Dall’Unité d’Habitation al Market Hall

30 Luglio 2015

Link è la parola chiave del nuovo millennio: una sorta di bypass per rompere il limite di stretta definizione degli eventi prefigurandone forme di socializzazione in progress. Essere collegati per entrare in contatto con il resto del mondo, per sentirsi uniti nella condivisione degli innumerevoli servizi oggi offerti dalla Rete. Al confronto, la città (spazio di condivisione per eccellenza) perde terreno (i disservizi sono all’ordine del giorno) e continua ad essere luogo cult per il perpetuarsi di forme di segregazione, di esclusione, che scoraggiano e rendono impotenti.

 

Se ora si esamina la storia della principale protagonista della città, ossia la residenza collettiva (in particolare quella destinata alle classi meno abbienti che corona le periferie urbane), è facile accorgersi di come, in Italia soprattutto, sia sempre rimasta in ombra rispetto al tema della integrazione funzionale a qualsiasi livello (tralasciando le funzioni extra di cui ora tratterò), e negli anni della ricostruzione post-bellica è persino diventata un caso di cronaca: interi quartieri dormitorio sono nati alla periferia della città: uomini e donne armati di buona volontà hanno finito per utilizzare questo genere di abitazioni (isolate da qualsiasi contesto, prive delle infrastrutture più elementari) come container dove andare a dormire, evitando il più possibile la lunga permanenza per non rischiare di cadere nella più totale disperazione. Tutto è meglio rispetto ai quartieri dormitorio: il bar all’angolo, la panchina sull’aiola del guard rail, persino la fermata di un autobus. Tutto è meglio per evitare l’isolamento, la segregazione, la mancanza di connessioni significative con il resto del racconto urbano.

 

Più in generale, la pura funzione residenziale, se considerata nella propria singolarità, finisce per creare isolamento. La parola “collettività” di per sé rimanda a un concetto in cui una folta schiera di individui condivide qualcosa. A questo proposito l’Unité d’Habitation (1947-1952) di Le Corbusier[1] resta un progetto esemplare di residenza collettiva economica ideata proprio sul tema del link ora detto, in particolare del collegamento tra funzioni residenziali ed extra-residenziali, della possibilità di sentirsi a casa e allo stesso tempo fuori casa. Le Corbusier, è noto, era attratto dal senso di autosufficienza e di praticità d’uso dei transatlantici, dove soggiornare poteva diventare un’esperienza unica poiché tutto veniva compattato ed organizzato per facilitare gli spostamenti e gli incontri, moltiplicare le viste, invitare al relax…

 

L’Unité d’Habitation era una fetta di piccolo grande mondo che piantava radici e, in perfetta autonomia, prefigurava una vita protetta ma allo stesso fortemente socializzante. E non è forse questa la sensazione di noi navigatori esperti quando utilizziamo Internet? Le Corbusier, con grande acume, aveva colto un tema chiave della contemporaneità, ossia la possibilità di avere allo stesso tempo privacy e condivisione di mondi altri, appartenenti all’esterno, alla vita effervescente della città.

 

Unité d'Habitation, Marsiglia, progetto di Le Corbusier, 1952. Foto tratta da Fondation Le Corbusier

 

L’edificio, collocato alla periferia di Marsiglia, era costituito da 18 piani di appartamenti e 337 unità composte da 23 diverse tipologie, dall’appartamento per i single a quello per una famiglia con otto e più figli, per un totale di 1500/1700 inquilini. Gli appartamenti, pur nelle modeste dimensioni, sono iper confortevoli e rifiniti nei minimi dettagli (gli arredi furono disegnati da Charlotte Perriand). Ma il vero confort è avere tutto a portato di mano grazie alla creazione di una strada pubblica che attraversa l’edificio all’altezza del settimo ed ottavo piano, attrezzata di tutti i principali servizi che una città può offrire: un centro commerciale con pescheria, macelleria, latteria, fruttivendolo, panetteria, uno spaccio di liquori e una drogheria. C’erano anche una lavanderia, la tintoria, una farmacia, un barbiere, un ufficio postale, un hotel, uno snack bar, un ristorante, un servizio di catering… Mentre il tetto giardino (cavallo di battaglia di Le Corbusier) è dotato di piscina, campo giochi per i bambini frequentanti l’asilo (ospitato al diciottesimo piano dell’edificio), palestra, spazio all’aperto per l’atletica, pista di 300 metri per la corsa e solarium con annesso snack bar: un luogo da vivere per la comunità, rubato alla città e trasferito direttamente sulla propria abitazione che, in questo modo, non apparirà più isolata dal resto. Anche nell’ipotesi in cui ciechi amministratori avessero abbandonato l’edificio al proprio destino privandolo dei servizi più elementari, lei, l’unità, sarebbe stata dotata di tutto il necessario per sopravvivere.

