampada Tris (1946) e lampada Cobra (1965).

 

L'anno successivo la ditta monzese, che intanto aveva assunto il nome di Arredoluce, partecipa all'VIII Triennale (quella di Piero Bottoni e del suo QT8) con la lampada (mod.  12128) che sarà conosciuta nel mondo con lo stesso nome della rassegna milanese.

 

Negli anni Cinquanta il Lelii chiamerà a collaborare al suo progetto di lampade e lampadari moderni, i designers più autorevoli del momento, quali: Gio Ponti, Nanda Vigo, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Mario Tedeschi e Ettore Sottsass. Nello stesso decennio inizia ad esportare i suoi prodotti negli Stati Uniti attraverso la casa di distribuzione da lui fondata, la Prescolight, garantendosi così un importante bacino di mercato. Al ritorno da uno di suoi numerosi viaggi oltreoceano porta con sé, tra i primi in Italia, la lampadina alogena per la quale crea un trasformatore  che verrà utilizzato ancora per molti anni a venire. In quell’azienda, anche le maestranze collaboravano con i designers e i tecnici alla messa a punto dei progetti; ad esempio, l'inconfondibile interruttore Arredoluce è frutto dell'intuizione di un operaio. 

 

A connotare e a rendere inconfondibili gli apparecchi di Arredoluce disegnati dal Lelii, accanto alla qualità dei materiali impiegati e alla precisione esecutiva (gli ottoni venivano torniti dal pieno, le saldature erano talmente perfette da apparire invisibili) erano il carattere scultoreo delle loro forme e i meccanismi che consentivano loro una dinamica versatilità, finendo per apparentarli più alla ricerca artistica condotta in quegli stessi anni dall’Arte Cinetica, ai “Mobiles” di Alexander Calder, o alle forme informi di Arp, o ancora alle geometrie di Naum Gabo, piuttosto che ai prodotti industriali coevi. 

 

Nel 1965 Angelo Lelii realizza la lampada Cobra (mod. 12919), dopo averla rapidamente schizzata  sul tovagliolo di carta di un ristorante. La Cobra, una vera e propria scultura, per molto tempo erroneamente attribuita a Gio Ponti, è una delle lampade più famose di questo singolare industriale-designer, ed è tra le prime in cui sia stata impiegata la bassa tensione, con il trasformatore occultato nella base. Nella versione da tavolo, una sfera calamitata, una sorta di globo oculare, consente di orientare il fascio di luce con estrema precisione.  

 

Un’altra lampada assimilabile a una scultura luminosa è la President del 1970: un parallelepipedo dalle facce maggiori quadrate in acciaio inox, con 36 elementi cilindrici orientati verso il basso e illuminati alle estremità. Anche qui le affinità con le ricerche della contemporanea Optical Art sono piuttosto evidenti. Osservandola come non pensare ai “carrés” di Victor Vasarely.

 

Angelo Lelii, Lampada President (1970).

 

L’inventario delle lampade del geniale Angelo Lelii non è mai stato redatto e ancora nessuno ha scritto un libro su di lui. Però, di asta in asta, vengono alla luce sempre nuovi pezzi, l’ultimo è  comparso a Ginevra da Wannenes nel 2010, il prossimo sarà presentato a Parigi da Piasa questa primavera. 

Ed è proprio quello che avevamo acquistato in quel lontano giorno io e mio zio.

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