Giorno 20 / Rivoltante

20 Dicembre 2019

“Tornate a casa dalla mamma, ragazze! Mungete le mucche, fate il pane! Non sapete che è pericoloso conquistare una città?”. È così che alle Rivoltanti viene risposto una volta giunte all’ingresso della Città di Smeraldo. Lyman Frank Baum sceglie per questo esercito di donne un nome che in sé contiene l’elemento rivoluzionario, ma qui si ferma perché il resto della storia è solo un continuo screditare quel protagonismo al femminile che traspare da questo passaggio e dalla sua protagonista, il generale Jinjur. È lei a capo dell’esercito delle Rivoltanti, un movimento di donne che decide di spodestare il Re Spaventapasseri, succeduto al Grande e Potente OZ, e di ribaltare una città fino ad allora governata solo da uomini.


Baum, scrittore di inizio Novecento, è un attento osservatore della società che lo circonda. Le richieste di parità uomo-donna stavano già circolando nell’ambiente americano cui apparteneva e sempre più si
stavano facendo insistenti le richieste del movimento delle suffragette che, al termine della Prima Guerra Mondiale e all’indomani della scomparsa dello scrittore, otterranno il suffragio universale.
La rivoluzione al femminile di OZ si presenta fatta di inciampi e tortuosità, è un momento ricco di contraddizione. Jinjur e il suo esercito, nel sovvertire l’ordine e prendere il potere, vogliono entrare
in possesso dei gioielli e delle ricchezze del Regno, vogliono incastonare le pietre più preziose nei loro abiti. Non c’è spessore politico o filosofico nel loro agire e qui sta il tranello di Baum. Le presenta come rivoluzionarie, ma l’oggetto della loro rivoluzione resta legato (e imprigionato) nella loro obsoleta femminilità. Non è un caso che le Rivoltanti, al posto delle armi, brandiscano un ferro da calza che tengono incastonato nelle loro acconciature. Ed è inevitabile, in questo frangente e in questi giorni, non pensare – chiaramente per contrasto - ad Anna Bravo, storica torinese, che a lungo si è occupata di movimenti femminili e che ben ha descritto quel maternage di massa che le donne della Seconda Guerra Mondiale, in particolare le partigiane, misero in atto per proteggere gli uomini e quel poco che rimaneva della società civile.

 

In “I libri di Oz” Baum ci inganna sul femminismo e ci porta dove vuole lui, ancora una volta, etichettando queste donne con un termine che conduce formalmente al “ribaltamento delle prospettive”, ma svuotando la loro azione rivoluzionaria di un qualsiasi senso concreto, mantenendole in una posizione assolutamente conservatrice. È un imbroglio, uno dei tanti che Baum architetta (e forse sembra davvero divertirsi ad architettare) per i suoi giovani lettori.

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