Papartheid?

9 Novembre 2015

Mi chiedo se la notizia sia arrivata via fax.

Gentili anime del Limbo, vi comunichiamo che la vostra dimora sarà evacuata definitivamente. Tutti coloro che vi risiedono dovranno pertanto trasferirsi in un nuovo alloggio, la cui ubicazione vi verrà indicata a breve. Si prega di mantenere la calma e di prepararsi ordinatamente al trasferimento.

Immagino la commistione di euforia e panico che si è diffusa tra le anime coinvolte. E poi, l’abolizione del Limbo, decretata da Papa Benedetto XVI nel 2007, non ha significato solo un cambio di residenza per miliardi di anime, ma anche la cancellazione di un’intera dimensione spazio temporale. Cosa c’è ora al posto del Limbo? Un deserto? Un buco nero?

Per un sistema ideologico che si basa sui dogmi, cioè principi non soggetti a discussione, è stata sicuramente una mossa audace.

A questo punto, mi sorge spontanea una domanda. Se è possibile mettere mano sulla conformazione dell’Al di là, ristrutturando nei fatti un progetto originale firmato dal sommo architetto, Dio l’Onnipotente, come mai è così difficile per la Chiesa Cattolica cambiare rotta verso le persone omoaffettive?

Eppure, per la felicità di tutti, la Chiesa non incoraggia più la proliferazione della schiavitù e la lapidazione pubblica dei figli disubbidienti, come ci invitano a fare diversi passaggi delle Sacre Scritture.

Se la Chiesa, nei secoli, non avesse saputo evolvere adattandosi ai tempi in cui viveva, avrebbe già chiuso bottega da molto tempo.

Non concordo, insomma, con chi pensa che non ci si possa aspettare cambiamenti da parte del Vaticano. D’altro canto, non credo neanche che questi cambiamenti arriveranno necessariamente per mano di Papa Francesco.

Bergoglio è diventato presto il simbolo di una chiesa in rinnovamento, più a contatto con i fedeli, meno barricata dietro le proprie tradizioni e privilegi. Ed è questa l’immagine che promuovono i principali media di tutto il mondo. Un Papa che ha persino parole di conforto per le persone omoaffettive. Ma fino a che punto si estende questa volontà di conforto?

Per la maggior parte del globo, la biografia conosciuta di Bergoglio inizia nel momento in cui lo abbiamo ribattezzato Francesco, il papa che viene dalla fine del mondo.

Per chi conosce quella fine del mondo e la sua storia, Bergoglio è un figura nota da decenni. Si possono raccontare infinite storie che lo riguardano, ma non tutte sono in sintonia con l’immagine che ci siamo fatti di Papa Francesco.

Ero in Argentina, la mia seconda patria, quando, nel 2010, la presidentessa Cristina Fernández de Kirchner propose una legge per il matrimonio egualitario e l’adozione per le coppie same sex.

Stessi nomi, stessi diritti, stessi doveri. Si parlava di uguaglianza senza mezzi termini, compromessi o contentini.

Jorge Mario Bergoglio era allora Arcivescovo di Buenos Aires, e impiegò tutte le armi a sua disposizione per contrastare la legge.

Come prima cosa, l’Arcivescovo scrisse una lettera ai quattro conventi di Buenos Aires rivolgendosi così alle suore di clausura: «Non si tratta di una semplice lotta politica, ma di una pretesa distruttiva del piano di Dio. Non si tratta di un mero progetto di legge – questo è solo lo strumento – ma di una ‘mossa’ del padre della menzogna che ha la pretesa di confondere e ingannare i figli di Dio», aggiungendo «Questa guerra non è vostra, ma di Dio» (Lettera ai quattro monasteri carmelitani di Buenos Aires, 22 giugno 2010).

Fu così che in tutto il Paese si diffuse la notizia che il Diavolo in persona si stava impossessando della società argentina, con conseguenti previsioni apocalittiche di malattia, depravazione e distruzione di massa.

Chi stava dalla parte di Dio, doveva lottare con tutte le sue forze per impedire al Male di proliferare (il Male, in questo caso era una legge sull’uguaglianza). Chi, invece, era favorevole all’approvazione del matrimonio egualitario, si ritrovò, suo malgrado, in missione per conto di Satana.

Quei mesi in Argentina furono un po’ come un viaggio nel tempo. C’era un’atmosfera da Secoli bui, Inquisizione e Savonarola.

Quattro giorni prima del voto in Senato, l’Arcivescovo Bergoglio indisse una grande manifestazione in cui fu letta una sua lettera aperta ai fedeli, nella quale abbandonò l’approccio teologico per inoltrarsi nei meandri del diritto politico: «Qualora si attribuisse un riconoscimento legale all’unione tra persone dello stesso sesso, o le si garantisse uno status giuridico analogo al matrimonio e alla famiglia, lo Stato agirebbe illegittimamente e si porrebbe in contraddizione con i propri obblighi istituzionali, alterando i principi della legge naturale e dell’ordinamento pubblico della società argentina».

Aggiunse inoltre che «Prendere atto di un’oggettiva differenza non significa discriminare». Ma questo è lo stesso pensiero che ha tenuto in vita l’apartheid per decenni.

