A (new) history repeating

24 Marzo 2011

La produzione artistica contemporanea sembra essere sempre più infatuata del passato. Non è un fatto nuovo, anzi è abituale che il presente dialoghi con il passato: la conoscenza è del resto basata sulla memoria, su qualcosa di anteriore quindi. Ciò che sorprende oggi è un rapporto con il passato non più mimetizzato nel processo di realizzazione dell'opera d'arte ma così predominante da diventarne il soggetto. Basti pensare al format del re-enactment e alla sua definitiva istituzionalizzazione in tutte le arti.
Più singolare la scelta di quegli artisti che hanno deciso di interagire con il passato per renderlo presente, quindi significativo, non attraverso la semplice riproduzione o rappresentazione, ma con una rielaborazione più personale. Non considerando pertanto la storia come un corpo morto da riesumare, ma come un corpo vivo sul quale intervenire per modificarlo e modellarlo a piacimento.
Tra i numerosi lavori esemplificativi di tale approccio ho selezionato quattro opere di altrettanti artisti: Adam Chodzko, Renée Green, Jonathan Monk, Mario Garcia Torres.

Nel 1998, a 23 anni dall'uscita di Salò di Pier Paolo Pasolini, l'artista inglese Adam Chodzko decide di andare alla ricerca degli interpreti dei sedici adolescenti uccisi nel film allo scopo di organizzare una reunion. Dopo tre mesi di ricerche, con annunci sui giornali e poster distribuiti in giro per Roma, a rispondere è solo una delle interpreti (diventata nel frattempo una dentista), l'unica che casualmente non aveva partecipato alla scena dell'uccisione, pretendendo una controfigura. Pur non essendo riuscito a rintracciare gli attori originali, l'artista decide di fare comunque la reunion rimpiazzandoli con dei sosia.
Il progetto intitolato Reunion Salò si compone di un testo, un video, poster e foto.

 

Quando nel 1996 l'artista afroamericana Renée Green comincia una donchisciottesca ricerca del celebre intervento di Robert Smithson,Partially Buried Shed, a Kent in Ohio, non è alla riscoperta di una storia, ma una storia al plurale. Una storia artistica, politica e personale. Nel 1970 a Kent in Ohio, città natale della Green, Smithson scaricò quintali di terra sopra una capanna di legno abbandonata finché la trave principale non si spezzò in due. Come tutta la sua arte, l'opera rappresentava l'entropia dell'esistenza. Pochi mesi dopo l'azione di Smithson, quattro studenti furono uccisi alla Kent University durante una dimostrazione pacificista. Green riporta così in luce un capitolo importante della storia dell'arte e, al tempo stesso, gli conferisce un nuovo significato tramutandolo in un simbolico anti-monumento di un tragico evento della storia politica americana.
Il progetto di Green si intitola Partially Buried e si compone delle fotografie del luogo dove Smithson realizzò la sua azione, immagini d'archivio delle manifestazioni pacifiste, fotografie dell'artista stessa ritratta nel luogo della strage, un video e una piccola installazione composta da un box di libri di James Michener, una fotografia aerea della zona e delle lastre di cemento trovate in loco.

 

Come spesso avviene, lo spunto di molti lavori di Jonathan Monk nasce dalle opere di altri artisti come Ed Ruscha, Sol LeWitt o Alighiero Boetti. Proprio a quest'ultimo, Monk ha dedicato un lavoro intitolato Untitled and Unfinished (Afghanistan). Dopo aver scoperto che Boetti aveva espresso il desiderio che le sue ceneri venissero disperse nei laghi dell'Afghanistan, l'artista inglese decide di realizzare un film in quei luoghi. Nel 2004 riesce a trovare una persona, Mustafa Sahibzada, in grado di recarsi nella regione di Bandi A Mir, non lontana da Kabul, a cui affida il compito di girare 10 minuti di film in super 8 filmando i laghi tanto desiderati da Boetti.
Il risultato sono 5 film trasferiti in 16mm accompagnati da un serie di fotografie scattate lungo la strada da Kabul a Bandi A Mir.

 

Tra il 2004 e il 2006 Mario Garcia Torres, uno dei giovani artisti più interessanti del panorama artistico internazionale, rivisita un capitolo nascosto della storia dell'arte concettuale. Nel 1969, David Askevold, all'epoca insegnante alla NSCAD University di Halifax, invita Robert Barry a pensare un progetto in collaborazione con la sua classe di studenti. Barry risponde all'invito con un lavoro basato su una precisa istruzione ovvero pensare un'idea condivisa da tenere segreta a tutti, compresi lui stesso e Askevold, con la condizione di non rivelarla mai a nessuno al di fuori della classe. Pena la perdita del suo status di opera d'arte. Torres, incuriosito dal progetto, si metta alla ricerca di tutti gli ex studenti al fine non tanto di scoprire l'idea segreta, ma quanto le circostanze intorno alle quali il lavoro era scaturito.
Il progetto intitolato, What Happens in Halifax Stays in Halifax, è presentato sotto forma di slide show con foto in bianco e nero che documenta la reunion degli studenti.

 

I lavori appena ricordati, seppure in modo diverso, hanno in comune l'interesse per la storia e la volontà di ripensarla. Tutti prendono origine dalla scoperta di un episodio, spesso marginale o dimenticato, della storia dell'arte, seguita da una ricerca pseudo-investigativa volta a rivelarne nuove prospettive. L'artista, calato in un ruolo normalmente destinato agli storici e ai critici d'arte, ci conduce a risultati inattesi e sorprendenti, da ammirare e sui quali riflettere. Ovvero quello a cui ogni opera d'arte dovrebbe aspirare.

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