Fermo / Paesi e città

30 Maggio 2011

 

Settembre. Delle volte guardo attentamente la luna, il suo chiarore colossale quando è piena, e ciò che davvero mi meraviglia, specie se la scorgo dall’uscio di casa sopra il profilo reso nitido dei tetti, specie la mattina molto presto, è che sia vuota. Ci siamo solo noi da queste parti. Sto camminando nel mio rione. Ogni tanto mi fermo, osservo qualcosa di familiare. Il rione comincia appena fuori porta. C’è un primo tratto di strada in piano. Poi, in fondo, saranno trecento metri, inizia, a destra, una discesa ripida. A sinistra continua il tronco principale che di lì a breve si dirama una seconda volta verso il colle di Sant’Andrea. Ora è tutto costruito, ma la colonna vertebrale è questa. Ho amato molto il mio rione, specie da studente, quando rientravo da Bologna, negli anni settanta. Rientrare qui era fare ritorno in un posto dove i fatti della vita, forse, avrebbero trovato un loro compimento. Ora, trent’anni e passa dopo, lo amo senza pensarci tanto su. Senza chiedermi, soprattutto, purtroppo, del compiersi dei fatti della vita. Sono circa le diciotto. C’è un dolce tepore nell’aria. Devo tenere gli occhi aperti su queste cose. A quest’ora da giovane, le serate belle come questa, salivo in terrazzo a leggere fino l’ora di cena. Da sotto, a un certo punto, mio padre prendeva a chiamarmi: È ora di cena. Ho sentito, arrivo, solo un attimo. È tre ore che chiamo. No, sono tre volte. Ma perché non esci anziché rintanarti lassù, scendi. Sì scendo, scendo, finisco il capitolo e scendo. Noi iniziamo intanto però.

 

Febbraio. Un’ora al giorno tocca camminare, altrimenti uno si scorda di avere le gambe. Sto camminando, e intanto che cammino penso al fatto atroce che è successo ieri a Roma. Quattro bambini sono morti nel rogo della loro baracca di plastica. I genitori li avevano messi a letto da poco. Si dovevano allontanare. Avevano lasciato un braciere acceso. I bambini si chiamavano Raul, di tre anni, Sebastian, di cinque, Elena di sette e Patrizio di undici. All’improvviso le fiamme hanno preso ad avvolgere tutto e per i piccoli che dormivano non c’è stato nulla da fare. Il presidente Napolitano vuole incontrare i genitori dei quattro bambini, vuole esprimere personalmente il cordoglio del paese e quello suo. Ha ragione. Per fortuna che c’è e sta lì dove sta. Sono arrivato alla porta intanto. Appena dopo, a salire, inizia il centro storico. Sulla destra c’è la chiesa dedicata alla ventiquattresima figlia dei venticinque di Jacopo e Lapa, Caterina da Siena. Sono sotto l’arco. Devo decidere se proseguire per il centro o fare la corta di Pisacane e poi la bretella, un lungo tratto di strada che corre a mezza costa della collina. Hanno intitolato la via a Giovanni Falcone. Deciso, faccio la bretella. Sul bordo a valle c’è un filare di piante. È così che da una strada nasce un viale. A est si vede il mare tra le colline, saranno cinque chilometri. La costa croata dista circa sessanta miglia da qui. C’è chi dice che certe mattine, specialissime di nitidezza, dall’alto della torre della Cattedrale è possibile vedere le isole dell’arcipelago. È una leggenda cittadina, sicuramente, ma una volta mi capitò di vederle in sogno, e nel sogno quella leggenda era per intero fedele a se stessa. A gennaio ha nevicato parecchio. Non capita spesso. Le volte che succede, per almeno mezza giornata, si ferma tutto, tutto torna silenzioso e l’aria prende ad illuminarsi e il profilo dei tetti è ancora più tenue di quelle mattine prestissimo che c’è la luna piena sopra di loro. Stamattina, al bar, mi sono fermato a parlare con un anziano del ventotto. Si è messo a dire dei nuovi palazzi lungo la bretella. Non gli dispiacciono. Diceva che sono ben costruiti e che lui queste cose le capisce avendo fatto quarant’anni “rettamente” il muratore. Mi rendeva felice parlare con lui, il volto segnato dal tempo ma ancora fresco, come la pertinenza delle sue parole. Un po’ di giorni fa, erano circa le dodici, sono passato di fretta nella strada principale del mio rione. Era un pezzo che non passavo a quell’ora. C’era tanto traffico e c’erano molte persone affaccendate. A un certo punto mi sono fermato. Avvertivo, non era la prima volta, in ciò che stavo vedendo, un’assenza totale di esteriorità.

 

Fermo, Rione Santa Caterina. Settembre 2010 - Febbraio 2011.

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