Giovanni Leghissa. Neoliberalismo

28 Agosto 2013

La crisi dell'economia mondiale potrebbe avere quantomeno la funzione di creare le condizioni di attenzione per un'analisi critica dell'aspetto dogmatico assunto dall'economia come la conosciamo. Essa è nella sua struttura logica e nei quadri mentali dei suoi attori alla radice dei problemi drammatici dell'Italia e più in generale dell'area geopolitica che si vuole modello di sviluppo universale.

 

Tra le ricerche recenti il libro di Leghissa, Neoliberalismo. Un'introduzione critica (Mimesis, 212) filosofo nell'ateneo torinese, è un'agile e densa disamina che chiarisce le idee sulla questione fornendo una preziosa sintesi operativa, avvicinando le orbite degli studi filosofici e di quelli economici e permettendo di recuperare bibliografia internazionale ignota ai non specialisti.

 

   

 

Neoliberalismo aggira, tenendola sulla sfondo, l'analisi marxiana del reale, spuntata nella misura in cui lo stesso marxismo si è configurato come verso di una medesima concezione economicista. Nella rappresentazione sociale un sogno del marxismo, sempre più confuso, è diventato aspetto di una «rivolta malinconica» – si lamenta una perdita senza sapere cosa si è perduto e perché – contro la condizione attuale. La via dell'argomentazione passa invece attraverso l'ontologia dell'attualità di Michel Foucault, il cui lavoro di critica del presente si presenta come chiarificazione di ciò che in prima istanza si presenta ovvio. La critica dell'economia neoliberale si inserisce nel più vasto ambito dell'analisi dei processi di «soggettivazione», i processi di natura sociale e culturale mediante i quali i soggetti si definiscono e si riconoscono come tali, agendo secondo patterns e scenarizzazioni già date, non apertamente scelte e solo in parte consapevoli. Il mondo economico del neoliberalismo viene definito e analizzato in quanto «dispositivo ‘governamentale’»: una antropotecnica (o fattore di produzione di forme di vita) del sistema di ingegneria sociale correlato all'autorappresentazione poietica dell'homo œconomicus. All'ultimo Foucault e ai corsi tenuti al Collège de France si deve quindi la delineazione del neoliberalismo come «cifra di una condizione, di un modo di essere – e precisamente quel modo di essere in cui il governo della vita trova la propria giustificazione negli effetti di verità del discorso economico» (p. 34).

 

Fedele all'impostazione di una «etnologia interna alla nostra cultura», la genealogia del neoliberalismo è ricostruita con perizia dal punto di vista storico attraverso i suoi snodi nel moderno (la ragion di stato, la polizia) e le sue teorizzazioni (scuola austriaca, ordoliberalismo tedesco, scuola di Chicago), per i quali il neoliberalismo è soprattutto «arte di governo», intesa come dispiegamento di un regime di pratiche in cui il soggetto è parte attiva.

 

L'expertise, la misurazione e la razionalizzazione tecnicizzata (fino ai “governi tecnici”) sono gli elementi operativi di un'amministrazione del vivente coordinato sulla base di una griglia ideativa il cui esito ultimo è la metaconduzione delle condotte individuali per una «aziendalizzazione del sociale» in cui l'umano scompare dietro all'impresa. Qui la legge economica mostra il suo volto “totalitario”, nell'«inserimento di ogni atto comunicativo in una catena di operazioni sistemicamente rilevanti atte a produrre efficienza, a ridurre costi, ridondanza, incertezza».

 

Giovanni Leghissa

 

Si tratta dunque di analizzare la «macchina che produce la verità del neoliberalismo», una «macchina discorsiva e istituzionale che fa circolare i discorsi che vengono riconosciuti come veri», piuttosto che smascherare l'aspetto ideologico in nome di una verità che starebbe altrove. Lungi dal neutralizzare l'aspetto di prassi politica che ne deriva dissolvendo la condizione materiale – questa è la critica marxista al post-moderno – il vantaggio che deriva dall'impostazione post-strutturalista è mostrare con più radicalità, a partire da una concezione antropologica e sociocostruttivista della realtà, l'artificialità della finzione (nel senso etimologico) neoliberale come complesso contingente e determinato, a cui si può e si deve, auspica l'autore, reagire con un adeguato gesto di contro-scenarizzazione che chiama in causa le posture esistenziali per l'edificazione cosciente e collettiva di differenti forme di vita associata, produzione, distribuzione.