 

Oggi la risposta data da Le Corbusier, a distanza di decenni, ha un altissimo grado di attualità, soprattutto se raffrontata con la crescita smisurata delle nostre città dove orientarsi e vivere gli spazi pubblici (e quindi utilizzare i servizi pubblici) è sempre più faticoso e poco invitante. In merito alle funzioni extra che l’Unité offriva, solo per fare un esempio, si pensi a come oggi si stiano moltiplicando i cosiddetti “asili condominiali” per ovviare alla scomodità dei quotidiani spostamenti dei bambini dalla propria abitazione verso gli asili sparsi in città. Mentre il servizio di catering (sogno di Le Corbusier) trova eco, solo per fare un esempio, nel moltiplicarsi dei cosiddetti servizi di “pronto pizza” utilizzati dai residenti nelle quattro mura di casa propria…

 

Appare chiaro che Le Corbusier aveva captato con grande anticipo quelli che sarebbero diventati i punti deboli dell’abitare collettivo, ossia la crescita smisurata e disorientante delle metropoli contemporanee così da scoraggiare le forme più note di condivisione degli spazi pubblici. Non a caso oggi gli shopping mall sono “di casa” potremmo dire, e si sono imposti come unici luoghi pubblici in grado di offrire servizi in gran quantità, all’insegna del ridondante e del chiassoso. Lo shopping mall è un voltare le spalle alla città e a tutto ciò che storicamente ne ha reso interessanti le varie forme di attraversamento, votate alla scoperta, all’incontro fortuito, alla costruzione di eventi appunto. Non solo. Direi che nell’epoca contemporanea, lo shopping è diventato una sorta di link caratteristico per aprire la stretta funzionalità dell’edificio architettonico mondanizzandone i perimetri muti. Dove esiste un margine di azione ecco entrare in gioco lo shopping (materiale non-architettonico) e, in molti casi, rubare la scena alle funzioni principali[2]. Si va all’aeroporto per volare o per fare acquisti convenienti? Si va al museo per vedere una mostra o per acquistare i numerosi gadget che ne concludono in bellezza (diciamo così…) il percorso espositivo?

 

Nell’epoca attuale, generalmente povera di contenuti, gli unici accadimenti di interesse sembrano essere quelli dove ciascuno può (oltre che spendere del tempo) spendere il proprio denaro in acquisti quasi sempre inutili. Una risposta realista, dunque, quella di Le Corbusier che aveva trovato il giusto compromesso tra la volontà di creare abitazioni belle, luminose, soleggiate (tutti gli appartamenti presentano una grande superficie vetrata che illumina i soggiorni a doppia altezza) anche per le classi meno agiate (tema chiave di tutta la sua vita) e quella di creare una nuova idea di edificio residenziale, un genere di residenza servita confortevole, fino a renderla desiderabile come una crociera su un transatlantico di lusso. Gli spazi ridotti sono, infatti, compensati dalla presenza dei servizi pubblici annessi che ne ampliano il respiro e il senso di affermazione nel contesto urbano: ciò che viene creato è una forte identità. Vivere all’Unité deve diventare motivo di orgoglio per ciascun abitante, perché all’Unité la vita tra le quattro mura domestiche assume un significato diverso: si tramuta in evento urbano in miniatura[3].

