Il circo delle pulci

13 Settembre 2020

Uno dei più bei libri sui parassiti domestici l’ha scritto Karl von Frisch ed è stato pubblicato in Germania nel 1976 quando l’autore aveva già novant’anni, essendo nato nel 1886 a Vienna. S’intitola Dodici piccoli coinquilini; e con ogni probabilità fa il verso al famoso romanzo di Agatha Christie, Dieci piccoli indiani, uscito in volume nel 1939. Lo zoologo austriaco, vissuto gran parte della sua vita a Monaco, nel 1973 aveva vinto il Premio Nobel per le sue scoperte sul linguaggio delle api, e per questo è ricordato ancora oggi nei libri scolastici. Ma non è stato solo uno specialista di questo particolare insetto così amato per la produzione di miele e di cera. Nel 1923, quando aveva trentasette anni, von Frisch si era applicato allo studio dei pesci e aveva dimostrato che possiedono l’udito ed emettono anche suoni. Aveva addestrato in un acquario un pesce gatto cieco a uscire dal suo rifugio e a correre in superficie appena sentiva un preciso fischio. Il saggio fu pubblicato su una rivista scientifica con un titolo ben poco accademico: Di un pesce gatto che accorre quando si fischia

  

Il libro sui “coinquilini” è stato tradotto in italiano nel 1981 da Mondadori (tra.it di Patrizia d’Alessio) e da allora mai più ristampato, nonostante sia uno dei libri più chiari, spiritosi e profondi dedicati agli insetti (ragni compresi, che però insetti non sono). Von Frisch sa scrivere, come ricorda nella sua prefazione Leo Pardi, professore di etologia a Firenze, titolare della prima cattedra istituita in Italia quando l’etologia cominciava a essere conosciuta attraverso la traduzione delle opere di Konrad Lorenz. Lorenz aveva vinto con von Frisch il Nobel per la Biologia; insieme a loro   a Stoccolma a ricevere l’alloro c’era anche Nikolaas Tinbergen, olandese, noto per i suoi studi sull’istinto animale. Collaboratore di Lorenz, Tinbergen era nato nel 1907, ed è considerato il vero fondatore dell’etologia comparata; durante la guerra passò due anni in un campo di concentramento tedesco, e questo lo portò a rompere per diverso tempo con il suo maestro, che aveva aderito al nazismo divenendo membro del partito. Tra gli studi innovativi di questo scienziato c’è anche un libro dedicato all’autismo, Bambini autistici (Adelphi) pubblicato con la moglie Elisabeth, psicologa, dove sostiene l’origine psicogena di questo disturbo, dovuto a danni emozionali subiti nei primi mesi di vita dai bambini. Un libro etologico anche questo.

  

I coinquilini di von Frisch sono dei parassiti domestici: mosca domestica, zanzara, pulce, cimice dei letti, pidocchio, tignola dei panni, blatta comune, pidocchio delle piante, formica lepisma, ragno, zecca. Lo zoologo viennese possiede una prerogativa che gli deriva dell’essere stato uno dei padri fondatori della fisiologia comparata: mette continuamente a confronto questi insetti con gli esseri umani, non in astratto, bensì confrontando i vari aspetti fisici (similitudini e differenze): sistema olfattivo, cuore e sistema cardiocircolatorio, dimensioni, funzioni alimentari, eccetera. 

Oggi il tema dell’ibrido è di gran moda; si parla di ibridazione tra l’uomo e gli animali e anche tra l’uomo e le piante. Primo Levi ne ha scritto in modo esemplare sia nei suoi racconti che negli articoli pubblicati sui giornali e riviste. Basta però rileggere i grandi scienziati dell’Ottocento e del Novecento per trovare che proprio dalla fisiologia comparata vengono molte indicazioni per comprendere come e perché gli esseri umani siano degli ibridi biologici. Von Frisch ci aiuta a guardare il mondo degli insetti con occhio differente, meno antropocentrico. Dei suoi dodici insetti ne ho scelti due, che mi paiono particolarmente interessanti e su cui lo zoologo viennese ci dà sorprendenti informazioni: la pulce e la zecca. Comincio con la pulce. 

