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Expo e dintorni: la pizza Carla

21 Febbraio 2015

Expo e dintorni: la pizza Carla

 

Il primo giro con macchina fotografica in mano per esplorare la vasta tematica dell’Expo non mi portò a fare nessuno scatto, anche chi va in giro a fotografare a un certo punto si ferma per mangiare. Credo che entrai in questa pizzeria relazionandola, almeno per mia familiarità e provenienza, con il Cluster Bio-Mediterraneo. Uno dei nove padiglioni in cui i Paesi (leggo dalla nota di Expo) sono stati raggruppati non secondo criteri geografici, ma secondo identità tematiche e filiere alimentari. Essendo nato più o meno al centro di questo bacino babelico che è il Mediterraneo, in Sicilia, e sapendo che la Regione Siciliana è Official Partner di Expo, decido di cominciare il reportage da qui. Ormai ero pervaso da un sano appetito, avevo camminato parecchio, così proseguii le mie riflessioni sull’evento di fronte una pizza e al pizzaiolo che mi dà le spalle.

 

La pizza Carla: Pomodoro, mozzarella, scamorza, radicchio. Mi commuove leggere nomi e condimenti delle cinquantacinque pizze e tre calzoni disponibili alla pizzeria d’asporto dove oggi che sono in giro a fotografare per questa nuova rubrica, mi fermo a mangiare. Pizzaiolo e gestore è L., almeno così leggo nello scontrino. Un uomo arabo sui cinquant’anni. Solo nove pizze registrate stasera, evinco ancora dallo scontrino fiscale.

 

Lui è un tipo tracagnotto di quelli che è meglio non fare incazzare, possiede nei modi e nello sguardo quella gentilezza tipica del pugile che è andato in pensione, cosciente della sua pericolosità latente. Ha la faccia simpatica, dà l’idea di essere un gran lavoratore. È cristiano cattolico, entrando c’è in bella mostra sulla destra, su di una mensola in linea col registratore di cassa, l’immagine della Madonna di Lourdes e subito lì a fianco il Sacro Cuore di Gesù. Ordino una pizza, mi siedo e rubo lo scatto.

 

La pizza è buona, anche se preferisco quella napoletana, più spessa e soffice. Quelle egiziane sono sottili e croccanti. Il plus di questa mia pausa pranzo è mangiare una pizza egiziana in un posto che si chiama con un nome molto familiare per noi italiani e leggere, nell’attesa, il menù con le 55 pizze a disposizione.

 

Penso alla creatività che ha messo L. a associare i condimenti. Guardo se ha rispettato i classici di ogni pizzeria tricolore: tipo la Marinara, la Napoletana, la Siciliana, la Diavola, la Capricciosa… la Bismark! Fino a qui pare tutto regolare. Ma sulla Romana?! Mette acciughe, capperi e ricotta sulla solita base di pomodoro mozzarella. A Palermo, la mia città natale, la fanno col prosciutto cotto, ma a ‘sto punto non so, lascio perdere, magari ha ragione lui, giacché a parlare di Romana a Milano, saremmo un siciliano e un egiziano di non so quale regione.

 

Via via che scorro con gli occhi il pieghevole del menù, le combinazioni di salumi, formaggi, ortaggi, funghi, nonché di pesce e frutti di mare, così come i nomi delle pizze, diventano sempre più fantasiosi. Appena arrivo alla numero 46, alla pizza Carla, mi trovo di fronte a un altro nome femminile, a due anzi anagrammandolo. Così mi chiedo come e perché il pizzaiolo arabo abbia intitolato a una donna questa pizza. Non voglio risposte però.

 

Penso a tutta la consapevolezza (e confusione) sul cibo che ci rimarrà al termine di Expo, alla fantasia espressa da chi gestisce una pizzeria non propriamente tipica italiana, di cui Milano e l’intero Stivale abbondano.

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