Narrative medicine. Intervista con Rita Charon

4 Marzo 2015

Noi medici pensiamo di conoscere bene salute e malattia; cerchiamo di fare prevenzione anche quando stiamo bene, ci facciamo vaccinare. Fondamentalmente si pensa di essere sani, ma quando una malattia ti colpisce davvero entri in un tunnel: chemioterapia, amputazioni chirurgiche, si è abbandonati alla dittatura della malattia, si apre l’abisso, si entra nel buio della foresta come Hansel e Gretel.Si capisce che c’è un altro mondo, inimmaginabile prima. Rabbia e dolore irrompono come nella notte della vita, una cittadinanza onerosa. A volte la letteratura ci aiuta a capire questo universo: scrittori sconosciuti adesso ci fanno entrare nel loro mondo, scrivono sui perché e come è potuto accadere a loro.

 

Ogni anno centinaia di scritture vengono spedite a Rita Charon, Dipartimento di Medicina della Columbia University, New York, persone che hanno incontrato l’autismo, l’Alzheimer, lesioni spinali, molte forme di cancro e raccontano non solo rabbia, ma anche meraviglia, stupore desiderio di cambiare in relazione a ciò che è loro capitato. Non è come scrivere un report o un romanzo, perché il nostro corpo è ciò che ci permette di vedere e conoscere il mondo e scrivere sul corpo è scrivere di sé ed è come rimanere in contatto con il mondo.

 

Quando ti ammali la gente cambia atteggiamento verso di te, prende in qualche modo le distanze, pensa: “cosa gli posso dire?”, proprio l’angoscia che circonda la malattia crea il bisogno insaziabile di raccontare. Si crea una separazione, come vivere dentro ad un acquario: tu vedi il mondo fuori, diverso, e gli altri non possono entrare; chi urla da fuori non può essere udito da dentro; la separazione può esistere anche tra paziente e medico e le urla dei pazienti non sono udite dai medici. I medici possono scegliere di stare fuori o di entrare; a volte abbiamo paura del contatto anche se sappiamo che è l’unico modo per conoscere: amore, odio, desiderio, bisogno vengono modificati perché nella malattia c’è poco tempo per la diplomazia. Come possono entrare in relazione chi sta bene e chi è ammalato? Cosa rende possibile questo contatto? Se le distinzioni (sociali, economiche, razziali) ci separano, c’è una fragilità che ci unisce ed è il pensiero che prima o poi dovremo affrontare l’idea della morte.

 

La consapevolezza della malattia e della nostra fragilità ci trasforma, ma l’immaginazione, così sviluppata soprattutto nei bambini, e la parola e la scrittura che ne derivano ci possono aiutare; la nostra fragilità ci fa dipendere dalla capacità di inventare. Scrivere in questi momenti dunque vuol dire prestare attenzione a se stessi, cercare contatti più profondi, rappresentare una malattia come strumento per tentare di vedere anche dentro eventi molto complessi. La rappresentazione ci aiuta a percepire e la scrittura e altre forme di rappresentazione ci aiutano a capire situazioni di malattia non immaginabili prima; il nostro scrivere aiuta a ridurre il caos che la malattia genera e rende le cose più visibili. Rappresentando le dimensioni della vita reale, la narrazione consente di elaborare interpretazioni sul decorso di una determinata realtà: la forma espressiva del racconto tiene insieme gli elementi in una formula che è più di un semplice ed efficiente metodo di acquisizione e trasmissione di informazione. La narrazione possiede, infatti, una sua forza, che deriva dalla sequenza temporale e dalla libertà che la forma del racconto consente nell’impostare una storia attraverso la raffigurazione di eventi, personaggi e contesto.

 

 

Rita Charon, che alla Columbia University di New York ha fondato il corso di Medicina Narrativa e lo ha inserito nel percorso di Studi della Medical School,  può essere considerata la madre del paradigma narrativo, fondamento delle medical humanities (Narrative Medicine: Honoring the Stories of Illness, Oxford University Press, 2006). Nel suo piccolo studio al Presbiterian Hospital sulla 168ma strada le chiedo: “Ma che cosa avevi visto? Perché mentre eri lì a fare il clinico come tutti gli altri hai sentito il bisogno di introdurre la medicina narrativa nel percorso di studi, come un se fosse un’altra specializzazione?”. “I malati hanno bisogno di medici che capiscano il loro star male, ascoltino i loro problemi e li accompagnino attraverso la loro malattia”, risponde molto semplicemente Rita Charon, lamentando che al progresso tecnologico e diagnostico non abbia fatto seguito una altrettanto avanzata ricerca sull’empatia, sul coraggio e sull’onestà per affiancare i pazienti nel viaggio dentro la loro malattia. La competenza narrativa è necessaria per ascoltare, afferrare e onorare significati e credenze personali, per interpretare e rispondere con altri strumenti, non solo con le medicine.