 

Walter Pichler, nel 1963, in occasione della mostra Architektur, curata insieme ad Hans Hollein, tenutasi alla Galerie nächst St. Stephan di Vienna, aveva presentato il suo progetto di “Città compatta” (1963-1964) proprio per valorizzare la vitalità dello spazio urbano come fonte di ispirazione per le stesse residenze. Viene quindi presentato un edificio che ricalca il complesso sistema di collegamenti della città, alla cui struttura possono essere aggregate in modo libero le differenti abitazioni, disposte a croce orizzontalmente e verticalmente. Ne nasce l’immagine di una città compatta, un concentrato di esperienze da organizzare a secondo dei propri bisogni, terreno fertile per fuggire alla monotonia dell’abitare isolati dal resto, dal mondo esterno, mentre il senso di confort viene aumentato dalla possibilità di climatizzare la “città compatta” quasi come se si trattasse del proprio intimo spazio domestico: l’edificio-città viene infatti protetto da una gigantesca cupola trasparente che crea al suo interno un sistema di climatizzazione artificiale. Ora sarà possibile abitare la città nel vero senso della parola, facilitati dal sofisticato sistema di controllo del clima.

 

Parentesi “radicale” quella ora citata di una delle menti europee più trasversali del periodo di revisione dei linguaggi della modernità, di estremizzazione dei contenuti, di estensione degli effetti utopici prodotti. Fatto sta che oggi, l’unione – potremmo dire – fa la forza nel vero senso della parola e rende merito al grande maestro del Movimento Moderno. Unire funzioni “altre” alla semplice funzione residenziale è carta vincente. In questo senso, direi che, alla resa dei conti, il sociale e le proprie esigenze finiscono per avere la meglio sull’edificio, in una sorta di rivincita che relativizza gli aspetti formali di quest’ultimo a favore, invece, della sperimentazione di nuove forme di funzionalità extra large.

 

Market Hall di Rotterdam progetto degli MVRDV, 2004-2014

 

La forma architettonica del Market Hall (2004-2014), da poco ultimato a Rotterdam dal gruppo MVRDV[4] – un grande arco trionfale in pietra naturale grigia – va proprio in questa direzione. La grande arcata che contraddistingue l’edificio viene generata incasellando tra loro ben 228 appartamenti che, distribuendosi ad arco, creano la grande ed accogliente copertura per il mercato. In sostanza, gli appartamenti diventano la struttura dell’arcata, la funzione dell’arco trionfale svanisce ed assume un carattere colloquiale. E più ci si avvicina all’edificio più l’idea del monumento viene diluita dagli accadimenti. La parte antistante l’arco è bucata dal ritmo delle finestre condominiali, i fianchi dell’arcata sono interamente occupati all’esterno dalle grandi e confortevoli terrazze degli appartamenti, mentre l’interno è magicamente reso popolare da una sorta di volta affrescata in versione digitale su cui ora torneremo.

 

Nel 2004 era stato bandito un concorso dal governo olandese che richiedeva di progettare nuove residenze per questa zona storica della città – il quartiere Laurens dove si trova l’omonima chiesa medievale –, nuovi parcheggi che potessero servire anche la vicina Biblioteca Centrale, e un mercato coperto come proseguimento ideale di quello già esistente all’aperto, secondo le nuove normative olandesi entrate in vigore negli anni Novanta. La proposta vincente è quella di MVRDV e dell’impresa Provast. Piuttosto che prevedere un mercato con gli edifici residenziali intorno, il gruppo propone una soluzione unica dove far convivere residenze, mercato e parcheggi, affidando, appunto, all’arco il compito di fare da ponte virtuale tra le differenti funzioni.

 

MVRDV già da diversi anni si è distinto per la capacità di escogitare nuovi modi per rendere l’abitare, inteso in senso collettivo, protagonista nella città contemporanea (proprio come aveva fatto il grande maestro svizzero), ogni volta cercando soluzioni in grado di portare linfa alle semplici funzioni residenziali. Valga tra tutti l’esempio dell’edificio Mirador (2001-2005) a Madrid, omaggio dichiarato a Le Corbusier, dove il compito di progettare un classico condominio alla periferia della città diventa occasione per mettere in discussione il degrado del contesto esistente, fatto di casermoni anonimi tutti uguali, con corte centrale. La soluzione finale è quella di ribaltare in senso verticale l’idea della corte chiusa priva di affacci caratteristici facendola diventare una mega terrazza panoramica comune che buca l’edificio, da dove spaziare con la vista sulla città.