   

L’uomo, scrive lo zoologo, ha posto i vertebrati in cima al sistema dei viventi e continua a considerarsi il coronamento della creazione, pensando, più o meno consapevolmente, che gli insetti non siano riusciti ad andare oltre. Sulla Terra ci sono circa 7000 specie di vertebrati e 1.000.000 di insetti – i dati citati da von Frisch risalgono alla metà degli anni Settanta –, che corrispondono ai tre quarti delle specie animali conosciute. Tutto questo qualcosa vorrà pur dire. La natura nel manifestare la sua fantasia creativa ha dato loro la preferenza, e li ha dotati di un numero senza paragoni. Scrive lo zoologo: “Cosa è mai una metropoli, cosa sono i giganteschi banchi di aringhe in confronto agli insetti che affollano un bosco! Formicaio dopo formicaio, vi si allineano i nidi a monticello della formica rossa, ognuno con centinaia di migliaia di abitanti; nelle corone degli alberi questi spiritelli indaffarati ronzano e brulicano, s’industriano sotto il muschio e ogni passo l’occhio attento s’imbatte in essi o nelle loro tracce. Ma i più passano distrattamente senza accorgersi di nulla”.  

  

La pulce è un insetto strano, a partire dal punto di vista classificatorio. Se la classe dei ditteri possiede un solo paio di ali, come si può classificare la pulce che non ne possiede? Gli studiosi non sono molto concordi nel collocare questo insetto. Von Frisch parla dell’ordine degli Afanitteri, mentre Michael Chinery, il naturalista inglese, nel suo vasto catalogo degli insetti europei la include nell’ordine Siphonaptera, proprio sulla base della loro assenza delle ali. In verità in origine, sessanta milioni di anni fa, gli antenati della pulce, o Siphonaptera, le ali le avevano, ma la capacità di saltare raggiunta in seguito ha finito per cancellare l’apparato alare. Anche sull’origine della pulce c’è una discussione in corso: vengono dai coleotteri o dall’ordine dei rincoti, come la cimice? Ora sembra si sia raggiunto un accordo tra gli studiosi nel farla derivare dalla mosca. Le pulci difficilmente si vedono a occhio nudo. Se le si scorge, la loro immagine è prima di tutto quella di un punto nero. Solo con il microscopio le si scorge bene. Vivono per lo più dentro il pelo degli animali – cani, gatti, topi e altri mammiferi – o tra le piume degli uccelli, così che quelle che ci troviamo addosso noi umani, ad esempio la Pulex irritans, sono una minoranza tutto sommato trascurabile. 

   

 

Ci sarebbero oltre 1.800 specie diverse, di cui solo un centinaio si trova in Europa. Il loro corpo è evoluto in modo da potersi spostare in modo agevole dentro un fitto bosco di peli e piume: appiattite lateralmente possiedono una testa che è come la chiglia d’una nave che fende le onde; possiedono anche una proboscide perforante retrattile e non hanno protuberanze che le possano far impigliare nel pelo delle loro vittime. L’aspetto davvero interessante è quello dell’ultimo paio di zampe, preposte al salto: una pulce salta in alto fino a 10 centimetri e in lungo 30 centimetri; su scala umana equivalgono a 100 metri in alto e 300 metri in lungo. Proprio riguardo a questo, che è quello che definisce la pulce, s’è soffermato Primo Levi in un suo articolo, “Il salto della pulce” (L’altrui mestiere). Levi nota che la potenza per un simile balzo non può essere fornita da nessun muscolo, e tanto meno dal muscolo d’un insetto. La pulce deve saltare “a freddo” e compiere la sua muta in ambienti spesso non riscaldati, come sono i pavimenti delle nostre case; inoltre, appena emerge dallo stato larvale, le occorre il nutrimento del sangue. Per questa ragione l’evoluzione ha escogitato, attraverso prove ed errori nel corso di milioni di anni, un sistema perfetto: ha riconvertito la potente muscolatura dei suoi antenati volanti e l’ha connesso a un “sistema di accumulo elastico di energia meccanica”: “sostanzialmente, un meccanismo di tensione, sgancio e scatto simile a quello della balestra di un tempo, o del fucile a molla usato oggi dai subacquei. L’organo deformabile elasticamente, analogo alla molla del fucile e all’arco della balestra, è costituito da una proteina pressoché unica nel regno animale, simile alla gomma ma dalle prestazioni molto migliori. In questo modo, l’energia necessaria per il salto istantaneo e prodigioso viene accumulata durante una fase preparatoria più lenta: tra un salto e l’altro, la pulce deve “raccogliersi”, riaccumulare energia nelle sue molle; ma anche per queste pause le bastano pochi decimi di secondo. È questo il segreto che permette all’insetto di saltare anche in ambienti freddi, e di saltare cosí alto e cosí lontano” (P. Levi). Von Frisch aggiunge che la pulce possiede un particolare tendine costituito da una proteina, la resilina, che possiede una elasticità superiore a quella di qualsiasi tessuto elastico. 