 

La medicina narrativa induce riflessione, richiede professionalità specifica e crea un rapporto di fiducia, quel “bridging” tra medico e paziente senza il quale nessuna terapia può essere accettata in modo efficace; la possiamo definire una medicina centrata sul paziente, ma è utile anche al medico per riflettere sul significato della sua professione. “Forse per noi qui è stato più facile, perché alla Columbia c’è sempre stata familiarità e interscambio con il mondo della filosofia, della letteratura e della antropologia, perché gli studiosi di queste discipline per primi volevano capire che strano mondo di relazioni esiste in ospedale, dove i ruoli sono definiti ma sospesi nello stesso tempo, dove i malati sono diversi da come erano fuori e si consegnano nelle mani di qualcun altro come non avevano mai fatto prima; già studiavano i rapporti in essere e le loro conseguenze in termini di terapia”. Queste interazioni proattive non devono essere spezzate dalla malattia e il paziente ha bisogno della coesistenza di questi mondi. Fatto sta che i medici si sono ritrovati a leggere Dostoevskij e poi le scritture dei malati sulla loro malattia.

 

La Medicina Narrativa si distingue dallo Storytelling perché è un luogo di libertà: non sempre il racconto si svolge in modo lineare, va avanti e indietro nel tempo, può essere disordinato e pieno di contraddizioni. La tipica storia invece segue un copione, una traccia spesso lineare e si dipana sull’asse temporale passato-presente-futuro, con un protagonista e un luogo ed è ordinata.

 

La medicina narrativa si avvicina, filosoficamente parlando, agli approcci olistici tipici delle medicine non convenzionali, che a fronte di una classificazione rigida delle malattie propongono una soggettivizzazione del paziente, visto in tutta la sua complessità e unicità. Le storie narrate e scritte offrono l’occasione di contestualizzare dati clinici e soprattutto bisogni, e permettono di leggere la propria storia con gli occhi degli altri, creando una ricchezza e una pluralità di prospettive, oggi spesso carenti. La narrativa permette al paziente di sentirsi non isolato, ma al centro della struttura di salute e questo offre, a sua volta, ai medici e agli altri operatori sanitari la possibilità di avere una visione diversa.

 

La narrazione della patologia del paziente verso il medico può essere considerata importante come lo sono i segni e i sintomi della malattia stessa. Pertanto ha pari dignità della medicina basata sulle evidenze, perché fa parlare le persone e fa raccontare come uno sente il suo corpo, come si sente in famiglia, sul lavoro, nel suo contesto: è la testimonianza scritta del paziente nel suo contesto e una cura piena, estetica, non può non tenerne conto.

 

Quando Rita Charon scrive: “Onorare le storie dei pazienti”, dice anche che alcune sembrano assurde, ma vanno accolte ugualmente, anche se sappiamo che non potranno mai rispecchiare la verità, perché sono una sintesi tra “facts e fiction”, perché nascono tra errori cognitivi e limiti dovuti alla fallacia della mente umana, soprattutto quando colpita dalla malattia.

 

La narrativa raggruppa una notevole varietà di generi, essi stessi a loro volta consistenti di un’altrettanto varia molteplicità di stili che vanno dal linguaggio articolato, parlato o scritto, alle immagini, fino a un’ordinata mescolanza di tutti gli stili; la narrazione è d’altronde presente nel mito, nelle leggende, nelle favole, nei racconti, nelle novelle, nel dramma, nella commedia, nella pittura, nel cinema, nei fumetti, nella conversazione...

 

Non solo i medici ma anche infermieri, avvocati, filosofi, antropologi, studiosi di scienze sociali e religiose hanno capito l’importanza di un approccio narrativo: è una conoscenza che trascende l’evidente, entra nel simbolico e nel mondo affettivo, ha a che fare con l’esperienza e non con i principi o le proposizioni.

 

Sebbene l’importanza centrale del racconto in medicina sia stata compresa fin dai tempi di Ippocrate, è solo negli ultimi vent’anni che la narrativa è diventata un’area essenziale di ricerca e sviluppo nel settore della salute. In medicina si presenta in diverse forme (frammentarie,colloquiali e scritte) che intercettano diversi contesti. Queste forme però si manifestano spesso in modo disordinato poiché quasi sempre i clinici, durante un consulto, interrompono i pazienti durante il loro racconto. In tal modo, non solo informazioni significative rischiano di andar perdute, compromettendo a volte l’accuratezza dell’approccio diagnostico, ma i pazienti finiscono col sentirsi poco ascoltati e non adeguatamente compresi. Da qui nasce l’importanza dello spazio della scrittura, di un tempo per riflettere e scrivere e un tempo per leggere.

 

La narrazione può essere centrata anche sulla metodologia clinica in quanto mette insieme e comunica cosa i sintomi significhino per i pazienti, indaga le loro prospettive, perché stiano cercando aiuto e perché proprio adesso, e riconosce il loro ruolo nell’affrontare le situazioni difficili e nel convivere con esse.

 

La medicina narrativa diventa dunque un nuovo modello per riflettere sulla nostra professione, per ricercare e ottenere fiducia, per creare uno spessore empatico che anche la letteratura scientifica riconosce come elemento essenziale per la buona riuscita delle cure, anche nelle situazione più complesse come le malattie croniche, dove non esiste un atto, una prescrizione che, per sé, è in grado di guarire. La medicina narrativa diventa un atto terapeutico e spesso ha bisogno di affacciarsi al mondo dell’arte, della musica, del teatro e di tutte le forma espressive che aiutano a ricomporre gli effetti e le frammentazioni dolorose di una malattia grave e invalidante su di noi e sul rapporto con il mondo esterno.

 

 

 

Valerio Miselli è Medico, Consultant Diabetologia Pediatrica IRCS Ospedale di Ricerca Reggio Emilia

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