Apartheid è una parola che salta spesso in mente quando si parla di Unioni Civili. In fondo, sono uno strumento per protrarre, nei fatti, un regime di differenziazione ed esclusione. Una legge speciale per cittadini speciali.

In Argentina, la lotta era per il tutto o niente.

Solo quando divenne chiaro che la legge sarebbe passata, l’opposizione virò, in corner, verso una proposta di legge sulle Unioni Civili, quello che consideravano il minore dei due mali. La legge, insomma, che “prendeva atto di un’oggettiva differenza”.

Nonostante gli sforzi dell’opposizione capitanata da Jorge Mario Bergoglio, il 15 luglio 2010 la legge per il matrimonio egualitario passò.

Per chi ha vissuto quei mesi in Argentina, è sorprendente che Papa Francesco sia considerato sensibile ai diritti civili delle coppie same sex. Se nel 2010 questi diritti erano il volere di Satana, cos’è successo nel frattempo?

In effetti alcune cose sono successe.

Innanzitutto, tutti possiamo cambiare idea, certo, imparare dai nostri errori, evolvere. E sul matrimonio egualitario sono molti i leader mondiali che hanno cambiato idea negli ultimi anni.

E poi, come tutti gli altri argentini, Bergoglio ha vissuto per quattro anni in un Paese dove i matrimoni tra persone dello stesso sesso facevano sempre meno notizia, e diventavano, senza fanfara o conseguenze, semplicemente parte del tessuto sociale della nazione.

Si dice che il fascismo si curi leggendo, il razzismo viaggiando. Credo che similarmente l’omofobia si curi conoscendo. Ciò che si conosce, fa meno paura.

È possibile anche che un nuovo lavoro esiga l’adozione di nuove regole. Specialmente se quel lavoro è essere Sommo Pontefice.

Non si può negare che il suo arrivo in Vaticano abbia rappresentato una boccata d’aria fresca dopo l’ermetico pontificato di Benedetto XVI. Si sono sentite parole nuove. E queste parole hanno creato in molti la speranza che questa volta si potesse vivere un reale cambiamento.

La sua ormai celebre frase «Chi sono io per giudicare?» ha fatto il giro del mondo come inconfutabile prova della sua apertura nei confronti degli uomini e donne che amano persone del loro stesso sesso.

Eppure questo cambiamento finora non c’è stato. Ed è difficile scorgerlo all’orizzonte. Il Sinodo sulla Famiglia si è da poco concluso con un nulla di fatto per quel che riguarda la dottrina della chiesa riguardo alle persone omoaffetive. Rimane qualcosa di disordinato e fondamentalmente contro natura. Amen.

Sono stati diversi, d'altronde, i gesti di Papa Francesco che ricordano la vecchia linea del Cardinal Bergoglio.

Basti pensare al caso di Laurent Stefanini, l’ambasciatore proposto dall’Eliseo per la Santa Sede. Sono mesi che aspetta una risposta dal Vaticano, reticente a confermarlo in quanto il diplomatico è dichiaratamente gay. Non è tanto l’esserlo che da fastidio, è il non nasconderlo che fa saltare i nervi.

Oppure al coming out del Monsignor Charasma, ufficiale della Commissione per la Dottrina della Fede, cui è seguito un pronto sollevamento da tutti i suoi compiti.

Allo “schiaffeggio” mediatico nei confronti del Sindaco Marino, la cui registrazione dei matrimoni same sex celebrati all’estero non era mai andata giù in Vaticano.

O all’incontro, a Washington, con l’impiegata pubblica Kim Davis, finita in carcere per essersi rifiutata di rilasciare la licenza matrimoniale ad alcune coppie same sex. Papa Bergoglio l’ha elogiata per il suo coraggio e l’ha invitata a essere forte. 

Questi non sono segnali di cambiamento, sembrano invece seguire un’antica rotta. Ma a volte non c’è bisogno di fatti, la gente si accontenta di parole.  

Abbiamo tutti un così disperato bisogno del Papa Buono, finalmente vicino ai nostri bisogni, che non ci permettiamo di prendere in considerazione nessun’altra narrativa. Anche di fronte a uno scenario desolante. Ci aggrappiamo a cinque parole e ce le facciamo bastare.

Soprattutto in un mondo dominato dalle notizie lampo e ad effetto. Dai tweet, like e share. Oggi, uno slogan vale più di mille fatti. E “Chi sono io per giudicare?” è uno slogan efficacissimo.

Papa Francesco ha dichiarato che “La Chiesa è donna”, ma di nuovo, dubito che sia pronto all’apertura del vescovato alle donne, come è avvenuto nella Chiesa Anglicana nel 2014.

Anche per quel che riguarda le donne, permane, all’interno della dottrina cattolica, un effettivo stato di apartheid. Nonostante le belle parole.

Io preferirei che queste frasi fossero dette solo se accompagnate da una reale disponibilità al cambiamento.  

Anche perché non stiamo parlando di un principio teorico, di un simbolo, o di un destino post terreno, quale può essere il Limbo. Stiamo parlando di vite. Vite concrete, molto terrene, bisognose di fatti, non parole.

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