Speciale

How to live together? / Christian Nyampeta al Camden Arts Centre

3 Novembre 2017

How to live together?  è una domanda ricorrente nella ricerca di Christian Nyampeta le cui opere si configurano come momenti di riflessione, di dialogo e condivisione. Nato in Ruanda nel 1981, emigrato nei Paesi Bassi nel 1999, Nyampeta, che oggi vive e lavora a Londra, interroga il significato più profondo d’identità personale e collettiva, di cultura, e quindi di lingua, approfondendo temi come civiltà, migrazione e post-colonialismo. Armonia e ritmo sono nozioni fondamentali che l’artista analizza attraverso la filosofia africana contemporanea e l’antico ascetismo occidentale, in particolare il modello idiorritmico di vita monastica. Idiota dal greco significa individuo privato e congiunge i concetti d’identità, idioma e idea. Ritmo scandisce l’esistenza e la vita comune in un determinato spazio e tempo; per Nyampeta ritmo è invenzione, genesi, generosità di forma di vita. 

 

 

Ritornando nel suo paese di origine, l’artista ha osservato come molte parole presenti in Olandese e in Inglese non siano traducibili in Kinyarwanda, il sistema linguistico del Ruanda, e viceversa; e a questo proposito ha iniziato un dialogo con il filosofo ruandese Isaïe Nzeyimana (Butare, 1964). 

A causa della dominazione coloniale, il pensiero occidentale fu ritenuto a lungo l’unica forma culturale sul territorio. I preti missionari sono i primi ad avvicinarsi allo studio della cultura africana con l’intento di comprendere il pensiero della popolazione colonizzata. Nel 1952 il Francescano belga Placide Tempels (Berlaar, Belgio 1906-1977) pubblica La Philosophie Bantue, un libro controverso per alcune conclusioni legate a una visione colonizzatrice, ma che dimostra un’attitudine rivoluzionaria all’epoca. Diventa centrale il ruolo di Alexis Kagame (Kiyanza 1912- Nairobi 1981) filosofo, storico, linguista e poeta che prosegue oltre la ricerca di Tempels con La Philosophie Bantu-Rwandaise de l'Être, tesi di dottorato presso la Pontificia Università Gregoriana, pubblicata nel 1956, anno in cui il Ruanda è ancora una colonia belga. Nonostante alcuni passaggi restino controversi, il libro analizza il Kinyarwanda, dimostrando come la struttura delle lingue Bantu costituisca un’ontologia africana. In seguito il filosofo ruandese Maniragaba Balibusta con Les Perspectives de la pensée philosophique Bantu-Rwandaise après Alexis Kagame (1985) compie uno studio programmatico sul testo insistendo sul sistema linguistico africano come pensiero esistenziale, culturale ed etico. 

 

Per questo Nyampeta individua nel Kynyarwanda un esempio di “come vivere assieme” e poiché ancora oggi non esiste una traduzione in inglese del libro di Kagame, decide di intraprendere questa impresa durante la sua residenza presso il Camden Arts Centre creando un gruppo di lavoro di traduzione da Maggio a Settembre 2017. 

 

Words after the World è il titolo della mostra, visibile fino al 14 gennaio 2018, concepita come un tavolo aperto di discussione, uno scriptorium, per il proseguimento dello studio e della traduzione intorno ai testi di Kagame e Balibusta. Attraverso l’analisi linguistica, il progetto riflette sullo stare insieme come possibilità di produzione e condivisione di senso e di conoscenza. L’artista risale al significato etimologico e religioso di traduzione come traslazione delle reliquie di un santo da un luogo a un altro, quindi come trasporto, attraversamento, rimozione, movimento che implica una migrazione temporale e geografica, in questo caso passando dal Francese all’Inglese attraverso il Kinyarwanda. 

 

 

La sua ricerca è argomentata in alcuni materiali di lettura che il pubblico può consultare all’interno della sala espositiva progettata come un ambiente di condivisione da abitare. “Hosting Structures” strutture ospitanti tra cui due grandi tavoli e sgabelli realizzati con pannelli colorati di fibra di legno, sono predisposti per i visitatori invitati a sostare, a sedersi, a pensare, a lavorare. Uno spazio utopico di apprendimento dove persone con abitudini, provenienze culturali e credi diversi, possono fermarsi le une accanto alle altre, liberando il linguaggio da restrizioni per raggiungere un senso di consapevolezza e ospitalità. 

 

La mostra è scandita dal ritmo visivo e sonoro del video Words after the World (2017), girato in parte nel 2015 a Nyanza in Ruanda attraverso una serie di laboratori con gli studenti della Igihozo St Peter’s Secondar School che hanno contribuito alla scrittura della sceneggiatura e partecipato alle riprese del film. Una tenda, antistante alla proiezione, si configura come una mappa, dove sono cuciti insieme disegni, fotografie, fermo-immagini del video, pagine dei testi di riferimento del progetto, note, appunti di traduzione. Come un contenitore, questo tessuto, simbolicamente riunisce la stratificazione di significati, di forme di pensiero, di linguaggi espressivi che l’opera di Nyampeta racchiude. Nero, arancione, marrone, grigio, rosso e viola, sono i colori dominanti che ricorrono anche nei mobili e nei pannelli a muro dove sono intagliati bozzetti delle scene del video. 

 

 

Il film, che si dispiega in una narrazione in bilico tra realtà e finzione, racconta la storia di uno scrittore che vive in un’epoca in cui l’uso di molte parole è soggetto a copyright e si trova costretto a escogitare nuovi modi per completare il suo romanzo. Come si può produrre significato quando la sua espressione è negata? Nyampeta s’interroga sulla necessità costante dell’uomo di ricercare un senso nel tempo passato e presente e di attribuire nuovi nomi alle cose che ci circondano e che viviamo, come banalmente alle strade. Chi ha e dove risiede quest’autorità? 

La vicenda dello scrittore è interpolata con scene del suo romanzo che parla di rivolta e di vivere assieme attraverso gli studenti di un collegio, metafora di una comunità politica. Un giorno la squadra di atletica diserta le lezioni dell’allenatore; le incomprensioni si susseguono e la sommossa si estende all’intera scuola fino a coinvolgere anche gli abitanti del villaggio. La voce fuoricampo dello scrittore, lasciando in sospeso la conclusione, s’interroga sull’invasione, su cosa abbia rappresentato, come si sia risolta e come sia stata raccontata in seguito. Nyampeta vorrebbe che gli studenti fossero considerati simbolicamente come portatori di cultura, e attraverso la sua opera chiede: “può la cultura scaturire da un momento di crisi politica?”, “Può nascere evoluzione dalla cultura?”. 

 

Denis Ferreira da Silva professore e direttore Direttore dell’Istituto di Giustizia Sociale della University of British Columbia in Canada propone una risposta agli interrogativi sollevati dall’artista e in particolare a How to live together? individuando la parola togetherward: “insieme verso”. Da Silva, nel suo testo di accompagnamento alla mostra, interpreta la domanda sottesa alla ricerca di Nyampeta come un invito a vivere assieme verso l’un l’altro, a concepire le azioni quotidiane - ascoltare la radio, parlare, lavorare – come esperienze collettive. Insieme verso - nella creazione, nella conversazione, nella traduzione – indica un’armonia poetica e polifonica, la capacità di vedere oltre le divisioni economiche, sessuali, raziali, linguistiche prodotte dal capitalismo globale (raziale e coloniale); in assonanza con il termine Ubuntu che in lingua Bantu significa “generosità”.

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