La città, infatti, secondo Nathalie de Vries, deve essere considerata come «un edificio tridimensionale», «you can go up and make more connections there, as well as building underground»[5].

 

Nel progetto realizzato a Rotterdam, il mercato coperto diventa una specie di biglietto da visita delle residenze, una hall d’eccezione che metaforicamente sostituisce la vecchia idea dell’atrio triste e imbalsamato. In un sol gesto trionfale, quello del creare l’arco, viene glorificato il tema della residenza collettiva e data nuova vita a una delle funzioni pubbliche più socializzanti e anti shopping mall esistenti, perché il mercato coperto è il luogo della contrattazione costante, della socializzazione per eccellenza. Non solo. Il progetto è occasione per riqualificare l’intera zona urbana, ed è già diventato una icona per la città (finora sono due milioni i visitatori di questo fenomeno architettonico made in Netherlands). Al suo posto c’era una scuola che è stata ora trasferita in un vicino edificio per uffici.

 

In ogni caso, l’idea dell’ennesimo condominio svettante è stata risparmiata. L’arcata ha una larghezza di 70 metri ed è stata chiusa con una serie di pannelli di vetro agganciati a una rete d’acciaio (cable net façade) che ha permesso di realizzare una così estesa superficie vetrata, dando la possibilità di avere un luogo protetto e allo stesso tempo trasparente. L’edificio ha una profondità di circa 120 metri e un’altezza di 40 metri. L’impiego della pietra grigia naturale è stato utilizzato anche per la pavimentazione così da far risaltare l’elemento di massima attrazione del progetto, visibile dall’esterno grazie alla chiusura vetrata detta: una affascinante volta cangiante, opera degli artisti Arno Coenen e Iris Roskam. Quest’opera denominata “Cornucopia” rafforza ancor più l’immagine di questo edificio come vero e proprio trait d’union tra passato e presente: l’idea è stata quella di impreziosire la volta del mercato con una sorta di imponente affresco digitale con effetti tridimensionali, realizzato con il software Pixar, che con i suoi 11.000 mq di superficie è la più grande opera d’arte finora realizzata nei Paesi Bassi. Con questa tecnologia, la volta potrà cambiare soggetto e colori, fino ad essere utilizzata per informare il pubblico sulle offerte del giorno. Oltre al chiaro riferimento alla mitologia greca, il rimando è ad opere del passato uniche come la stessa Cappella Sistina… solo per fare un esempio illustre.

 

Il mercato è certamente un luogo dove la copertura gioca un ruolo chiave; in questo caso, la possibilità di realizzarla come se si trattasse di un grande schermo dove proiettare immagini tra le più diverse – soprattutto fiori e frutta in abbondanza – introduce un elemento nuovo funzionale al luogo e in grado di attrarre visitatori nella sua forza coloristica, nel magnetismo generato da forme e colori rubati al quotidiano e imbalsamati per l’occasione (altra citazione inerente le classiche nature morte seicentesche tipiche dell’Olanda...). Il Market Hall con una superficie complessiva di 95.000 mq, non è un semplice edificio dunque, ma un luogo dove succede qualcosa. Tutto ruota attorno alla cultura del cibo e alle diverse possibilità di intrattenimento che ne scaturiscono. Una volta varcata la soglia del mercato, ci si trova di fronte a una grande festa di colori e sapori che la copertura riecheggia esaltandone tutto il glamour e la bellezza nascoste. Inaugurato ufficialmente il primo ottobre 2014, il Market Hall individua una nuova tipologia residenziale che concilia la privacy domestica con la vita pubblica della città, creando allo stesso tempo una unità architettonica molto attraente ed invitante, cucita a misura di uno dei servizi più essenziali per l’uomo: il rifornimento di cibi freschi, di qualità e abbondanti, a portata di tutte le tasche. Il piano terra ospita il mercato vero e proprio con 96 postazioni di vendita di prodotti freschi, provenienti da tutto il mondo. Sempre al piano terra e al primo piano si trovano ristoranti e negozi dedicati alla cultura del cibo, mentre il primo piano interrato ospita un vero e proprio supermarket.