  

In compenso l’insetto ha una capacità di visione molto limitata e percepisce i nostri movimenti probabilmente dal gioco delle ombre. Al contrario, l’olfatto è assai sviluppato. Si trova posizionato, come in molti altri insetti, nelle antenne e deve essere assai sensibile, se è vero che, come racconta Levi nel suo articolo, a Mosca esiste nel museo del Cremlino un aggeggio indossato dalle dame della corte dello Zar, che conteneva dei cerchi muniti di tubetti di porcellana, dove venivano messi dei cucchiaini di miele. Passando di panno in panno, le pulci erano attirate dall’odore e finivano invischiate nel miele. Queste microscopiche creature sono attirate anche dall’odore dei corpi umani, tanto da manifestare una predilezione per uno o per un altro. Lo zoologo viennese lo racconta parlando di un “esperimento” notturno che lui e un amico compivano per eliminare le pulci della loro camera nel corso della permanenza a Napoli presso la Stazione Zoologica della città negli anni Venti del Novecento. Nella stanza in cui alloggiavano sul Vomero, lui e l’amico passeggiavano prima di mettersi a letto in camicia da notte e a piedi nudi così da attirare le pulci affamate. Poi si toglievano il vestito e cercavano di spulciarlo. Risultato: l’amico attraeva molte più pulci nella sua camicia da notte di quella di Karl von Frisch. La ragione: era probabilmente il suo odore a risultare più gradito alle pulci. Ma mentre l’amico non era punto dagli insetti, ogni puntura provocava una intensa irritazione in Karl. 

   

Un altro aspetto interessante è quello del concerto d’amore delle pulci. Come fanno a incontrarsi le pulci per figliare? Non è facile dentro il folto pelo di un cane, per non parlare del pavimento d’una casa. E allora? Emettono un suono, come i grilli o le cavallette. Possiedono infatti un minuscolo apparato stridulatorio: alla radice delle zampe posteriori ci sono file di minuscoli aculei che attraverso determinati movimenti vanno a percuotere sottili anelli trasversali posti sull’addome, proprio come le dita umane pizzicano le corde di un’arpa. Sembra che l’orecchio umano non riesca a sentirli, al contrario del concerto dei grilli d’estate. Forse occorre un orecchio da pulce, tuttavia sino ad ora non sembra sia stato ancora individuato un orecchio nell’insetto. Sulla passione amorosa delle pulci c’è un testo di Balzac contenuto in Le Contes Drôlatiques (Le sollazzevoli storie), di cui riferisce Levi: “le suore del gaio monastero di Poissy spiegano a una candida novizia come si deve operare per distinguere se la pulce catturata sia maschio, femmina o vergine, ma trovare una pulce vergine è rarissimo, poiché queste bestie sono scostumate, sono tutte sgualdrine assai lascive, che si danno al primo venuto”. Un aspetto che non ci aspetterebbe da questo insetto in apparenza così solitario. 

 

Giovanni Berlinguer, fratello del più noto uomo politico Enrico, ha descritto l’attività sessuale di questo insetto in un suo libro, Le mie pulci (Utet), opera che forse avrebbe interessato le suore di Balzac. Per prima cosa l’attività sessuale della pulce si svolge in sintonia con quella dell’animale su cui alloggia; il maschio e la femmina si uniscono solo quando lo fanno gli animali ospitanti, ad esempio i conigli. Berlinguer scrive che il pene maschile misura oltre un terzo del corpo, e l’accoppiamento dura dalle tre alle nove ore. Quando il maschio afferra la femmina, più grande di dimensioni, immette in lei lo sperma, che viene conservato nella spermateca, la banca dello sperma della femmina, consentendo così a uno spermatozoo alla volta di fecondare successivamente centinaia di uova. 