 

La demitizzazione delle retoriche che accompagnano l'affermazione delle politiche economiche del tardo XX secolo mostra come il discorso neoliberale non sia un destino inevitabile ma una condizione storica, in quanto tale passibile di trasformazione e di mutazione, a condizione di comprenderne il carattere procedurale e meccanico. Si tratta dunque di condurre un'operazione di disincantamento rispetto al «linguaggio della razionalità economica come unica cornice narrativa per conferire senso e intellegibilità alle proprie vite» (p. 10).

 

Cosa è dunque il neoliberalismo? Qual è la sua specificità rispetto al liberalismo? Mentre nel liberalismo la sfera politica e quella economica risultano sempre distinguibili, nelle logiche e nelle pratiche nella «condizione neoliberale» ogni decisione sul governo delle vite passa attraverso il filtro della razionalità economica, rendendo inutile e impossibile la distinzione tra economia e politica.
Questo significa «che le agenzie di governo dipendenti dagli stati si comportano come attori economici, si mescolano al gioco dei mercati, e misurano l'efficacia della propria azione in base a criteri che non lasciano più spazio per un discorso sulla giustizia» (p. 10). Non è lo Stato a scomparire in favore dell'economia: «ciò che scompare, nello spazio politico dischiuso dalla condizione neoliberale, è quella declinazione del politico che comporta conflitto e che demanda alle istituzioni statali (…) la gestione del conflitto» (p. 23).

 

La globalizzazione consiste così in processi all'interno dei quali grande potere su scala mondiale è acquisito «da una serie di attori che agiscono nei mercati globali al di fuori del controllo statale» proprio grazie a «specifiche decisioni politiche» prese dagli stessi governi. Siamo dunque di fronte al volto più recente della governamentalità e di quella «diffusione dei centri di potere che formano una rete complessa, all'interno della quale le istituzioni giocano un ruolo fondamentale» (p. 76-77).
In questo quadro si inserisce anche il pensiero post-coloniale, che solo il ritardo culturale italiano impedisce di percepire come una pagina centrale della contemporaneità e un paradigma per il suo studio. Le politiche economiche neoliberali dell'Africa sub-sahariana sono caratterizzate infatti dall'«uso creativo» che è stato fatto dalle élite dominanti delle «risorse offerte dai poteri statali per accrescere il proprio dominio», all'interno di un'integrazione dei vari soggetti economici istituzionali internazionali. Qui la biopolitica si rovescia nel suo opposto e diviene necropolitica come estrema conseguenza di politiche internazionali, accompagnate dalla segmentazione etnico-classista e dal relativo repertorio di narrazioni identitarie, implicitamente razzisteggianti.
Verso dove, dunque? Discutendo la letteratura scientifica più recente il libro mostra come «iperglobalizzazione, stati nazionali e politiche democratiche» siano strutturalmente incompatibili, riuscendo al limite a dare vita a combinazioni di due su tre: da questa fenomenologia risultano i possibili scenari che devono essere ridiscussi e che sono, in estrema sintesi, le condizioni dello sviluppo o del cambiamento futuro.

 

Neoliberalismo è attraversato da un intento pedagogico-politico che, senza rinunciare alla speranza di una democratizzazione della società e dei saperi, è lucidamente consapevole che poco potrà cambiare finché la scienza economica e il modo in cui viene insegnata – come fosse una scienza dura se non una teologia – continueranno a rimanere invariati.

 

Presentazione e discussione del testo "Neoliberalismo. Un'introduzione critica" (Mimesis, 2012) di Giovanni Leghissa alla libreria Stella Maris di Cuneo del 4 aprile 2013.

 

La critica del mito neoliberale significa dunque rivalutazione della dissidenza emotiva e delle cornici utopistiche (ed eu-topistiche) entro le quali ripensare le proprie vite negli ambiti della partecipazione, della distribuzione e del riconoscimento. A chi, proprio per la formazione economica, non abbia la sensibilità di pensare alle categorie fondanti la vita umana il libro permette di ripensare, in termini genealogici, agli effetti delle propria posizione teorica nel sistema produttivo di beni e di immaginario. In accordo con l'impostazione socio-antropologica di Polanyi «è difficile negare che ogni processo economico è inserito in una cornice culturale e istituzionale più ampia» (p. 115): con lo sguardo fisso sulle rovine dell'esistente, da qui a comprendere che le «transazioni economiche (…) possono servire a scopi non economici» il passo potrebbe non essere così lungo.

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