 

Altra nota particolare merita il parcheggio che occupa tre piani interrati, può contenere fino a 1.200 posti macchina ed è stato realizzato con le più recenti tecnologie a disposizione come un sistema guidato per parcheggiare (Parking guidance and information systems – PGI), il riconoscimento automatico dell’automobile, prenotazione on-line del parcheggio e una stazione di ricarica per i veicoli elettrici. Le residenze, fiore all’occhiello del progetto, sono confortate dalla presenza del mercato e dei servizi offerti ventiquattro ore su ventiquattro; in un certo senso, brillano di luce riflessa ed assumono un carattere insolito pur mantenendo l’indipendenza: hanno piccoli affacci per sondare il brulichio quotidiano del mercato e sei ingressi indipendenti con ascensori ed agili scale elicoidali di collegamento. Gli appartamenti variano da 80 a 300 mq, con 24 loft. Direi che con questo progetto di MVRDV si pongono le basi per attivare un rapporto rinnovato con la città e con il tema dell’abitare nel XXI secolo, un’epoca in cui concetti quali il collegamento con il mondo esterno e con le diverse forme di socialità ad esso correlate stanno diventando un habitus sempre più caratterizzante e promettente.

 

Market Hall di Rotterdam progetto degli MVRDV, 2004-2014

 

 


[1] Il 2015 segna i cinquant’anni dalla morte di Le Corbusier. Il 27 agosto 1965 moriva Le Corbusier, colto da una crisi cardiaca mentre nuotava nelle acque di Roquebrune, in costa Azzurra. Sono tantissime le iniziative a livello internazionale per festeggiare l’evento. Cito in particolare il Congresso Internazionale “Le Corbusier. 50 ans après” che si terrà a Valencia dal 18 al 20 novembre 2015, organizzato dal Dipartimento di Progettazione Architettonica dell’Università Politecnica di Valencia con la collaborazione della Fondation Le Corbusier. Mentre attualmente è in corso la mostra “Le Corbusier Mesures de l’homme”, Galerie 2 – Centre Pompidou, Paris (29 aprile 2015 - 3 agosto 2015), a cura di Frédéric Migayrou ed Olivier Cinqualbre.

 

[2] A questo proposito, ricordo in particolare la copiosa ricerca diretta da Rem Koolhaas, messa a punto per la Harvard Design School: R. Koolhaas, Harvard Design School. Guide to Shopping, Köln, Taschen, 2001.

 

[3] A questo proposito, mi preme segnalare l’esperienza, più unica che rara, dell’artista Cristian Chironi che prossimamente, andrà ad abitare proprio in uno dei tanti appartamenti dell’Unité. L’operazione fa parte del progetto ideato da Chironi con il titolo “My House is a Le Corbusier”, sponsorizzato con una borsa di studio dalla Fondation Le Corbusier, con cui Chironi, artista poliedrico ed imprevedibile (e attualmente senza una casa di proprietà), sta contribuendo a tenere viva la memoria del maestro in modo certamente insolito. Chironi si sta letteralmente immergendo in Le Corbusier, calandosi negli spazi da lui progettati fino ad assorbirne l’essenza più nascosta, prontamente tradotta in opera d’arte, installazioni, ecc. Esperienza che ha preso avvio in Italia dove Chironi ha abitato il Padiglione dell’Esprit Nouveau (1925) ricostruito a Bologna nel 1977, e successivamente a Parigi nell’appartamento al settimo piano dell’Immeuble Molitor dove Le Corbusier abitò dal 1933 al 1965. Cfr. http://www.cristianchironi.it/homepages.html

[4] Lo studio MVRDV è stato fondato nel 1993 da Winy Maas, Jacob van Rijs e Nathalie de Vries a Rotterdam. In collaborazione con l’Università di Teccnologia di Delft, MVRDV ha dato vita a un gruppo di ricerca indipendente “The Why Factory”, impegnato a stilare un’agenda per l’architettura e l’urbanistica della città futura a carattere sperimentale (http://thewhyfactory.com/about/the-why-factory/). Viny Maas e l’imprenditore Hans Schröder di Provast, hanno ricevuto il premio Marketing Award 2015 per il progetto del Market Hall (2014).

[5] Cfr. il video esplicativo del lavoro del gruppo attualmente in rete: http://www.mvrdv.nl/about/

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