 

Un altro aspetto del nostro rapporto con questo insetto è l’esistenza di collezionisti di pulci, come Nathaniel Charles Rothschild, specializzato nello studio di questo insetto all’inizio dell’Ottocento. Rothschild era andato a raccoglierlo fino in Egitto nella Valle del Nilo, e ha fondato un museo dedicato alle pulci con un lascito annuo in denaro, che dura ancora. Nathaniel Charles, come dice il suo cognome, era l’erede della celebre famiglia di banchieri. Sia dal libro di von Frisch, che da quello di Berlinguer, come dalle opere di Danilo Mainardi (Lo zoo aperto I e II, Rizzoli), apprendiamo dell’esistenza nell’Ottocento e nel Novecento di vari circhi delle pulci che si esibivano nelle città europee, in particolare in area inglese e tedesca. 

  

Che questo spettacolo sia stato non raro ne testimonia Charlie Chaplin in Luci della ribalta (1952) e, vent’anni dopo, il film La morte del direttore del circo delle pulci (1973) del regista svizzero Thomas Koerfer. Nel web c’è ancora oggi un filmato molto esplicativo: si scorgono  filmati di recente gli esercizi compiuti dalle pulci nei moderni circhi e i sistemi ancora in uso per catturarle e addestrarle. Dal canto suo von Frisch li descrive a parole e attraverso un disegno incluso del libro. Si tratta nel suo caso di esempi tratti dal circo di Carl Hagenbeck, un commerciante tedesco di animali selvaggi, che riforniva gli zoo europei tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, specializzato nell’addestrare le pulci; e poi del Circo Sarrasani, fondato nel 1901, che ha avuto sede a Dresda, dotato anche questo di numeri eseguiti dalle pulci. Il vero artista, dice von Frisch, non è la pulce, ma il suo padrone-addestratore, che è riuscito a cingere il torace dell’insetto con un sottilissimo filo di rame o d’argento. Grazie a questo collare-catena nei circhi i minuscoli animali trascinavano carrozze, vorticavano su giostre, o danzavano in tutù. Alla fine il domatore compensava la sua pulce facendola ristorare sul proprio braccio dove prelevava una porzione del suo sangue. Chissà cosa direbbero oggi gli animalisti di questi spettacoli? 

  

Gli strumenti per tenerle lontane dagli animali domestici, e dall’uomo, sono oggi di tipo ecologico, ma la lotta alle pulci è sempre stata molto decisa. Non dobbiamo dimenticarci infatti che è tramite le pulci dei ratti che in Europa si è diffusa la peste, tra cui la terribile peste nera del Trecento, che decimò gran parte della popolazione del Continente. La peste non è affatto scomparsa, come dimostra un recente focolaio manifestatosi in Cina. Von Frisch cita nel 1976 vari casi riscontrati in India e diffusi dai topi. La pulce dei ratti succhia dall’animale il sangue e con esso i bacilli della peste, che non solo passano attraverso l’intestino dell’insetto, ma si riproducono più volte nel corso di alcuni mesi. Nel pungere può quindi diffonderli insieme ai suoi escrementi. Quello che è accaduto nel Medioevo è che, a causa della morte dei roditori, la pulce cerca il proprio nutrimento altrove, e finisce per trovarlo nella popolazione umana. Le morie dei ratti sono state nel passato il segno tangibile della successiva morte degli umani. Per fortuna oggi ci sono meno pulci di un tempo, grazie agli aspirapolvere che li estraggono dalle fenditure e dalle crepe dei muri, meno presenti nei moderni appartamenti, e agli impianti di riscaldamento che asciugano gli ambienti danneggiando lo sviluppo delle pulci. In genere la difesa dai parassiti è l’accresciuta pulizia. L’uso del sapone per lavarsi le mani non serve solo per i micidiali virus, ma anche per non dare tregua agli insetti infestanti il nostro corpo. Bagni, docce e altro sono fondamentali.

  

Affascinante e temibile insieme, la pulce è quello che si definisce un parassita. Ma prima di gettarle il crucifige e di metterla al bando, consiglio di leggere la lode dei parassiti pronunciata da Primo Levi nel suo scritto ora raccolto in L’altrui mestiere (Einaudi). Fa molto riflettere.

 

Questo articolo è apparso in forma più breve sul quotidiano “La Repubblica” che ringraziamo per averne consentito la riproduzione. 

 

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